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“Cuba esempio di collaborazione e di aiuto reciproco”

Papa Francesco ha voluto ringraziare Cuba per essere “un esempio di collaborazione e di aiuto reciproco”, ispirandosi a uno spirito “aperto, accogliente e solidale”.

Lo ha fatto evocando così la grande vocazione alla solidarietà incarnata nelle Brigate Mediche Cubane e nelle azioni di solidarietà internazionale e di aiuto ad altri paesi nel campo dell’istruzione che caratterizzano la Rivoluzione Castrista, in un messaggio che ricorda la visita compiuta da Giovanni Paolo II, 25 anni fa, dal 21 al 25 gennaio del 1998, la prima di un Papa nell’Isola di Fidel Castro, e auspicando che l’anniversario possa dare “nuovo impulso per continuare a costruire il futuro di questa nazione con speranza e determinazione”.

Quella visita del resto aprì la strada alle missioni compiute a Cuba dai successori di Wojtyla. Nel gennaio 1998 e non appena sbarcato all’Avana Giovanni Paolo II disse: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”, chiedendo per la Chiesa la possibilità di svolgere la sua missione e la libertà di educazione, maggiore libertà per il popolo e soprattutto la fine del Bloqueo. Dopo la visita di Wojtyla, Fidel Castro ristabilì il Natale come festa civile.

Nel marzo 2012 era Benedetto XVI il secondo Papa a metter piede nell’isola. Fidel non era più in sella, il Paese era guidato dal fratello Raul. Ratzinger incontrò il Líder Maximo nella nunziatura, conversando con lui e Castro chiese consiglio su qualche buona lettura da fare.

Dopo la visita di Benedetto XVI, Raul concesse il Venerdì Santo come festa civile. Con l’arrivo, nel 2015, di Francesco il primo Papa latinoamericano, e la grande amicizia che da allora lega Bergoglio a Raul Castro, i rapporti si intensificarono ancora, come testimonia anche il documento reso noto oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Indirizzata al cardinale Juan de la Caridad García Rodríguez, arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, ai
vescovi cubani e a tutti fedeli, la Lettera di Francesco è stata portata dal cardinale Beniamino Stella, in visita nel Paese e che, durante il viaggio apostolico di Wojtyla, era nunzio apostolico e fu quindi, come scrive il Papa “testimone privilegiato di quell’evento”.

Il testo riporta una delle esortazioni di Giovanni Paolo II, quando si rivolse ai giovani cubani, era il 23 gennaio: “Affrontate con forza e temperanza, con giustizia e prudenza le grandi sfide del momento presente; tornate alle radici cubane e cristiane e fate tutto il possibile per costruire un futuro sempre più degno e sempre più libero! Non dimenticate che la responsabilità fa parte della libertà. Inoltre, la persona si definisce principalmente per le sue responsabilità nei confronti degli altri e di fronte alla storia”.

Parole che Francesco fa proprie per incoraggiare il popolo cubano a tornare alle “radici cubane e cristiane”, ossia a quell’identità che “ha generato e continua a generare la vita” di Cuba. “Queste radici – si legge nella Lettera – sono state rafforzate permettendoci di vederle crescere e fiorire nella testimonianza di tanti di voi che lavorano e si sacrificano ogni giorno per gli altri, non solo per le vostre famiglie, ma anche per i vostri vicini e amici, per tutte le persone e soprattutto per i più bisognosi”.

L’invito di Papa Bergoglio è a continuare “a camminare insieme nella speranza, sapendo che sempre, e soprattutto in mezzo alle avversità e alle sofferenze, Gesù e sua Madre vi accompagnano, vi aiutano a portare la vostra croce e vi consolano con la gioia della risurrezione”.

Prendendo ad esempio anche il servo di Dio Felix Varela Morales, sacerdote e filosofo cubano, quale testimone della “necessità di radicarsi nel bene e la fecondità di questo sforzo: una volta che l’albero è radicato, presto estenderà i suoi rami, e la virtù riposerà alla sua ombra”.

Di qui la sollecitazione “a scavare nelle “vostre radici con coraggio e responsabilità, e a continuare a portare frutti uniti nella fede, nella speranza e nella carità”.

* da IlFarodiRoma

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1 Commento


  • Pasquale

    Cuba i suoi medici li manda in tutto il mondo dove c’è bisogno, e non per un mero calcolo speculativo come la stampa filoamericana vorrebbe far credere, ma perché incarna lo spirito dell’umanesimo, e da sempre segue l’esempio internazionalista di Che Guevara, il grande medico rivoluzionario convinto che la salute deve essere un diritto prioritario che richiede politiche sociali, solidarietà e soprattutto gratuità. La professionalità e l’abnegazione dei medici cubani sono doti che vengono riconosciute ormai da tutti, sono capaci, infatti, di esercitare con impegno e dedizione, ma innanzitutto con un approccio umanistico acquisito con anni di esperienza in moltissimi luoghi a rilevante emergenza sociale e sanitaria. Il sistema sanitario cubano è un vero apparato a carattere completamente pubblico capace di formare, nonostante un blocco efferato e illegale che dura da più di 60 anni, medici di alto livello e all’avanguardia come attestato perfino dall’OMS, e che garantisce cure e programmi di prevenzione di buona qualità a tutta la popolazione ottenendo buoni risultati con grandi benefici per la salute e la società.

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