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Perú: lezioni di una sconfitta, premesse per la vittoria

Il 4 gennaio, dopo un breve “tregua”, sono iniziate nuovamente le mobilitazioni per la cacciata della presidente usurpatrice e assassina Dina Boluarte, il suo esecutivo ed il Congreso, che il 7 dicembre ha votato per la destituzione – per “incapacità morale permanente” – di Pedro Castillo.

Le popolazioni peruviane chiedono la liberazione del presidente legittimamente eletto, la convocazione (nel più breve tempo possibile) delle elezioni politiche – e non nell’aprile del 2024 come voto dal Congreso -; contestualmente chiedono l’elezione di una Assemblea Costituente che cambi la Costituzione del 1993, promulgata durante la dittatura di Alberto Fujimori.

Il cuore delle proteste è il Perú profondo, in specie la macro-regione del Sud – dove si registrano i maggiori blocchi stradali in questi giorni – il Nord, in particolare nella regione agricola di Cajamarca da dove proviene Pedro Castillo, e l’Amazzonia peruviana, in cui le organizzazioni delle popolazioni native si sono dichiarate in stato d’agitazione permanente.

Ma anche a Lima si sono svolte in questi giorni manifestazioni duramente represse dalla polizia.

Aladino Fernández, della Federation delle Rondas Campesinas di Cajamarca, ha dichiarato, alla fine della seconda giornata del Paro: “il popolo peruviano è stanco della noncuranza delle sue autorità e della corruzione. È per questo che esigiamo la rinuncia della presidente Dina Boluarte e le elezioni in breve per eleggere nuove autorità, incluso il Congreso della Repubblica”.

Amador Núñez, presidente del Frente de Organizaciones Populares de Puno, uno degli epicentri della protesta nel sud del paese, ha affermato: “Se è possibile, daremo la nostra vita. Per calmare le acque dopo che decine di peruviani sono morti. (…) Non vogliono ascoltarci, e siccome non vogliono ascoltarci, bisogna continuare a lottare nelle strade”.

Sono 28 i morti accertati, e circa 700 i feriti, dall’inizio della protesta, in un clima di repressione che è precipitato il 14 dicembre, con la promulgazione dello stato d’emergenza per 30 giorni ed il coprifuoco in diverse regioni, con le Forze Armate che possono coadiuvare la polizia (PNP) nel mantenimento dell’ordine.

Il governo, continua a puntare il dito contro “un gruppo molto esiguo, ma molto violento di agitatori” con cui non intende dialogare, come ha dichiarato alla fine del secondo giorno di mobilitazioni Alberto Otárola, Presidente del Consiglio dei Ministri, ed ex Ministro della Difesa nel primo gabinetto nominato dalla Boluarte.

Non possiamo permettere che questi cospiratori contro il sistema democratico agiscano nel nostro paese”, ha continuato uno dei maggiori responsabili della mattanza del 15 dicembre.

Gli ha fatto eco la Boluarte, che non ha mai assunto la responsabilità delle conseguenze della repressione: “non possono continuare a bloccare le strade, non possono continuare a saccheggiare le attività

In realtà, nella giornata del 5 gennaio si è registrato solo il danneggiamento di una automobile, mentre mobilitazioni e concentramenti si sono verificati in 21 province del paese, secondo quando riportano le fonti ufficiali, cioè la Defensoría del Pueblo.

Secondo il sito informativo La República, le province più attive nella protesta sono state Abancay, Andahuaylas, Chincheros, Arequipa, Parinacochas, Lucanas, Cajamarca, Cusco, Canas, Huánuco, Satipo, Chanchamayo, Lima, Tambopata, Ilo, El Collao, San Román, Melgar, Puno, Chucuito e Tacna.

La protesta non sembra comunque placarsi, neanche al terzo giorno consecutivo del Paro; dopo la guerra diplomatica scatenata contro il Messico, la destra oligarchica peruviana ha accusato l’ex presidente della Bolivia, Evo Morales, di essere dietro le proteste di questi giorni.

Per cercare di dare un quadro più articolato della fase abbiamo tradotto un intervento del leader di Perú Libre, Vladimir Cerrón, il Partito che aveva candidato alle elezioni presidenziali Pedro Castillo, per poi rompere con il presidente stesso la scorsa estate, per le ragioni che vengono ben spiegate nell’intervento.

Quest’organizzazione, nella sua recente Assemblea Nazionale Straordinaria, ha deciso di opporsi all’esecutivo di Alberto Otárola, “considerato che è il prodotto dell’usurpazione del potere attraverso il Golpe di Stato Parlamentario-Militar del 7 dicembre del 2022” ha scritto nel comunicato ufficiale, denuncia la repressione in atto, ed annuncia che “parteciperà alle mobilitazioni convocate dalla popolo a partire dal 4 di gennaio in tutte le regioni”.

Buona lettura.

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Lezioni dal colpo di stato parlamentare

Vladimir Cerrón – Segretario Generale di Perú Libre

Qualche tempo fa abbiamo detto che se Pedro Castillo fosse stato rimosso dal governo ci sarebbe stata una rivolta sociale, non necessariamente per sostituire il nuovo presidente, ma per portare la lotta sociale un passo avanti.

La previsione si è avverata e il passo successivo non è altro che l’esistenza di una maggiore consapevolezza tra i nostri popoli della necessità di una nuova Costituzione.

La prima lezione da imparare è che i colpi di stato non sono solo contro i governi di sinistra. L’amministrazione Castillo era un governo neoliberista, si è sviluppata all’interno di questo quadro senza esitazioni, non ci sono state trasformazioni strutturali, né seri tentativi di farlo, eppure è stato rovesciato.

La sinistra continentale non ha perso il suo carattere di solidarietà internazionalista, poiché dopo l’impeachment del presidente, paesi socialisti, di sinistra o progressisti come la Colombia, il Messico, il Venezuela, la Bolivia, l’Argentina, l’Honduras, tra gli altri, hanno espresso apertamente la loro solidarietà a Pedro Castillo, non hanno riconosciuto il governo di Boluarte, hanno chiesto la restituzione del presidente e il paese azteco ha offerto asilo alla sua famiglia.

Gli Stati Uniti e l’OSA non sono amici “affidabili” di nessun governo per evitare un colpo di stato, anzi, giocano con diverse facce degli stessi dadi. Castillo aveva un approccio amichevole con loro, i suoi ambasciatori erano raccomandati, ma in realtà lo disprezzavano e nutrivano seri dubbi sul suo possibile passaggio a un governo di sinistra e dopo il primo errore lo abbandonarono.

Su suggerimento dell’ambasciatore presso l’OSA, Harold Forsyth, nella lusinghiera foga con gli USA, il presidente Castillo ha pronunciato ciò che i capi hanno sempre voluto sentire come segno di sottomissione, ciò che la sinistra latinoamericana dopo la Rivoluzione cubana si stava affievolendo, la triste frase dottrinaria: “L’America per gli americani“, un atto senza precedenti.

Un’altra azione da non trascurare è quella di essersi messo contro la Russia in merito alla guerra che sta conducendo; un grave errore geopolitico.

In presenza di una crisi politica acuta, in cui il potere è conteso, il cambio dell’ambasciatore statunitense è un pericoloso indicatore di interferenza diretta.

Allo stesso modo, la visita al Ministro della Difesa il giorno prima del colpo di stato  e il saluto al successore nel Palazzo, una volta consumato il golpe, non sono eventi casuali, ma messaggi a bassa intensità al continente, che indicano la paternità e l’approvazione per il nuovo regime, segnando così il nuovo scenario geopolitico.

Dobbiamo anche considerare i due pesi e le due misure dell’opposizione di destra, che ha accusato Castillo di essere stato consigliato dall’ambasciatore cubano in Perù, Carlos “Gallo” Zamora, un colonnello del servizio di intelligence cubano G-2, che avrebbe elaborato un piano per rafforzare il “governo comunista” e che è stato bersaglio di attacchi da parte di vari media.

Tuttavia, l’arrivo dell’ex agente dei servizi segreti della CIA Lisa Kenna come ambasciatrice degli Stati Uniti in Perù è stato accolto con il silenzio più assoluto da parte di questi “difensori” della patria, nonostante il fatto che la possibile interferenza dell’ambasciata statunitense in un golpe sia un dato di fatto.

I rovesciamenti non possono contemplare solo le cause esterne, perché quelle interne sono le più pericolose.

Ha cercato di registrare due nuovi partiti, ma non aveva alcuna base militante; aveva opportunisti e opportunisti che gli hanno venduto il sogno di un proprio partito, che non si è mai concretizzato.

Anche i militari che sono entrati con un colpo di stato hanno poi fondato i loro partiti, perché non c’è altro modo per essere al potere.

Non si può governare senza un partito, il partito è il cervello e il responsabile delle azioni, guida la direzione ideologica, politica e programmatica del governo, non si può navigare senza una bussola, sarebbe un suicidio.

Il partito non può nemmeno essere sostituito dalla famiglia, dal sindacato, dai compaesani, dai passeggeri sulla strada o dai nemici di classe, poiché il suo scopo non è altro che quello di prendere, mantenere e affermarsi al potere; e i militanti devono essere pronti a dare la vita per la causa, che è quella di un partito.

Dopo l’esclusione di Perú Libre dal governo, dopo appena tre mesi, l’amministrazione è stata invasa da opportunisti di ogni tipo, che avevano in mente un guadagno economico.

Se è vero che i casi di corruzione hanno accelerato l’accerchiamento giudiziario del governo, dobbiamo essere molto chiari sul fatto che non è la vera causa del colpo di stato, ma solo un pretesto per garantire lo status quo, l’assalto allo Stato, l’appropriazione delle nostre risorse naturali per i decenni a venire, il mantenimento dello sfruttamento dei lavoratori, proteggere l’impunità nell’inquinamento ambientale.

Come nel caso Repsol, mantenere la proprietà delle “concessioni” di porti, aeroporti, corridoi aerei, strade, miniere, gas, litio, centrali idroelettriche, privatizzare i servizi di base come l’elettricità e l’acqua, ma soprattutto riaffermare il carattere neo-coloniale nei confronti degli USA e tenere a bada l’espansione economica e commerciale della Cina.

Perché Castillo potesse pensare di iniziare un colpo di stato, probabilmente aveva l’approvazione di alcuni ufficiali dell’esercito e della polizia, che gli assicurarono il successo dell’operazione, ma che non diedero il loro appoggio nel momento decisivo.

Se è così, dobbiamo capire che, piuttosto che ritirare il sostegno, Castillo è stato vittima di un inganno premeditato per coronare il colpo di stato. Questo ci porta a concludere che se un governo di sinistra vuole rimanere al potere, deve avere magnifiche relazioni con le Forze Armate, come a Cuba, in Nicaragua e in Venezuela, altrimenti dovrebbe limitarsi al progressismo o al riformismo.

I colpi di stato civili-militari devono mantenere un’apparenza di istituzionalità civile, ma in realtà sono i militari a prendere il controllo totale e l’ex vicepresidente viene mantenuto solo per giustificare la “costituzionalità” della successione presidenziale, quando in realtà sappiamo che non è così.

La prima esperienza di una donna presidente in Perù non è diversa dai governi genocidi dei presidenti uomini, e potrebbe addirittura essere peggiore. In questa insurrezione, il governo civico-militare ha assassinato quasi trenta manifestanti, tra cui sette minorenni, nei dipartimenti di Apurímac e Ayacucho.

Questo dimostra che le politiche di “parità di genere”, ecc, in realtà non hanno senso finché non si risolve la questione di fondo: ossia la lotta di classe in una società come la nostra.

Quando un governo, “quello che sta in alto“, non ha conquistato l’egemonia di pensiero del popolo, di “quelli che sono in basso“, non sarà mai solido, sarà condannato all’estinzione e potrebbe solo ricorrere alla forza militare per mantenersi, diventando una dittatura.

Le repressioni violente, l’impunità con cui agiscono, gli stati di emergenza o di eccezione, la militarizzazione delle capitali, la persecuzione dei partiti di sinistra e dei leader sociali e le decine di morti, ratificano la sua natura.

In questa sanguinosa insurrezione abbiamo potuto vedere chiaramente da che parte sta la Chiesa cattolica, sempre dalla parte dei ricchi, degli oppressori e dei golpisti, come parte dell’apparato di sfruttamento dei nostri popoli.

Invocano la pace dopo il massacro, per loro la democrazia è il silenzio degli oppressi, scendono in piazza scortati dai rappresentanti delle forze repressive, ma non si uniscono al popolo nella lotta per le loro richieste; sono esperti nell’ammorbidire gli animi e nel cercare la sottomissione del popolo in nome della fede, ma in cambio del mantenimento dei loro privilegi statali e commerciali.

I molti “amici” e “ammiratori” del potere, che non sono altro che mercenari, con poche eccezioni, nei momenti di difficoltà non ci sono, abbandonano i processi giudiziari nei momenti critici senza il minimo rimorso lasciando i loro patrocinati inermi, ma c’è anche chi si assume responsabilità nonostante le circostanze avverse.

È la prima volta che il popolo si è identificato con il proprio Presidente, ha sentito di averlo messo al potere, si è visto in lui, c’è stata un’identificazione speculare, con pregi e difetti.

Colpire Castillo è stato come colpire tutti loro. Nessun presidente, nemmeno il “Sacro Cholo”, aveva una simile somiglianza, tanto meno gli altri che sono passati per il Palazzo.

La lotta simultanea del popolo in varie regioni, senza molto coordinamento, è il risultato di un processo di accumulo di idee, forze, riflessioni, autostima, che si è rafforzato come somma di tutte le esperienze attraverso le quali il popolo è passato alla ricerca della propria emancipazione con un maggior grado di consapevolezza.

Il popolo ammette che Castillo ha precipitato la caduta del suo governo, per questo non chiede a gran voce il suo reintegro, ma la sua libertà; ma non può ammettere l’usurpazione dopo una carica vacante elaborata in due ore, tanto meno ammettere un successore che ha abbandonato il programma di governo promesso in campagna elettorale, anche se in realtà anche “il professore” lo aveva abbandonato, ma dato che il governo era appena iniziato, non è stato convocato.

Non posso non riconoscere la trascendenza di Perú Libre, non posso astenermi dal farlo perché ne sono un militante, ma se non fosse stato per questo strumento politico del popolo, la sinistra non avrebbe mai vinto un processo elettorale nazionale, non avrebbe portato un insegnante rurale alla candidatura e tanto meno alla Presidenza, non avrebbe dato il primo Presidente donna in Perù; usurpazione e crimini a parte, questa condizione insurrezionale non si sarebbe verificata e la necessità dell’Assemblea Costituente non sarebbe maturata un po’ di più.

Il Partito ha fatto capire al popolo che eravamo in grado di costruire il nostro strumento politico nato dalle sue viscere, che era possibile raggiungere il governo precedentemente sottoposto al veto degli uomini del Perù profondo, che questa volta noi cholos eravamo davvero entrati nella poltrona del Palazzo, che eravamo vicini a realizzare la nostra aspirazione di costruire una nuova patria e che la vittoria era certa.

Finora questo è il lascito del Partito al popolo peruviano.

Ma questa eredità non è sufficiente, è solo una parte del processo. So che il Partito deve prepararsi e migliorare il suo ruolo di guida, che deve essere sempre un leader e non può smettere di esserlo quando è al potere, che deve preparare meglio i suoi quadri politici per non ricorrere a ospiti traditori, che deve essere pronto a unirsi al fronte popolare che sarà sicuramente convocato in qualsiasi momento.

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