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La guerra sta stancando anche i governi euro-atlantici

A mettere in fila solo alcuni dei segnali che arrivano dall’Europa e dagli Stati Uniti a propositi di ulteriori aiuti, militari e non, all’Ucraina si vede con estrema chiarezza che il tempo va scandendo.

L’esito penoso della “controffensiva di primavera” (pochi chilometri di terra di nessuno “riconquistati”), i costi incalcolabili in uomini (ucraini) e mezzi (armi e munizioni di provenienza Nato), la prospettiva di un conflitto lungo e sempre più costoso, ad altissimo impatto soprattutto sull’economia europea, il dilagare nel resto del mondo dell’insofferenza per l’egemonia Usa senza più uno scopo… stanno provocando una “riflessione” anche nei cervelli meno reattivi dell’area euro-atlantica.

Senza alcun ordine gerarchico, proviamo ad elencare.

Negli Stati Uniti, com’è noto, il bilancio federale è stato bloccato con un compromesso che esclude nuovi stanziamenti per aiuti militari a Kiev. Quel compromesso è peraltro costato la poltrona allo speaker (in realtà presidente) della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy.

Per colmo di follia la sfiducia è arrivata su una mozione presentata da congressisti repubblicani fedelissimi a Trump, cui si sono accodati come pirla tutti i “democratici”. Ora la Camera risulta non operativa fino all’elezione di un nuovo presidente, che andrà scelto con faticose e soprattutto lunghe mediazioni tra i tradizionali campi contrapposti, peraltro divisi al proprio interno.

Biden è stato costretto ad annunciare un “importante discorso alla nazione” per provare a superare una impasse che rischia di bloccare molte decisioni chiave – in termini di spesa e non solo – in una situazione internazionale in rapido movimento.

Ma se anche nell’immediato fosse trovata una soluzione efficace, sul medio periodo le cose sembrabo decisamente più complicate. Per mantenere il sostegno di Washington a Kiev al livello raggiunto oggi, sarebbe necessario che il presidente Joe Biden (o la vice Kamala Harris) fosse eletto alla Casa Bianca, e che al Congresso si formasse una maggioranza favorevole a questo sostegno.

E’ noto però che i sondaggi degli ultimi mesi mostrano un’opinione pubblica divisa, con Donald Trump in vantaggio su Joe Biden del 10%. Qualsiasi si il presidente eletto, difficilmente il Congresso sarà a maggioranza per il proseguimento degli aiuti militari in questa quantità.

Gli istituti di ricerca Usa considerano al 25-35% le probabilità che il sostegno americano duri oltre il 2024. Oltre ai problemi politici, infatti, bisogna considerare anche quelli tecnici e produttivi: gli arsenali anche Usa si vanno svuotando fin troppo rapidamente (all’Ucraina vengono inviate armi e relative munizioni non di ultima generazione) e manca una programmazione per sostituire in tempo reale i vuoti che si creano.

Passando all’Europa la situazione non è migliore, al punto che persino una fan sfegatata dei nazisti ucraini, come la premier italiana, ha dovuto segnalare un certo “affaticamento”.

È evidente – ha detto ieri Giorgia Meloni intervista a SkyTg24che la guerra genera conseguenze che impattano fortemente sulla nostra società e che se noi non siamo bravi ad affrontare quelle conseguenze, le opinioni pubbliche continueranno a scricchiolare”.

Ho posto questo problema – ha aggiunto – inflazione, prezzi dell’energia, migrazioni sono tutte conseguenze del conflitto che, impattando sui cittadini, generano una resistenza o rischiano di generare una stanchezza dell’opinione pubblica. Se noi vogliamo difendere l’Ucraina con forza, dobbiamo anche fare attenzione a queste conseguenze”.

Il ministro della difesa, Crosetto, è stato anche più preciso: L’Italia ha fatto molto, ha puntato molto sui sistemi di difesa antiaerea per fermare gli attacchi che vanno sulle infrastrutture civili ed energetiche, sulle città, sulle scuole”.

Il problema è che non hai risorse illimitate. E da quel punto di vista l’Italia ha fatto quasi tutto ciò che poteva fare, non esiste molto ulteriore spazio.”

Della Slovacchia si è detto nei giorni scorsi. La vittoria del socialdemocratico Fico alle elezioni cambia la posizione del paese, che già di suo non era tra i più entusisasti per la guerra ai propri confini. Secondo il quotidiano Dennik N, il Ministero della Difesa slovacco aveva preparato un nuovo pacchetto di aiuti per l’Ucraina. Ma la presidente Čaputová, pur potendolo firmare mentre era ancora in carica il predecessore di Fico, si è rifiutata di farlo affermando che le elezioni parlamentari “debbono essere rispettate”.

La Polonia, dopo aver ceduto a Kiev tutto l’arsenale ex sovietico ed essere stata “ringraziata” con la concorrenza sul grano (quello ucraino costa molto meno del polacco), ha già annunciato uno stop a future forniture. L’esercito polacco, infatti, in alcune zone, ha perso quasi il 40% delle sue capacità operative a causa delle consegne all’Ucraina ed ora deve essere riarmato con armi nuove (che ovviamente non cederà).

Anche la Germania sta tirando con più decisione il freno. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz non vuole consegnare missili da crociera Taurus all’Ucraina richiede. Secondo il quotidiano Tagesschau, Berlino e Kiev starebbero invece discutendo del rafforzamento della difesa aerea ucraina e di una possibile ulteriore consegna di missili di difesa Patriot da parte della Germania. Ma non più di questo…

Il bilancio logistico di oltre 18 mesi di guerra mostra che dopo aver consegnato un centinaio di moderni carri armati Leopard 2, le consegne europee consistono ora in carri armati Leopard 1 risalenti alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. Mezzi dello stesso livello dei vecchi T-62 e T-55 di epoca sovietica.

Ma mentre le fabbriche di armi russe ora operano a pieno regime, a ritmi superiori a quelli prebellici, non altrettanto può avvenire in Europa (ci vogliono anni per riconvertire stabilimenti produttivi o aprirne di nuovi, ammesso che lo si voglia fare).

Per questo Kiev, nei giorni scorsi, ha proposto di installare direttamente sul proprio territorio nuove fabbriche di armi, magari con proprietà e tencologia tedesca, per assicurarsi una produzione autonoma e non dipendere solo dai “regali” euro-atlantici.

Ma le nuove fabbriche sarebbero immediatamente bersaglio dei bombardamenti russi. E tutti gli analisti militari concordano nel dire che è molto improbabile che Mosca permetta che una fabbrica (Rheinmetall o altre) possa essere funzionante in Ucraina.

In effetti, tutto indica che entro un anno la posizione militare dell’Ucraina sarà pesantemente deteriorata per l’effetto combinato della riduzione degli aiuti statunitensi e dell’esaurimento delle scorte trasferibili europee, dell’impossibilità per Kiev di aumentare la produzione locale e della massiccia guerra russa sforzo.

E siccome – materialisticamente parlando – è “la condizione materiale a produrre la coscienza”, ecco che improvvisamente quel che non poteva neppure essere pensato (una via per trattative, anche alle spalle di Kiev) diventa quasi “senso comune” anche ai piani alti dei governi europei.

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1 Commento


  • gasparino

    Finché la Russia non si stanca e si stufa dei Paesi Europei che continuano inesorabilmente a far gli gnorri e orecchie da mercante nel rifornire militarmente l’Ucraina . . lo capiranno solo quando cominceranno ad andare a picco le proprie navi Metaniere e Militari per ravvedersi nell’andare avanti in una guerra per grazia ricevuta dagli Yankee !

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