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Quei ministri di Kiev scelti a Washington

Molti siti russi riportano frammenti della lettera – resi di pubblico dominio dall’ex Ministro degli esteri ucraino (dal dicembre 2012 al febbraio 2014, sotto la presidenza Janukovič) Leonid Kožara – con cui il senatore statunitense Dick Durbin fornisce al premier ucraino Arsenij Jatsenjuk indicazioni sulla politica da seguire di fronte ad alcuni avvicendamenti ministeriali prospettati dal presidente Porošenko.
<Il Senato degli Stati Uniti> scrive Durbin nel documento pubblicato da Rossijskaja gazeta <continua a credere in Lei e condivide le sue preoccupazioni relative al prospettato licenziamento, da parte del presidente Petro Porošenko, di figure chiave del governo ucraino, sinceramente votate alla causa dello sviluppo democratico nel vostro paese>. Nello specifico, Durbin fa il nome del Ministro delle politiche agrarie Aleksej Pavlenko, il cui dimissionamento potrebbe intralciare la collaborazione tra i produttori agricoli ucraini e americani. E anche per il proseguimento della collaborazione nel campo dell’energia atomica, prosegue da buon padrino Dick Durbin, è necessario lasciare a capo della società “Energoatom” Jurij Nedaškovskij. Secondo la Rossijskaja gazeta, dall’attuale lettera di Durbin appare chiaro che già da tempo, sulla politica dei quadri, sia in corso un’attiva corrispondenza tra lui e Jatsenjuk. Durbin aggiunge poi che altri senatori USA sono concordi con lui nel ritenere che il Ministro per l’energia Vladimir Demčišin e il capo di “Ukrgazdobiči” Sergej Kostjuk non rispondano alle necessità dei posti occupati. Per quanto riguarda il Ministro degli interni Arsen Avakov, sembra che la questione debba per ora essere rinviata, dato che sotto la cupola del Campidoglio non c’è unanimità di vedute: dunque a Kiev si dovrà attendere che le diverse lobby statunitensi trovino il giusto compromesso per impartire l’ordine definitivo a Jatsenjuk. Comunque sulle rive del Dnepr non si è perso tempo nell’obbedire al comando di Washington: pare che la lettera di Durbin fosse datata 25 giugno e lo stesso giorno il sito ucraino Tsenzor.net riportava la notizia della sostituzione di Sergej Kostjuk con Oleg Prokhorenko. Secondo RT, Kostjuk aveva presentato le dimissioni già l’8 giugno. Quando si dice il pragmatismo americano!
Come non essere scossi dalla sollecitudine con cui oltre Atlantico si è presa a cuore la sorte dell’Ucraina. L’ambasciatore USA Geoffrey Pyatt, ad esempio, ha definito Odessa, città <attraverso cui corre la linea del fronte nella lotta alla corruzione in Ucraina, il “laboratorio americano” per il sostegno statunitense alle riforme radicali contro la corruzione>. Anzi, gli americani studieranno in corpore vili le iniziative intraprese in proposito nella regione di Odessa: <analizzeremo alcuni piani che il Dipartimento di Stato è pronto a sostenere e porteremo avanti quello che Voi con Eka Zguladze avete fatto qui, con il Ministero degli interni e le pattuglie della polizia>. L’esternazione di Pyatt era rivolta sia a Mikhail Saakašvili, l’ex presidente georgiano nominato da Porošenko prima consigliere per le riforme e poi, una volta attribuitagli la cittadinanza ucraina, governatore della regione di Odessa, sia anche al vice Ministro degli interni Ekaterina Zguladze – amichevolmente detta Eka; anch’essa ex Ministro georgiano, poi naturalizzata ucraina e messa a libro paga del governo Jatsenjuk – che sabato scorso ha inaugurato le nuove uniformi della polizia ucraina stile New York Cop. Se questo non è amore! D’altronde Pyatt deve essere rimasto impressionato dall’intraprendenza del braccio destro di Saakašvili, l’altro georgiano Gheorghij Lortkipanidze – vice Ministro degli interni di Tbilisi sotto la presidenza di Saakašvili – che ha assicurato un ricambio completo, nel giro di 10 giorni, di tutto lo stato maggiore di polizia e guardia di finanza di Odessa e la sostituzione con uomini da lui (?) scelti personalmente. Evidentemente, la lotta a suon di dimissionamenti e nomine pilotate che sta investendo il governo Jatsenjuk, sta dilagando a spron battuto fino ai confini nazionali e non ci sarebbe certo da stupirsi se, tra qualche giorno, venisse alla luce, a Odessa o a Kharkov o Dnepropetrovsk, una lettera di raccomandazioni del Senato americano come quella giunta a Kiev.
Del resto, chi più di Saakašvili può dirsi amico americano, sempre pronto a rispondere al richiamo che giunge dalle acque del Potomac, sia quando era georgiano (una volta avuta la cittadinanza ucraina, ha perso quella originaria), sia ora che non lo è più. Poco importa il colore del passaporto, quello che conta è riuscire nell’impresa di continuare a ricevere, ora che è governatore di Odessa, lo stipendio di 200mila dollari come collaboratore del New International Leadership Institute di Washington. Anche se un campione della lotta alla corruzione, quale Geoffrey Pyatt ha definito Saakašvili, ricopre <un posto pubblico non per i soldi; servire la società è sempre più importante dei soldi> – parola del buon Mikhail su Facebook – è indicativo che il New International Leadership Institute sia sorto appena quest’anno per “preparare una nuova generazione di leader, sostenendo lo sviluppo di nuovi approcci alla soluzione dei problemi di politica, economia e nella sfera della sicurezza”. Sul sito dell’istituto, in cui Saakašvili è indicato come presidente della direzione, si dice che annualmente verranno scelti, per essere addestrati in USA alla leadership, gruppi di persone soprattutto dei paesi del progetto “Partenariato orientale” (Ucraina, Bielorussia, Georgia, Armenia, Azerbajdžan): se a qualche mente perfida venissero in mente le “rivoluzioni colorate”, si dovrebbe ricredere e pensare piuttosto alla vicinanza di spirito e di obiettivi che rende Kiev così pronta a recepire i desideri di Washington.
E così, anche per accorciare le distanze tra centro di comando (USA) e reparti operativi (ucraini) ecco che la marina statunitense che via via incrocia nel mar Nero troverà in Odessa il comando della marina militare di Kiev: Saakašvili ha decretato che l’edificio della Casa dei sindacati, in cui si consumò la tragedia dei sostenitori di antimajdan, presi a pistolettate e cocktail Molotov da neonazisti e mercenari stranieri, d’ora in avanti ospiterà l’ammiragliato ucraino: che diamine, era l’ora di farla finita con le patetiche commemorazioni per i bruciati vivi del 2 maggio 2014; in fondo, i tribunali ucraini avevano da tempo stabilito che responsabile delle decine di morti era stato il forte vento che quel giorno aveva alimentato le fiamme!

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