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La guerra ai bambini: perché Israele uccide i minori palestinesi

Per comprendere la realtà palestinese, prima che il “Diluvio di Al Aqsa” attirasse di nuovo l’attenzione del mondo intorno a Gaza e ai territori occupati in Cisgiordania, abbiamo ritrovato questo articolo di cui consigliamo la lettura.

Fate bene attenzione alla data della pubblicazione in inglese – il 16 settembre di quest’anno – da parte di uno stimato professore per nulla accostabile ad Hamas. Ha tra l’altro scritto un libro insieme allo storico israeliano – sicuramente moto critico con i governi di Tel Aviv – Ilan Pappe, di cui vi abbiamo proposto spesso le analisi.

Si concentra sugli innumerevoli omicidi di bambini palestinesi da parte degli israeliani (soprattutto da parte dell’esercito). Omicidi che non hanno fatto mai notizia qui da noi, ma che evidentemente sono stati registrati con immenso dolore e rabbia da parte di quel popolo.

Quanti vi dicono, dalle televisioni o dai giornali mainstream, “l’Occidente avrà fatto pure i suoi errori, però ora davanti ai corpi a terra non è il momento di guardare alla storia precedente“, o anche “Israele avrà commesso i suoi errori però è l’unica democrazia del Medio Oriente” (dimenticando stranamente il Libano, per esempio) e “rispetta i diritti umani“…

Trovate voi i termini “appropriati” per definirli. Noi li abbiamo terminati.

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Per Israele, uccidere i bambini palestinesi è una scelta politica. Questa affermazione può essere facilmente dimostrata ed è supportata dai risultati dell’ultimo rapporto di Human Rights Watch. La domanda è: perché?

Quando un agente di polizia o un soldato spara a un bambino in qualsiasi altra parte del mondo, anche se in modo assolutamente tragico, si può sostenere, almeno in teoria, che l’omicidio sia stato una tragica fatalità.

Ma quando migliaia di bambini vengono uccisi o feriti in modo sistematico, e in quantità notevoli in un periodo di tempo relativamente breve, è ovvio che vi sia intenzionalità.

In un rapporto intitolato: “Cisgiordania: Aumento Nelle Uccisioni Israeliane di Bambini Palestinesi”, pubblicato il mese scorso, Human Rights Watch è giunto alle sue conclusioni sulla base di un’analisi esaustiva di dati medici, testimonianze oculari, riprese video e ricerche sul campo, e con un focus speciale su quattro casi specifici.

Uno è quello di Mahmoud Al-Sadi, ragazzo palestinese di 17 anni che viveva nel campo profughi di Jenin, ucciso lo scorso novembre a circa 320 metri di distanza dagli scontri avvenuti nel campo tra le forze d’invasione israeliane e i combattenti di Jenin.

Mahmoud stava andando a scuola e non aveva in mano nulla che potesse essere percepito, dal punto di vista dei soldati, come minaccioso o sospetto. La sua è una storia tipica e si ripete spesso in tutta la Cisgiordania, a volte quotidianamente. Il risultato prevedibile, come affermato da Human Rights Watch, è che questi omicidi vengono commessi senza “che i responsabili vengano perseguiti”.

Dall’inizio dell’anno al 22 agosto, 34 bambini palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, in un 2023 che si prefigura l’anno più sanguinoso dal 2005. In effetti, “supera già le cifre annuali del 2022, le più alte dal 2005”, in termini di vittime, secondo quanto riferito dal Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Tor Wennesland, durante una conferenza il mese scorso.

Questi numeri, insieme ad altri fattori, inclusa l’espansione da parte di Israele di insediamenti illegali in Cisgiordania, minacciano “di peggiorare la difficile situazione dei palestinesi più vulnerabili”, secondo Wennesland.

Tuttavia, questi “palestinesi più vulnerabili” esistono al di là delle semplici statistiche. Quando i soldati israeliani hanno ucciso Mohammed Tamimi il 5 giugno, il nome del bambino è stato aggiunto a una lista in continua espansione. Il ricordo del piccolo, come quello di tutti gli altri bambini palestinesi, è impresso nella coscienza collettiva di tutti i palestinesi. Ne acuisce il dolore, ma impone anche di continuare a lottare e resistere.

Per i palestinesi, l’uccisione dei loro figli non è solo un atto casuale di un esercito che manca di disciplina e non teme ripercussioni. I palestinesi sanno che la guerra israeliana contro i bambini è una componente intrinseca della più ampia guerra israeliana contro tutti i palestinesi.

Israele non dichiara ufficialmente di prendere deliberatamente di mira i bambini palestinesi. Sarebbe un disastro in termini di immagine. Tuttavia, alcuni funzionari israeliani, in passato, hanno abbassato la guardia e fatto trapelare una logica strana e preoccupante.

I bambini palestinesi sono “piccoli serpenti”, ha scritto la politica Ayelet Shaked nel 2015. In un post su Facebook pubblicato dal Washington Post, Shaked ha dichiarato guerra a tutti i palestinesi e ha chiesto l’uccisione delle “madri dei martiri palestinesi”.

Ha scritto: “Dovrebbero seguire i loro figli, niente potrebbe essere più giusto”. Poco dopo, Shaked divenne, ironia della sorte, il Ministro della Giustizia israeliano.

I dati raccolti dai gruppi internazionali per i diritti umani non lasciano dubbi sul fatto che la natura delle uccisioni dimostri che queste fanno parte di una strategia globale messa in atto dall’esercito israeliano. In tutti i casi recentemente indagati da Human Rights Watch, “le forze israeliane hanno sparato alla parte superiore del corpo dei bambini”. Questo è stato fatto senza “intimazioni di avvertimento o l’utilizzo di misure comuni e meno letali”.

Nello specifico, l’uccisione dei bambini palestinesi è una strategia militare israeliana specifica e deliberata.

La stessa logica ora applicata in Cisgiordania è già stata utilizzata nella Striscia di Gaza. I dati delle Nazioni Unite mostrano che, nella guerra israeliana a Gaza nel 2008-2009, sono stati uccisi 333 bambini palestinesi. Altre stime riportano 410.

Nel 2012, 47 bambini sono stati uccisi durante l’Operazione israeliana ‘Pilastro di Difesa’. Nei mesi di luglio e agosto 2014, 578 bambini sono stati uccisi durante l’assalto israeliano alla Striscia. L’attacco del 2021 ha ucciso 66 bambini, mentre nel 2022 il numero era di 17, e così via.

Tra marzo 2018 e maggio 2019, 59 bambini palestinesi sono stati uccisi nella cosiddetta “Grande Marcia del Ritorno”, le proteste di massa che hanno avuto luogo presso la recinzione che separa Israele da Gaza. Tutti i minori sono stati uccisi a distanza dai cecchini israeliani.

Parliamo di migliaia di bambini morti e feriti. Per essere precisi, 8.700 tra il 2015 e il 2022, secondo le Nazioni Unite. Persino la logica insensibile e spesso disumanizzante del “danno collaterale” non può giustificare tali cifre.

Sebbene la guerra contro i bambini palestinesi sia intenzionale e si protragga nel tempo, nessun ufficiale militare o funzionario governativo israeliano è mai stato trascinato dinanzi a un tribunale internazionale.

Persino la “lista della vergogna” stilata dalle Nazioni Unite per l’uccisione di bambini non ha mai incluso Israele, anche se altri Paesi sono stati “esposti” per crimini anche meno efferati contro i minori.

L’uccisione di bambini è percepita, secondo la logica contorta di figure del calibro di Shaked, come funzionale. E, in assenza di qualsiasi responsabilità, Israele non ha motivo di porre fine alla sua guerra contro i bambini palestinesi.

Con le norme del codice militari sempre meno rigide e il terrificante linguaggio genocida utilizzato dai ministri di estrema destra del Paese e dal loro vasto elettorato, è probabile che sempre più bambini palestinesi perderanno la vita in futuro.

Tuttavia, i funzionari delle Nazioni Unite e i gruppi per i diritti umani sembrano essere in grado solo di contare le cifre allarmanti riferite alle vittime. Purtroppo, nessun numero è abbastanza grande da dissuadere Israele dall’uccidere i palestinesi.

Il problema, per i palestinesi, non è solo quello della violenza di Israele, ma anche la mancanza di volontà internazionale di ritenere Israele responsabile. La responsabilità richiede unità, risolutezza, determinazione e azione. Questo compito dovrebbe essere una priorità per tutti i Paesi che hanno veramente a cuore i palestinesi e i diritti umani universali.

Senza tale azione collettiva, i bambini palestinesi continueranno a morire in gran numero e nei modi più brutali, una tragedia che continuerà ad addolorare e mortificare tutti noi.

Settembre 16, 2023

Leggi l’originale inglese qui.

 * Ramzy Baroud giornalista e direttore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, coedito con Ilan Pappé, è “La nostra visione della liberazione: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Baroud è Senior Research Fellow non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

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1 Commento


  • Drty

    Netanyau che un tumore lo fulmini

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