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Gli applausi de ‘il manifesto’ per Biden e Meloni

Ogni tanto mi ritrovo a comprare il manifesto. Non che pensi di trovarci chissà che. Un po’ per vecchie abitudini dure a morire; un po’ perché, guardando i titoli online, a prima vista mi paiono accattivanti: d’altronde, la specialità de il manifesto sono proprio i titoli.

Insomma, ieri c’erano il discorso alla nazione di Vladimir Putin e tutta la sceneggiata di Meloni che a Kiev dava il cambio a Biden, spostatosi a Varsavia per rivolgersi «un’altra volta ai russi». Così l’ho comprato, il manifesto, ma mi sono limitato a questi tre temi; dopo di che è passata ogni voglia di leggere altro.

Il confronto tra i servizi è illuminante sulle “convinzioni” di via Bargoni: tanto sbeffeggiante il primo, nei confronti delle «prevedibili accuse» di Putin «all’”Occidente” e all’Ucraina», quanto ossequioso e mieloso il secondo verso la Meloni, secondo la quale «in Ucraina è in atto un processo accomunabile all’Ottocento italiano».

Tanto irridente il primo verso il Presidente russo, la cui parole «seguono un copione già impiegato più volte in questo anno di guerra», quanto “toccante” il servizio (al servizio di chi?) da Varsavia, dove l’arrivo di Biden è «stato un evento molto sentito in tutto il paese».

Ora, una volta di più – e ce ne scusiamo – diciamo che le nostre eventuali simpatie per Vladimir Putin cominciano e finiscono quando dice (e soprattutto quando dà) il fatto loro ai nazigolpisti insediati a Kiev nove anni fa con l’intervento diretto di USA-UE-NATO. Per il resto, pensiamo che i comunisti russi abbiano già spiegato a sufficienza l’essenza di classe borghese dell’attuale potere in Russia, espressione degli interessi del grosso capitale industriale e finanziario.

E così, a via Bargoni scrivono candidamente che «Putin minaccia da Mosca», a differenza di Biden che invece «risponde da Varsavia»: si nota la diversità d’accento? D’altronde, quanta comprensione si legge tra le righe, per il tono con cui il presidente USA, dalla capitale polacca, ha proclamato ai russi che «Gli Stati Uniti e i paesi europei non vogliono controllare e distruggere la Russia»! *

Quale abisso tra un Putin, «dittatore» (parola di Biden) che accusa «L’occidente capace di ogni nefandezza» e nel suo discorso è seguito dalle «élite del paese a Mosca», e un Biden che invece quell’Occidente lo difende e la cui calata su Varsavia è resa ancor più “democratica” dalla presenza (qui il servizio raggiunge vette di magnificazione della democrazia europeista) di «Lech Walesa, ex leader di Solidarnosc, il primo sindacato libero dell’Europa orientale». Che la madonna di Czestochowa l’abbia in gloria…

Ma l’afflato demo-liberale de il manifesto è al colmo quando riporta le parole di una neofascista che, rivolta a un nazigolpista, gli assicura che, loro, saranno «insieme fino alla vittoria».

La commozione del cronista è tale che si sprigiona irrefrenabile quando «Meloni non ha esitato a connotare la resistenza delle forze armate ucraine di rimandi ideologici. E neanche il Risorgimento è stato risparmiato»: che ardore, che impeto patriottico scaturiva nel rievocare mentalmente la «resistenza delle forze armate» germaniche all’avanzare delle orde di bolscevichi verso il Reich.

Una commozione che evolve in passione per quella conferma de «l’atlantismo del governo italiano come non si faceva da tempo». Eja, eja, sembra sul punto di gridare il cronachista, quando cita il golpista di Kiev che liquida Berlusconi con un perentorio «non ha mai subito un bombardamento alla propria abitazione», come se i bombardamenti ucraini su scuole, ospedali, parchi giochi del Donbass, a partire dal 2014 fossero la condizione naturale e meritata per quei filo-russi allineati a «uno dei tormentoni del complottismo Usa allargatosi a macchia d’olio in tutta Europa».

Insomma, un bel passo in avanti quello fatto a via Bargoni: dal «non ci sono né buoni né cattivi» di 6-7 anni fa, in riferimento a formazioni naziste di Kiev e milizie popolari di L-DNR, si è arrivati, in onore ai dettami liberali, a ignorare il nazismo di quelle formazioni, oggi democraticamente inquadrate nelle «forze armate ucraine».

Ancora un passo e i neofascisti nostrani diventeranno per il manifesto i portabandiera dei valori nazionali e dell’«amor di patria» per il loro scandire «chiaramente che “il popolo ucraino sta combattendo per ognuno di noi”». A noi!

Ma, oltre all’annuncio sulla sospensione dallo Start, di cui si parla diffusamente altrove, cosa ha detto Vladimir Putin a proposito della situazione interna del paese?

Diamo la parola a Gazeta Pravda, organo semi-ufficiale del KPRF zjuganovista, non certo una banda di crudeli bolscevichi e nemmeno terribili giacobini. Putin, scrive Pravda, ha fatto nettamente capire che, sotto la sua direzione, la Russia intende proseguire sulla strada del mercato. Cioè, a dispetto delle frasi sul “capitalismo finito in un vicolo cieco”, non si ha «intenzione di deviare da questo sbagliato solco capitalista. Nessuna sorpresa: la classe dominante non comincerà certo ad annientare se stessa».

Pravda evidenzia anche alcuni aspetti positivi del discorso di Putin, in particolare nell’allargare alle nuove regioni i benefici sociali per maternità, giovani famiglie, nel sostegno a comunità scientifica, specialisti, ai giovani, con attenzione particolare all’istruzione e sottolineando specificamente la questione del sostegno alle famiglie dei militari impegnati in Ucraina, per cui verrà creato un fondo speciale.

Ha un po’ bacchettato i miliardari che hanno portato somme colossali fuori dalla Russia, esortando a «investire nel proprio Paese» per non esser messi alla berlina dal popolo: in questo modo, osserva Pravda, il presidente «ha un po’ carezzato gli umori antioligarchici diffusi tra il popolo». Ma non più di questo.

Non è mancata la stoccata a Putin che, «almeno questa volta, non ha menzionato il filosofo fascista Ivan Il’in». Tuttavia, il presidente non ce l’ha fatta a non citare il «grande statista» Stolypin, sul quale Klim Žukov ha pubblicato un ottimo video, in occasione della ridenominazione, a Saratov, di via Kirov in via Stolypin: questo, a proposito di toponomastica post-sovietica in Russia.

Proprio Stolypin, il latifondista Presidente del consiglio e Ministro degli interni zarista, distintosi per le feroci repressioni successive alla rivoluzione del 1905.

Stolypin, acclamato in Russia per quella riforma agraria, a proposito della quale Lenin scriveva che fosse tesa a dar vita a una classe di piccoli proprietari contadini, con l’obiettivo di «scindere la massa contadina e far sorgere da essa uno strato di “nuovi proprietari fondiari”, contadini-proprietari benestanti, i quali avrebbero difeso dalla massa, “non per paura, ma in coscienza”, la tranquillità e l’inviolabilità delle enormi tenute dei latifondisti…

Per Russia riformata Stolypin intendeva un mutamento per cui nelle campagne dovessero rimanere soltanto, da una parte latifondisti soddisfatti, soddisfatti strozzini e kulaki, e dall’altra braccianti smembrati, oppressi, indifesi e impotenti».

In definitiva, scrive Pravda, il discorso presidenziale ha avuto «ancora una volta il carattere di una seduta collettiva di psicoterapia, volta a calmare la società»: non c’è di che preoccuparsi, il Paese è stabile, tutto è sotto controllo.

Soprattutto, se a “controllare” i passi di Mosca ci pensano a via Bargoni, forti delle parole del segretario della NATO, Jens Stoltenberg e dell’Alto rappresentante per gli affari esteri UE Josep Borrell: garanzie di “libertà” contro “l’autocrazia”.

* PS Qualche giorno fa, il portale ColonelCassad aveva anticipato i punti salienti del discorso, con cui Biden da Varsavia si sarebbe rivolto ai russi. Per parte nostra, non giuriamo sull’autenticità di quelle anticipazioni, ma il senso del proclama c’è tutto. Il tono e l’approssimativa grammatica fanno tornare in mente altri appelli lanciati ai russi ottant’anni fa. E dunque:

1 Rus Ivan, arrenditi

2 Rus Ivan, il Reich americano non fare nulla di cattivo russo normale. Noi siamo combattere solo contro giudeo Putin

3 Rus Ivan, in prigionia ti aspettare lardo salato, scarponi caldo e nuovo smartphone

4 Rus Ivan, il Reich americano das ist il più grande civilizzazione e cultura europeo. La Russia è popolo selvaggio e deve sottomettersi un dirigente civile per il suo bene

5 Tutti popoli d’Europa sono stati conquistati da Reich americano. Il Reich americano è il più forte. La resistenza è inutile. Rus Ivan, arrenditi, altrimenti noi eliminare te e tutta tua famiglia e tutta Russia

6 Rus Ivan, non credere giudeo Putin e suoi commissari. Credi Reich americano. Uccidi Putin e commissario e esci mani alzate e porta con te Gazprom e Rosneft

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8 Commenti


  • paolo regolini

    Povero manifesto, quantum mutatus ab illo!


  • gavroche

    Infatti tra i quotidiani che escono in edicola, leggo ormai molto più volentieri il Fatto Quotidiano (che tuttavia sul caso Cospito sta dimostrando una ferocia e un’ottusità piuttosto aberrante) anziché il sempre più scolorito Manifesto, anche se riconosco che quest’ultimo mantiene sempre alcuni ottimi collaboratori per cui non mi sentirei di gettare via il bambino assieme all’acqua sporca.


  • Giancarlo Staffo

    “Manifesto” (??!!) giornale anticomunista americanoide invenduto e finanziato dal governo.


  • Eros Barone

    Se si assume come referente materiale di un giudizio sulla funzione del “manifesto” quello che una volta si usava definire il “popolo di sinistra”, in sostanza un’area politico-culturale caratterizzata da particolari tratti antropologici, è difficile negare che il tratto saliente di tale area è stato quello della prevalenza della retorica sulla dialettica, cioè del discorso metaforico e letterario sul rigore della teoria e dell’elaborazione intellettuale. Altrettanto innegabile mi sembra la constatazione di un dato di fatto, e cioè che alla fine di una simile liturgia retorica, durata decenni e riprodotta, mimata e riproposta ancor oggi dal “manifesto”, fino a generare nausea e a sconfinare nel grottesco, è svanita la stessa capacità razionale di utilizzare un metodo critico-scientifico per la comprensione delle strutture socio-economiche nazionali ed internazionali e il vuoto è stato riempito da una versione ‘radical-chic’ dell’ideologia borghese. Ma vi è di più, poiché un significativo risvolto di quel comportamento retorico-metaforico, ricco di suggestione quanto povero di contenuto, è stato – e non poteva non essere – la ‘conventio ad excludendum’, sottaciuta e sistematica, verso la critica sui due fronti: contro l’ideologia del capitalismo imperialista e contro le sue varianti revisioniste, riformiste e trasformiste. Sennonché un simile indirizzo critico e rivoluzionario è sostanzialmente irricevibile per le ‘anime belle’ del “manifesto” e dintorni , perché mette in discussione le oblique ipocrisie dell’élitismo di sinistra e tende ad affermare il grande principio della inseparabilità della critica radicale del capitalismo dalla critica di quella forma di “autorealizzazione amministrata”, tipicamente americaneggiante, che si esprime nella subcultura della borghesia di sinistra. Infine, valga una breve nota sulla cosiddetta ‘sinistra’ (Pd, Sinistra italiana, Cgil e, per l’appunto, “il manifesto”), dal cui atteggiamento subalterno e tendenzialmente, quando non apertamente, collaborazionista è legittimo dedurre che non verrà alcun contributo alla mobilitazione contro la guerra imperialistica. Una sola cosa è infatti sicura: in alcuni casi, ad esempio in fatto di bellicismo e di atlantismo, questa cosiddetta ‘sinistra’, o una parte di essa, batte in oltranzismo persino il governo ed esprime valori non meno borghesi e reazionari di quelli delle destre. Per converso, bisogna riconoscere che, a differenza di una siffatta ‘sinistra’, le “destre sociali” italiane e mondiali professano apertamente i propri ideali, additando anche a vasti settori delle masse oppresse e disperate una rigenerazione completa, radicale e addirittura ‘rivoluzionaria’ delle società borghesi, di cui ben conoscono la decadenza. Che serva una svolta radicale nella storia del mondo è infatti sia evidente sia urgente. Alle esplosive contraddizioni di una società sbagliata, che intende far pagare all’umanità il suo fallimento storico con sacrifici, regressioni e guerre di sterminio, va allora contrapposta, con coraggio, lucidità ed ostinazione, la prospettiva di una società nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione e la premessa del libero sviluppo di tutti.


  • rosinathecat

    Mi riconosco totalmente nel suo sentimentale legame con un giornale come IL Manifesto .
    Anch’io mi aspettavo bein altre parole. Innanzi tutto, mi aspettavo che qualcuno si ponesse delle semplice domande: che fa Biden a Kiev ? A che titolo ce lo ritroviamo a Kiev, come a Varsavia ? Perché l’intento di tutti i media sembra essere proprio la distorsione piú distopica della realtà ?


  • Enzo A.

    Mi ricordo ancora l’editoriale di Rossana Rossanda in cui dopo lo scioglimento del patto di Varsavia invitava a fare altrettanto alla Nato. Il manifesto nato in giusta dissidenza con invasione sovietica in Cecoslovacchia
    lo ha scambiato con quella ucraina del 2022 ignorando decenni di storia cambiamenti ed economia
    C’è un grosso equivoco mediatico e politico: la testata nn ha nulla a che vedere con l’aggettivo comunista, al contrario è divenuta da tempo una sottocasta del sistema che afferma di combattere.. Vedasi censura a Manlio Dinucci Sull’Ucraina e strategia della Cia.
    Molto altro ci sarebbe da dire su ex firme che lo hanno usato come trampolino di lancio, vedasi l’ex ministro Frattini e Gianni Riotta degno del Minicilpop. Il triste epilogo della sinistra italiana che da sostantivo è virato in aggettivo.


  • Alvaro

    Ormai compro il Manifesto naturalmente allineato solo per comprare Le Monde diplomatique, per il resto andiamo verso la sinistra piccolo borghese, sta facendo la svolta dei verdi tedeschi da pacifisti a guerrafondai. alvaro


  • Walter Consumati

    e pensare che tanti anni fa ho anche contribuito con 500.000 lire mie e 500.000 dell’associazione di cui faccio parte per sostenerlo acquistando le azioni. Ne ho fatte di cazzate nella vita!

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