Ieri in Francia è stato il quarto giorno di mobilitazione generale contro la riforma pensionistica in discussione in Parlamento.
Una giornata pensata per permettere di manifestare contro l’ipotesi di riforma anche a chi non è nelle condizioni di poter scioperare durante la settimana – in particolare chi lavora nel settore privato – e di consentire ai nuclei familiari di partecipare insieme ai cortei, che come negli appuntamenti precedenti si sono svolti generalmente in maniera pacifica, a parte qualche incidente a Parigi, Nantes e Rennes.
Olivier Mateu – segretario generale della UD13 della CGT che aderisce alla FSM (il dipartimento della regione marsigliese) nonché sfidante “d’opposizione” alla carica di segretario generale della CGT – afferma che la giornata è: «un momento di mobilitazione interprofessionale e intergenerazionale che prende tutto il suo senso».
Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise (LFI), la formazione con il maggiore numero di deputati dentro la coalizione di sinistra della NUPES che si oppone in toto e con forza al progetto di riforma, ha affermato che: «Se Monsieur Macron conta sull’usura, sbaglia Paese».
Ed infatti una nuova giornata di mobilitazione era già prevista per giovedì 16 febbraio, poi una il 7 marzo – dopo le vacanze scolastiche – e un’altra l’8 marzo.
Laurent Berger, segretario della CFDT, in una intervista a Franceinfo, ha detto “mi aspetto molta gente, bisogna essere molto, molto numerosi” ricordando che sono più di 250 i concentramenti previsti in tutto L’Esagono.
Stando ai numeri, alla diffusione e alla composizione dei cortei, questa quarta giornata di mobilitazione è stata un indubbio successo.
Secondo il Ministero dell’Interno hanno partecipato alla mobilitazione 963.000 persone, di cui 93 mila solo a Parigi, ma è il solito gioco “riduzionista” che conosciamo anche in Italia.
Secondo la CGT, i numeri reali sono più del doppio: “più di 2 milioni e mezzo” in tutta la Francia, 500 mila nella capitale. Uno scarto che aumenta “a dismisura” in alcune città come a Tolosa: 25 mila per le autorità, 100 mila per la CGT…
Riporta il quotidiano Le Monde, nella cronaca dettagliata della giornata, che tra chi è solito partecipare a scioperi e movimenti sociali “ognuno si rallegra del pubblico diversificato, più ricco di giovani e famiglie”.
Sabato è stata la seconda giornata di mobilitazione nella settimana, dopo quella di martedì che aveva registrato una leggera flessione nel numero dei partecipanti rispetto a quelle precedenti: 757.000 secondo il Ministero dell’Interno, più 2 milioni secondo la CGT.
A parte le mobilitazioni, lo sciopero ha continuato ad avere un impatto massiccio soprattutto in quei settori dove le Federazioni della CGT hanno deciso – in maniera coordinata – di articolare lo sciopero di 48 ore sulle giornate di martedì e mercoledì: Ferrovie, Energia (gas ed elettricità), Chimica (raffinerie e depositi), Porti e Banchine.
Ormai è chiaro che questa di sabato, come le prossime mobilitazioni, saranno un preludio alle iniziative che inizieranno il 7 marzo, in cui chi si oppone alla riforma – a cominciare dalle otto organizzazioni che compongono l’“inter-sindacale” – minaccia di bloccare il paese fino al ritiro del progetto di legge.
In un comunicato congiunto, letto questo sabato dal segretario generale di Force Ouvriere (FO), Frédéric Souillot, le 8 organizzazioni sindacali affermano di essere pronte a «bloccare la Francia in tutti i settori il 7 marzo» se il governo resterà sordo di fronte alla contestazione popolare.
La data dell’8 marzo, giornata internazionale dei diritti delle donne, è ugualmente indicata «per mettere in evidenza l’ingiustizia sociale maggiore di questa riforma nei confronti delle donne».
Se il 7 marzo sarà l’inizio di un vero e proprio sciopero generale continuato, fino al ritiro della riforma, lo deciderà l’ampiezza del movimento e il rapporto di forza che si instaurerà: una ipotesi che se non è scartata dall’intersindacale, ma che neppure è stata decisa a priori.
Da oggi, mentre la discussione sulla riforma andrà avanti la prossima settimana in Parlamento, si apre il periodo di vacanze nella zona B dell’Esagono, ed anche per questo – oltre che per permettere alle persone di raggiungere i concentramenti nei maggiori nuclei urbani – che i sindacati delle ferrovie non hanno scioperato.
É chiaro che segnali di insofferenza difficilmente “prevedibili” stanno incominciando ad affiorare oltre il quadro delle iniziative previste.
Così per esempio a metà giornata all’aeroporto d’Orly (Val-de-Marne) uno sciopero selvaggio dei controllori di volo ha fatto cancellare meta dei voli in partenza od in arrivo dallo scalo. Ad ascoltare o leggere le interviste ai manifestanti si ha l’impressione che l’unica strada percorribile, contro un governo sordo di fronte alle richieste di un opinione pubblica a larga maggioranza contro la riforma, sia quella di attuare forme di protesta più “dure” senza le quali il governo difficilmente cederà.
Facciamo un quadro delle mobilitazioni partendo dai DOM-TOM (i dipartimenti della “Francia d’oltremare”).
A La Réunion, secondo la prefettura, si sono radunate 2.000 persone a Saint-Denis e 1.200 a Saint-Pierre; secondo i sindacati erano 2.500 e 1.800. Numeri importanti, anche considerando che non sono abituali le manifestazioni di sabato sull’isola. Non è da escludere che giovedì prossimo, con l’arrivo di Jean-François Carenco, ministro dei Territori d’OltreMare, il movimento non trovi forme più radicali.
Secondo quanto riporta France24: «Per questa prima mobilitazione di sabato, le sfilate mattutine hanno radunato persino più persone che il terzo atto, il 7 febbraio». Le immagini postate dalla pagina d’informazione dell’ala più combattiva della CGT – Unité CGT – mostrano cortei ultra-partecipati anche in città di provincia: Châtellerault, Saint-Etinee, Valenciennes, Beauvais, Alès, Amiens, Ancenis, Angoulème, Auch, Bagnols, Bressuire, Chalons, Dieppe, Douai, Dunquerque, Fécamp, Lannion, Lons Le Saunier, Lorient, Mende, Reims, Roanne, Sablé sur Sarthe, Saint Junien, Strasburgo, Tarbes, Vendome, Yvetot…
Naturalmente i cortei maggiormente partecipati sono stati quelli a Parigi e Marsiglia, tra i poli maggiori della protesta contro la riforma delle pensioni, ma anche a Tolosa e Bordeaux i numeri sono stati importanti.
Il destino della discussione parlamentare del progetto di riforma non è di fatto ancora chiaro. Sono stati depositati più di 20mila emendamenti, di cui 18.000 da parte della NUPES.
L’articolo 1 relativo alla scomparsa di una parte dei “regimi speciali” pensionistici è stato adottato venerdì con 181 voti a favore e 163 contrari (non avendo una maggioranza, Macron è stato in questo caso appoggiato dalla destra gollista).
Prevede che dal 1 settembre del 2023 i neo-assunti nella RAPT (la metro parigina), nelle industrie elettriche e del Gas (come EDF), i membri del CESE e della Banca di Francia, non godano più delle condizioni garantite fino ad ora ai loro colleghi. É la cosiddetta clausola “du grande-père” adottata anche nel 2018 per la riforma della SNCF, le ferrovie francesi.
Alcuni “regimi speciali” verranno comunque mantenuti.
L’articolo 7 contente la misura-faro dell’innalzamento dell’età pensionabile dai 62 – erano 60 poco più di una decina di anni fa – a 64 anni è particolarmente atteso, ed i “gollisti” (LR) di Éric Ciotti sono spaccati su questo punto chiave.
Senza il loro voto favorevole, il governo del Primo Ministro Elisabeth Borne dovrebbe ricorrere alla decretazione, bypassando il voto per metà marzo.
Macron sta scherzando con il fuoco, e non è affatto detto che non si bruci pesantemente, perché le classi subalterne in Francia sono ben consapevoli che l’unica strada per vincere quest’ennesimo braccio di ferro con il “presidente dei ricchi” sta nell’alzare il livello dello scontro, bloccando il paese.
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