Ovunque si è dibattuto del fallimento di quell’apparato d’intelligence che si credeva tra i più efficaci del mondo. C’è certezza che non tutti i gangli del sistema fossero all’oscuro di quanto stesse succedendo e che abbiano “lasciato fare”, ma altre articolazioni di sicuro non si aspettavano ciò. Sia come sia, la reputazione ne esce distrutta.
Invece, sotto il profilo politico, il fallimento è iniziato il giorno successivo, cioè da quando Israele ha deciso di compiere un massacro. Portando alla rottura di rapporti consolidati e al conseguente isolamento internazionale, sancito anche dall’inchiesta della Corte Internazionale di Giustizia.
Il fallimento politico si è manifestato pure all’interno d’Israele, con una frantumazione della società ed una esasperazione degli attriti tra le varie anime del paese.
Il fallimento militare d’Israele sta invece nell’incapacità di battere la Resistenza palestinese e nel conseguente accanimento contro la popolazione civile. Sono ormai lontani i tempi in cui l’esercito israeliano era composto da soldati duri e determinati, temprati nella lotta contro il nazismo.
In questo generale quadro di fallimenti israeliani, ce ne è un’ulteriore, saldamente legato all’ultimo punto esposto, ed è il fallimento tecnologico.
Viviamo in una società in cui la propaganda politica assume risvolti anche commerciali. Questa, come noto, si incanala nei mezzi d’informazione, nei prodotti culturali, nei modelli sociali, etc. Stando sotto il dominio di Washington, siamo costretti a subire passivamente le narrazioni americane o dei suoi interlocutori privilegiati. Da qui, il martellamento della propaganda israeliana che cerca d’imporre un punto di vista.
Ovviamente, e parallelamente, ci sono tutta un’altra serie di sistemi d’ingerenza e condizionamento. Per queste ragioni, nella società italiana si è imposta la convinzione che i prodotti israeliani siano tutti d’eccellenza, soprattutto quelli dell’apparato militare industriale.
Questo è falso. Buona parte delle armi delle forze armate israeliane non sono all’avanguardia o non sono qualitativamente efficaci come millantato dagli apparati propagandistici. Si tratta di strumenti che ti possono far vincere quando c’è d’affrontare ragazzi che tirano le pietre, ma già di fronte a milizie ben organizzate mostrano tutti i propri limiti.
Sorge quindi il dubbio su cosa succederebbe se oggi Israele dovesse affrontare un moderno esercito ben armato.
Il fatto che le armi leggere israeliane siano per lo più ferme a sessant’anni fa, non è un problema. Il vero limite è nel dare per scontato di poter contare su un vantaggio tecnologico che in realtà già da tempo è stato colmato. Ma soprattutto, alcune tecnologie che prima erano appannaggio esclusivo dei militari, ora si trovano o in libera vendita o in canali non inaccessibili.
Rimanendo nel campo della fanteria, ormai tutti (anche le milizie) dispongono di radio digitali criptate, visori notturni, disturbatori di frequenze, sistemi di videovigilanza, comandi remoti, etc. Ovviamente nel campo dei droni, ormai sul mercato civile si trovano prodotti efficacissimi anche per scopi militari (magari con piccoli adattamenti).
Si è arrivati al paradosso che spesso il mercato è più avanti rispetto a quelle che sono le disponibilità delle forze armate: nel lasso di tempo che un soggetto istituzionale impiega nel mettere in moto le procedure per acquisire una nuova tecnologia, può darsi che quella sia già divenuta obsoleta.
Il 7 ottobre 2023 c’è stata la dimostrazione concreta che talvolta per sconfiggere la tecnologia più avanzata non è necessario lanciarsi in una corsa alla ricerca e sviluppo, si possono usare in maniera efficace i sistemi tradizionali.
A tal riguardo è emblematico il caso di “Iron Dome” – il sistema antimissile israeliano – che oggettivamente si è dimostrato essere uno dei più efficaci al mondo, ma che ha (come tutti gli altri) un tallone d’Achille.
Il sistema è efficacissimo se deve intercettare un missile, anche nel caso di dover intercettare diversi missili in rapida successione, offre risultati straordinari. Ma se i missili da intercettare diventano di più dei colpi che può sparare per abbatterli, il sistema va in crisi.
In questo modo Iron Dome è stato infranto il 7 ottobre 2023, “per saturazione”: sono stati lanciati centinaia di missili in rapida successione (nel corso della giornata sono stati più di cinquemila) e il sistema antimissile non sapeva più quale colpire, oppure non aveva più nulla per colpirlo una volta che aveva esaurito la dotazione.
L’aspetto grottesco è che Iron Dome spendeva i propri colpi abbattendo dei razzi palestinesi che erano sostanzialmente grondaie riempite di fertilizzante, poi una volta che che il sistema entrava in crisi, da Gaza venivano sparati dei razzi decisamente più potenti che non venivano però intercettati.
Probabilmente il prodotto più prestigioso della produzione militare israeliana è il carrarmato Merkava. Per alcuni si tratta del miglior carro del mondo, per altri è un pachiderma d’acciaio montato su cingoli. Difficile valutarlo, perché finora è stato prevalentemente usato in conflitti asimmetrici, ossia per sparare a persone che lanciano pietre o contro forze armate non adeguatamente equipaggiate.
Sebbene un carro vada valutato principalmente nel confronto tra carri, non si può rimanere indifferenti di fronte alle scene dei combattimenti urbani a Gaza, in cui i palestinesi hanno fatto il tiro al bersaglio sui carri israeliani, infliggendo pesanti perdite.
Lì sicuramente il problema maggiore è stato nella scelta di portare i carri in uno scenario di guerriglia urbana, luogo in cui possono essere facilmente bersagliati. Seppur mostrando di possedere di una buona corazzatura, i mezzi israeliani escono umiliati da Gaza.
Le ingenti perdite di carri hanno spinto Israele a rivedere la propria politica commerciale. Il 22 giugno 2023 il quotidiano israeliano Haaretz scriveva che il Governo era pronto a fornire dei carri Merkava a Cipro. Quest’ultimo, una volta ricevuti i carri israeliani, avrebbe dovuto inviare in Ucraina i carri sovietici T80 di cui ancora dispone.
La ragione alla base dello scambio è che anche Cipro era stata spinta a sostenere l’Ucraina, inviando dei mezzi di produzione sovietica avrebbe ovviato ai problemi d’addestramento del personale ucraino, che già conosce bene quelle macchine. Forse Israele era prossima a sottoscrivere un accordo analogo anche con la Croazia.
Dopo che Israele ha iniziato a perdere un cospicuo numero di carri a Gaza, ha interrotto il programma di vendita dei Merkava ad altri stati. I carri israeliani ora vengono distrutti a Gaza e non inviati a paesi che li avrebbero dovuti sostituire con i propri da inviare in Ucraina.
A Kiev non arrivano quindi i carri che sperava di ricevere e si ritrova in una condizione particolarmente difficile. Per ovviare a questo genere di problemi, e soprattutto alla montante “stanchezza” dei paesi occidentali nel continuare a sostenere Kiev, si va diffondendo in tutto il mondo la pratica parlamentare di ancorare gli aiuti all’Ucraina a quelli per Israele.
Mettere tutto in uno stesso pacchetto talvolta aiuta (nel senso che blocca entrambi) e altre volte invece porta ad accantonare le riluttanze verso ulteriori invii di armi.
Il fallimento tecnologico della produzione bellica israeliana non arriva in un momento qualsiasi, ma nel pieno della più mastodontica corsa agli armamenti degli ultimi tempi. Nel clima di generale preoccupazione, tutti gli stati del mondo provvedono a procurarsi strumenti adeguati ad affrontare le minacce.
Seppur i dati siano difficilmente reperibili, è plausibile che anche le commesse per l’apparato militare industriale israeliano abbiano beneficiato della fase. Nel momento di maggior espansione del mercato, mostrare agli occhi del mondo tutti i limiti dei propri prodotti può rappresentare un gigantesco danno economico. Chi si sarebbe comprato i prodotti israeliani sulla base della loro buona fama, ora si potrebbe ricredere.
Seppur alla lista dei vari fallimenti difficilmente si potrà aggiungere anche quello economico, di sicuro in Israele hanno comunque accusato il colpo.
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