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La working class che i media non vedono

Un’intervista di Anne Rumberger (Jacobin) alla scrittrice statunitense Ann Larson. (*)**

L’insicurezza economica viene raramente denunciata da coloro che l’hanno sperimentata.
Il giornalismo mainstream è sempre più dominato da chi viene da contesti benestanti, escludendo la maggioranza delle persone.

La scrittrice e attivista Ann Larson ha lavorato in un negozio di alimentari durante la pandemia e, nella nuova antologia Going for Broke: Living on the Edge in the World’s Richest Country, osserva ciò che i media mainstream omettono di dire quando raccontano la working class, offrendo allo stesso tempo riflessioni su cosa serve per costruire la solidarietà di classe.

Larson sostiene che unire le persone attorno ad esperienze comuni come il debito e le cattive condizioni di lavoro è la chiave per costruire un movimento di massa della working class.

Potrebbe essere d’aiuto se tutti avessero provato a lavorare in un negozio di alimentari.

Cosa manca quando le prospettive della working class vengono escluse dalla copertura mediatica degli eventi attuali?

Oggi, nella copertura mediatica, manca il punto di vista della maggioranza. La maggior parte degli statunitensi vive di stipendio in stipendio e quasi la metà di noi non potrebbe permettersi un’emergenza di 400 dollari.

I pregiudizi sono il motivo per cui i nostri media raramente coprono i problemi dal punto di vista della working class. Come sottolineano continuamente i miei colleghi dell’Economic Hardship Reporting Project, un numero crescente di giornalisti proviene da contesti benestanti.

Uno studio ha dimostrato che quasi la metà dei giornalisti impiegati presso il Wall Street Journal e il New York Times ha frequentato università d’élite. Quando le persone che riportano le notizie provengono da luoghi così rarefatti, avremo storie incomplete, distorte o false.

Un altro modo per dirlo è che di solito guardiamo tutto dal punto di vista di persone che hanno sempre avuto abbastanza da mangiare.

In che modo il lavoro come cassiera in un supermercato durante la pandemia ha influenzato le tue idee su come la criminalità veniva trattata dai media mainstream?

Nel supermercato dove ho lavorato nel 2020 e nel 2021 il taccheggio era un evento quotidiano, succedeva anche ogni ora. Ma la stragrande maggioranza dei ladri rubava per poter mangiare. A volte i taccheggiatori prendevano il cibo dallo scaffale o dal bancone caldo e se lo mettevano direttamente in bocca. Sapevano che sarebbero stati presi ma erano troppo affamati per preoccuparsene.

Alcuni dei miei colleghi non avrebbero potuto permettersi il cibo senza i sussidi Snap (che sono stati tagliati all’inizio di quest’anno). Una collega anziana, imbottigliatrice, si è limitata al menù per bambini della gastronomia per risparmiare sul pranzo.

Quando uno studio del 2022 ha dimostrato che fino al 75% dei lavoratori del settore alimentare soffre di insicurezza alimentare, non sono rimasta sorpresa. Abbiamo un sistema di distribuzione alimentare in cui le persone che vendono generi alimentari sono pagate troppo poco per permettersi di mangiare.

È stato surreale lavorare in un luogo in cui l’accesso al cibo è un problema così importante mentre i media spesso descrivevano il taccheggio come un crimine contro la grande distribuzione. Gli articoli spesso suggerivano che servisse più polizia per affrontare il taccheggio. Non ho mai capito questa posizione.

Il mio negozio aveva guardie di sicurezza a tempo pieno e i poliziotti si presentavano continuamente per effettuare arresti. Ma le persone affamate continuavano a tornare perché un negozio di alimentari era pieno di cibo e avevano pochi altri posti dove procurarselo.

Alcuni resoconti di furti diffusi suggerivano che il fenomeno fosse la prova del collasso dell’ordine sociale. In realtà mi va bene questa argomentazione, purché possiamo ammettere che il vero problema sono le persone che muoiono di fame nel paese più ricco della storia del mondo.

Gli Stati uniti potrebbero affrontare la disuguaglianza economica in parte attraverso una ridistribuzione del lavoro, in cosa consiste?

Nel mio pezzo Il mio anno pandemico dietro la cassa, che fa parte dell’antologia Going for Broke, scrivo di un incidente accaduto quando un uomo ha cacato sul pavimento del supermercato dove lavoravo.
Gli acquirenti dovevano comprare qualcosa per ottenere il codice per il bagno, ma quelli che non avevano soldi spesso aspettavano fuori dalla porta in modo da poterlo prendere quando qualcuno usciva.

Quel giorno, visto che nessuno è uscito dal bagno in tempo, l’uomo si è abbassato i pantaloni. L’incidente ha causato una spaccatura tra il personale.

Alcuni colleghi hanno incolpato l’uomo per ciò che aveva fatto, mentre altri hanno sostenuto che fosse vittima di circostanze al di fuori del suo controllo.

Quando ho difeso l’uomo, un collega mi ha rimproverato: «Jane ha dovuto ripulire tutto». Il commento mi ha ricordato che quell’uomo aveva diritto al bagno proprio come Jane non avrebbe dovuto esser costretta a pulire la merda visto che il lavoro era già abbastanza duro e ingrato.

Quell’incidente mi ha fatto pensare alla cattiva politica che deriva dal non sentirsi mai a rischio di dover fare quello che ha fatto Jane quel giorno. Una delle conclusioni che traggo in questo articolo è che forse una chiave per il cambiamento sociale è una redistribuzione del lavoro in modo che a un numero maggiore di persone che ora non svolgono quel lavoro venga richiesto di fare alcuni turni al supermercato.

Ho scritto l’articolo quasi come una fantasia: voglio davvero vedere lobbisti aziendali, amministratori delegati e miliardari con una scopa ripulire i pasticci che derivano da un sistema economico che li avvantaggia.

D’altro canto, sostengo i beni pubblici e l’idea che potremmo riorganizzare la nostra economia in modo che nessuno debba restare senza i beni di prima necessità.

Se le persone che non hanno mai ripulito la merda non vogliono essere arruolate in quel lavoro, allora forse dovrebbero iniziare a fare di più per garantire che i salari aumentino e che la ricchezza venga ridistribuita in modo che le persone che svolgono tali compiti per loro conto possano permettersi di mangiare, andare dal medico e prendersi cura della propria famiglia.

Cosa ti ha fatto capire il lavoro in un negozio di alimentari e il compito di prendere i taccheggiatori e sorvegliare i senzatetto sugli ostacoli alla costruzione della solidarietà di classe?

Le notizie non sono buone. Come cofondatrice del Debt Collective e come persona coinvolta da anni nella sinistra, niente mi ha insegnato di più sullo stato della solidarietà di classe che lavorare in un supermercato durante la pandemia.

I lavoratori a basso salario (anche quelli non assunti come guardie di sicurezza) venivano incoraggiati ad aiutare a catturare i ladri, un lavoro che ci metteva contro persone con cui avevamo molti interessi in comune.

Anche le politiche dell’era pandemica sono state un miscuglio. Alcuni dei miei colleghi del supermercato si sono risentiti per la famiglia e gli amici che lavoravano come camerieri di ristoranti o in altre attività chiuse e che dovevano restare a casa e riscuotere la disoccupazione. Naturalmente era necessario e positivo offrire indennità di disoccupazione ai lavoratori licenziati.

Allo stesso tempo, il modo in cui queste politiche proteggevano alcuni mentre imponevano ad altri di timbrare il cartellino sembrava casuale e ingiusto.

Ciò è stato esacerbato dal fatto che milioni di persone hanno perso la loro assicurazione sanitaria, ma nessuno sembrava spingere molto per politiche universali, come Medicare for All, che avrebbero potuto pareggiare i conti.

Infine, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari a partire dal 2021 è stato traumatico.

È stato doloroso ascoltare cassieri e imbroglioni che incolpano l’inflazione sugli incentivi invece che sul ruolo delle aziende nella fissazione dei prezzi. Per me, questa era la prova che la sinistra non stava dando una spiegazione alternativa convincente per il fenomeno. Data questa realtà, non incolpavo le persone per aver dato un senso ai loro problemi nelle forme che potevano.

Intorno a quali tipi di esperienze comuni possiamo organizzare i lavoratori?
In che modo l’organizzazione per la cancellazione del debito ha cambiato la tua prospettiva sulla costruzione di una base di lavoratori della working class per realizzare il cambiamento?

Il motivo per cui le persone sono indebitate per l’istruzione e l’assistenza sanitaria è lo stesso motivo per cui non possono permettersi il conto della spesa o vivono in deserti alimentari: abbiamo costretto le persone ad accedere praticamente a tutto sul mercato privato.

Il college era gratuito. Era considerato un diritto universale. A partire dagli anni Settanta, quando i finanziamenti pubblici per l’istruzione si sono esauriti, le università hanno iniziato a far pagare le tasse scolastiche al punto che difficilmente riusciamo a ricordare che una volta era diverso.

Oggi, se vuoi vedere il dottore, o se vuoi un tetto sopra la testa, di solito devi lottare e raschiare per ottenere queste cose da una società che fa affari solo se può realizzare un profitto.

I cambiamenti nel modo in cui ci procuriamo il cibo seguono una traiettoria simile.

Negli anni Trenta i prezzi nei negozi di alimentari erano regolati dal governo federale. L’idea che le persone potessero nutrirsi solo se qualcun altro guadagnava sarebbe stata il culmine dello scandalo per gli acquirenti durante l’era del New Deal. Ricostruire la solidarietà significa imparare da quella storia.

Lavorare in un supermercato ha confermato ciò che ho imparato come sindacalista; se il problema è la disuguaglianza, la soluzione sono posti di lavoro ad alto salario e beni pubblici universali. Questo è ciò per cui dovremmo lottare.
***

 * Ann Larson ha collaborato al libro collettivo Going for Broke: Living on the Edge in the World’s Richest Country, curata di Alissa Quart e David Wallis e pubblicata da Haymarket Books in collaborazione con l’Economic Hardship Reporting Project. Anne Rumberger è un’attivista di New York. I suoi scritti sulla politica riproduttiva sono apparsi anche su Salvage. Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione di Jacobin Italia.

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