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Usa. La crisi politica montante

L’elezione dello Speaker al Congresso a maggioranza repubblicana (222 deputati repubblicani e 213 democratici) non sono state esattamente una passeggiata, per il Grand Old Party.

Lo scontro che si è manifestato nella gestazione del 118° Congresso americano non è solo il segnale di una spaccatura non ricucita tra le due ali del Partito – quella “centrista”, in irreversibile declino, e quella legata a Trump – ma è la rappresentazione plastica di una crisi che investe l’impalcatura politica statunitense nel suo complesso.

Questa crisi avrà conseguenze profonde nella gestione dell’azione legislativa da qui alle prossime elezioni presidenziali, previste per il 2024.

Assisteremo a scontri epocali proprio su scelte fondamentali: le regole di spesa federali, il budget militare, gli aiuti all’Ucraina, la sorte giudiziaria di Trump, ecc..

Non è superfluo ricordare che i democratici hanno una maggioranza risicata al Senato, attraverso la quale affonderanno, o quanto meno mitigheranno le offensive legislative dei repubblicani più intransigenti; ma tale apparente equilibrio di poteri produrrà probabilmente l’impasse.

Biden, che finora aveva la maggioranza sia al Congresso che al Senato (precedentemente più contenuta di quella attuale, ma oggi come allora minata dai meccanismi di filibustering), sarà spesso costretto ad usare lo strumento del “decreto presidenziale esecutivo”.

Governerà, in sintesi, contro la maggioranza della popolazione o quanto meno della sua metà.

La Corte Suprema – a maggioranza repubblicana ultra-conservatrice e la cui durata del mandato è “a vita” – continuità a demolire le conquiste sul piano dei diritti in diversi campi, sul solco delle decisioni già intraprese, come l’abolizione della garanzia federale all’interruzione di gravidanza, con una azione di “riformismo regressivo” rispetto ai diritti conquistati, in particolare dalle minoranze etniche e dalle donne dagli Anni Sessanta ad oggi.

Potremmo dire che è una crisi di direzione nata da una crisi di identità in cui, interrogando se stesse, la classe dominante statunitense non riesce a trovare “la quadra” per capire il ruolo degli USA nel mondo che cambia; perché ci sono opzioni radicalmente diverse sul campo, anche alla luce delle profonde modifiche, e fratture, al proprio interno.

Una di queste, la meno rappresentata suoi media mainstream, è quella propriamente “di classe” che ha prodotto lo sviluppo di un “nuovo movimento operaio”, di cui si parla sempre troppo poco.

Tornando però alle faccende parlamentari…

Il 9 gennaio Kevin McKarty, lo speaker uscito con le ossa rotta da una estenuante maratona per la sua elezione, avvenuta dopo 14 votazioni negative, ha raggiunto il suo primo traguardo con l’approvazione del regolamento della camera bassa del Parlamento americano.

Un successo dovuto alle notevole concessioni fatte ai trumpisti, per convincere i più recalcitranti a dargli il voto decisivo.

Al Congresso il potere di ricatto, e quindi di indirizzo, dei seguaci di Trump sarà pressoché assoluto, questo anche grazie ad una base del Partito fortemente radicalizzata.

Per fare maggiore luce sulle dinamiche e la posta in gioco di questo scontro, e degli scenari che si prospettano abbiamo tradotto una articolo del corrispondente a Washington di Le Monde.

L’autore conclude così il suo pezzo: «Venerdì, in un’emozionante cerimonia alla Casa Bianca, Joe Biden ha decorato gli agenti di polizia che si sono distinti nella difesa del Campidoglio e i funzionari che hanno garantito il rispetto delle elezioni del 2020.

Il Presidente degli Stati Uniti ha pronunciato queste parole, che continueranno a essere uno dei suoi principi guida fino alle elezioni presidenziali del 2024: “L’America è una terra di leggi, non di caos. Una nazione di pace, non di violenza. Non siamo una terra di re e dittatori, autocrati ed estremisti.”

Queste parole sono più che altro prediche e speranze: l’America è diventata anche una terra di violenza politica, con un numero crescente di estremisti. Alcuni indossano abiti e cravatte e siedono in Campidoglio

Ormai il disaccoppiamento tra “democrazia” e “capitalismo” sembra un fatto compiuto nel cuore stesso del sistema euro-atlantico: USA, Brasile ed Israele ne sono alcuni evidenti esempi.

A voler essere più tranchant dovremmo usare l’espressione “fascistizzazione”, che non è una boutade retorica ma un processo storico che caratterizza il modo di produzione capitalista mentre la sua crisi diventa più acuta.

Buona lettura.

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Stati Uniti: Kevin McCarthy, nuovo speaker di una Camera dei Rappresentanti in subbuglio

Piotr Smolar (Corrispondente da Washington) – Le Monde

Ci sono voluti quattro giorni di dibattito, tre notti di trattative e quindici turni di votazione perché il rappresentante eletto in California diventasse speaker. Un’elezione storica che ha dato all’ultra-destra populista più potere e possibilità di ricatto.

Due anni fa, un colpo di stato è fallito per un soffio nel cuore della più grande potenza del mondo. Migliaia di sostenitori di Donald Trump (2017-2021) hanno preso d’assalto il Campidoglio, al termine di una campagna di menzogne e pressioni avviata dall’allora presidente.

Venerdì 6 gennaio, in questo stesso edificio, gli eletti del movimento MAGA (Make America Great Again), pur essendo una minoranza all’interno del Partito Repubblicano, hanno imposto la loro legge e soprattutto i loro metodi alla nuova maggioranza della Camera dei Rappresentanti.

Hanno fortemente umiliato Kevin McCarthy, nonostante la sua nomina a speaker al quindicesimo scrutinio, a mezzanotte, dopo quattro giorni di dibattito e tre notti di trattative. Questo calvario personale e collettivo ha lasciato un partito sgretolato e fragile, ma soprattutto prigioniero dell’ultra-destra populista.

Una scena riassume il calvario a cui è stato sottoposto il vincitore. Sono le 23 di venerdì sera. Matt Gaetz siede impassibile in fondo alla Camera dei Rappresentanti. Intorno a lui, le rovine della sua festa stanno fumando. Le telecamere sono puntate su questo funzionario eletto della Florida. I colleghi repubblicani lo circondano, lo incalzano, lo sfidano.

Non offrendo il suo voto decisivo, Matt Gaetz, 40 anni, ha appena sconfitto l’elezione di Kevin McCarthy a speaker per la quattordicesima volta. Un colpo di scena finale inaspettato, proprio quando il candidato pensava di aver finalmente soddisfatto la sua ossessione, alla fine di un percorso sulle braci ardenti.

I minuti successivi fanno già parte della storia parlamentare degli Stati Uniti. Kevin McCarthy, furioso, si avvicina a Gaetz per cercare di farlo ragionare. All’inizio della giornata, l’impertinente deputato della Florida lo aveva definito “il LeBron James della raccolta fondi per interessi speciali“, affermando che “l’altruismo non consiste nel vendersi pezzo per pezzo alla lobby delle aziende“.

McCarthy si allontana, rassegnato. Un deputato repubblicano viene trattenuto fisicamente da uno dei suoi colleghi, per impedirgli di attaccare Matt Gaetz. In assenza di un’alternativa, è stata votata una sospensione fino a lunedì, promettendo un fine settimana al cardiopalma. È stato allora che si è creata una nuova confusione vicino al podio dell’oratore.

Un applauso di sollievo

Decine di repubblicani hanno deciso di fare marcia indietro, preferendo votare nuovamente la candidatura di Kevin McCarthy. “Ancora!” grida il candidato.

Le trattative finali – un intervento telefonico di Donald Trump con diversi suoi fedeli nell’emiciclo, secondo la CNN – hanno appena ridato la speranza di un esito immediato. Infatti, durante questo quindicesimo turno, cinque degli ultimi recalcitranti si sono accontentati di dichiararsi presenti, ma senza votare per un altro candidato.

Nonostante la stanchezza, Kevin McCarthy può esultare, tra gli applausi sollevati dei suoi colleghi, gridando “USA! USA!” Con 216 voti contro i 212 del democratico Hakeem Jeffries, il presidente del Consiglio ha finalmente preso il martelletto dello speaker, succedendo a Nancy Pelosi.

In quel momento, con un sorriso smagliante sul volto, si abbottona la giacca, depone il martelletto, si gode i saluti del suo popolo e dice: “È stato facile, vero?

Nel suo primo discorso dal palco, il vincitore ha promesso che la nuova Camera si concentrerà su due sfide a lungo termine: “il debito e l’ascesa del Partito Comunista Cinese“. Il nuovo speaker ha anche annunciato un primo voto lunedì mattina per tagliare i fondi per i nuovi funzionari fiscali. “Il lavoro duro inizia ora“, ha detto.

Quest’uomo non si arrende“, ha detto Patrick McHenry (North Carolina), uno dei suoi sostenitori. La testardaggine del 57enne funzionario eletto in California ha avuto successo. Ma a quale prezzo? Quella della sua ripetuta umiliazione da parte dei suoi stessi colleghi?

La vittoria attenua l’amarezza, senza dubbio. Ma il vero prezzo sta nelle concessioni accettate dal candidato per raggiungere i suoi scopi e sgretolare sufficientemente il blocco dei venti avversari, formatosi da martedì.

I primi infruttuosi negoziati si sono svolti nell’estate del 2022, poi le trattative hanno subito un’accelerazione dopo le deludenti elezioni di metà novembre. Queste elezioni hanno dato alla fazione MAGA più potere e possibilità di ricatto, all’interno di una maggioranza repubblicana limitata.

Accordo negoziato in segreto

Il nuovo speaker sarà il fragile giocattolo piuttosto che il padrone delle sue truppe, come lo era Nancy Pelosi, che negli ultimi due anni ha dominato una maggioranza democratica altrettanto ristretta. “Lo speaker è diventato troppo potente nelle ultime due legislature“, ha dichiarato Andy Harris (Maryland) a Fox News, uno degli ammutinati che alla fine ha votato per Kevin McCarthy. L’esito della serata è solo un episodio degli scontri tra i clan repubblicani.

Solo al dodicesimo turno di votazione, a mezzogiorno di venerdì, il candidato è riuscito finalmente a creare uno slancio positivo intorno al suo nome. Ha poi registrato il raduno di quattordici frondeurs, tra cui Scott Perry, il leader del Freedom Caucus, che raggruppa la trentina di rappresentanti eletti MAGA.

Quest’ultimo, fino a quel momento, aveva guidato la carica contro Kevin McCarthy. In un tweet, ha giustificato la sua retromarcia con le concessioni ottenute: “Il quadro di riferimento per un accordo è in atto“. Un accordo negoziato in segreto, di notte, di cui nessuno conosceva i dettagli.

C’erano ancora sette ritardatari. Dopo un’altra votazione non andata a buon fine, la riunione è stata sospesa fino alle 22.00. “Penso che stasera avremo i voti una volta per tutte“, ha detto Kevin McCarthy nei corridoi, prima che Matt Gaetz gli imponesse un’ultima seccatura.

Fino a venerdì mattina, lo spettacolo offerto dal Grand Old Party dal 3 gennaio assomigliava a un’auto incagliata nella neve alta. Kat Kammack (Florida), con un sorriso giallo, aveva persino citato il film Endless Day, in cui l’attore Bill Murray, un giornalista meteo, riviveva lo stesso giorno più e più volte.

I discorsi si sono susseguiti per giustificare la candidatura di Kevin McCarthy, presentandolo come un riformatore nel cuore, cosa che non è mai stato. Gli ammutinati hanno proposto un candidato alternativo, poi un altro, Matt Gaetz ha addirittura proposto Donald Trump, per il quale è stato l’unico a votare giovedì.

Uniti, i Democratici si sono messi contro l’altra parte e, mentre i voti arrivavano, hanno tracciato un ritratto estasiato del loro leader, Hakeem Jeffries. Da un punto di vista aritmetico, non era cambiato nulla fino alla pausa di giovedì sera. Un blocco inamovibile di venti membri eletti ha continuato a bloccare l’elezione di Kevin McCarthy.

Kevin McCarthy ha rinunciato a quasi tutto

A causa di questa paralisi, la febbre ha raggiunto i ranghi repubblicani. L’esasperazione era rivolta soprattutto agli ammutinati, considerati testardi, avidi di visibilità e di influenza.

Alla CNN, il repubblicano Don Bacon (Nebraska) ha definito i suoi colleghi “terroristi politici“. Ha persino minacciato di rivolgersi all’opposizione democratica per dare all’Assemblea una struttura più bipartisan, assicurando che i contatti preliminari erano già in corso. Bluff e nervi d’acciaio, sotto i commenti acidi di tutta la stampa e dei network conservatori.

Ma, dietro le quinte, il fastidio dei repubblicani era rivolto anche a Kevin McCarthy, a causa delle concessioni previste e mentre si ostinava a considerarsi l’unico candidato legittimo alla carica di speaker.

La contrattazione è una parte importante della vita parlamentare. Ma Kevin McCarthy, dal canto suo, ha rinunciato a quasi tutto, con il rischio di sabotare la stessa carica per cui si candida e di svuotarla della sua autorità, anche se i suoi sostenitori gli assicurano il contrario.

D’ora in poi sarà sufficiente un solo parlamentare eletto per imporre un voto di fiducia allo speaker, una regola che esisteva già da tempo in passato, ma che assume un significato del tutto nuovo nell’era del MAGA.

McCarthy sperava di attenersi a un limite di cinque parlamentari. Avrebbe anche accettato di dare all’ultra-destra posizioni di rilievo in commissioni come quella per il regolamento della Camera. La distribuzione dei favori sarà più chiara nei prossimi giorni.

È a spizzichi e bocconi che i media hanno raccolto confidenze sul contenuto dell’accordo, concluso nella notte. Un testo di dodici pagine sulle regole della nuova Camera, che potrebbe essere messo ai voti all’inizio della settimana, è stato concordato dal gruppo repubblicano.

I rappresentanti eletti avrebbero più spazio per partecipare alla stesura delle proposte di legge e per presentare emendamenti.

Un argomento soprattutto è stato al centro delle discussioni: il bilancio. Si prevede quindi uno scontro frontale tra il Senato democratico e la Camera. I futuri negoziati sull’aumento del tetto del debito saranno elettrici.

I repubblicani hanno deciso di chiedere drastici tagli alla spesa pubblica, imponendo tanti tagli quanti aumenti, per ottenere il pareggio di bilancio in un periodo di diversi anni. La questione della spesa militare promette ulteriore nervosismo all’interno del GOP.

Misura simbolica

Tra gli ammutinati contro Kevin McCarthy è emersa una figura, quella di Chip Roy (Texas), un accorto ultraconservatore che vuole ridurre il più possibile la portata e la spesa dello Stato federale. Questo parlamentare avrebbe ottenuto la sua richiesta essenziale: la fine dei  pacchetti legislativi molto voluminosi, che mescolano molte materie, come quello adottato il 23 dicembre, per un ammontare di 1.700 miliardi di dollari (circa 1.594 miliardi di euro).

Chip Roy, come gli altri ribelli, vuole che si tengano votazioni separate, con la possibilità di modificare i testi. Lui stesso si è opposto ai nuovi pacchetti di aiuti all’Ucraina a partire dalla primavera.

Un’altra misura che simboleggia del desiderio repubblicano di affrontare un presunto “Stato profondo” è la reintroduzione della possibilità di ridurre lo stipendio di un alto funzionario, di licenziarlo o addirittura di porre fine ad alcuni programmi federali.

Inoltre, sotto l’egida della Commissione Giudiziaria, verrà istituita una sottocommissione per indagare sulla “strumentalizzazione” da parte dei Democratici del Dipartimento di Giustizia e della polizia federale (FBI), in particolare in vista delle indagini su Donald Trump e sui rivoltosi del 6 gennaio.

Una mossa che ha tutta l’aria di essere un tardivo regalo di Natale per l’ex presidente, che farà parte del promesso accanimento repubblicano contro l’amministrazione democratica.

Venerdì, in una commossa cerimonia alla Casa Bianca, Joe Biden ha decorato gli agenti di polizia che si sono distinti nella difesa del Campidoglio e i funzionari che hanno garantito il rispetto delle elezioni del 2020.

Il Presidente degli Stati Uniti ha pronunciato queste parole, che continueranno a essere uno dei suoi principi guida fino alle elezioni presidenziali del 2024: “L’America è una terra di leggi, non di caos. Una nazione di pace, non di violenza. Non siamo una terra di re e dittatori, autocrati ed estremisti.

Queste parole sono più che altro prediche e speranze: l’America è diventata anche una terra di violenza politica, con un numero crescente di estremisti. Alcuni indossano abiti e cravatte e siedono in Campidoglio.

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