Emmanuel Macron dopo avere trascorso 18 ore in Nuova Caledonia, di fatto ha finito con l’annunciare che potrebbe disfare ciò che ha fatto e che molti gli avevano consigliato di non fare.
Tutto questo senza mai riconoscere la sua parte di responsabilità nella crisi politica che l’arcipelago sta attraversando da quasi due settimane, e dove venerdì mattina il bilancio delle vittime è salito a sette per l’uccisione di un abitante da parte di un poliziotto nel comune di Dumbéa, in circostanze ancora da chiarire.
La situazione è tutt’altro pacificata, e l’arcipelago rimarrà militarizzato con il dispiegamento degli ingenti effettivi supplementari “che resteranno tutto il tempo necessario, anche durante i Giochi Olimpici e para-Olimpici”, ha affermato Macron.
Lo stato d’emergenza, che può durare 12 giorni prima della necessità di un voto parlamentare, permane; “non sarà prolungato” a condizione che tutti i dirigenti politici dell’arcipelago “facciano appello affinché siano tolti i blocchi” .
Un chiaro riferimento al campo indipendentista, ma senza dire una parole sulle milizie armate dei lealisti dei quartieri benestanti.
Il Consiglio di stato ha rigettato il ricorso sulla temporanea sospensione di Tik Tok, una misura presa con la promulgazione dell’état d’urgence.
Blindati ed elicotteri vengono utilizzati, mentre nelle prossime ore verrà considerato quando riaprire l’aeroporto commerciale, che resta intanto chiuso.
L’inflazione è schizzata alle stelle per la speculazione in seguito alla penuria di generi di prima necessità dovuti alla difficoltà di circolazione, ai saccheggi e alle distruzioni. Ai “danni colossali”, come ha detto Macron.
La responsabilità del Presidente è immensa, come concorda la maggior parte delle persone (anche del campo conservatrice) che hanno avuto a che fare con questo problema negli ultimi tre decenni. E ne hanno misurato la complessità, oltre che la fragilità.
Giovedì sera, poco prima di ripartire per la Francia continentale, il Presidente della Repubblica ha tenuto una conferenza stampa in cui ha esposto i suoi “obiettivi” a breve termine: il ritorno alla calma e la ripresa del dialogo tra lealisti e indipendentisti.
“Riprenderemo ogni quartiere, ogni rotonda, ogni posto di blocco passo dopo passo“, ha detto, riferendosi ai 3.000 agenti delle forze di sicurezza interna, ai 130 membri del GIGN e delle forze Raid dispiegati nell’arcipelago per far fronte ai “rivoltosi [con] tecniche quasi insurrezionali“.
Questa è la sua “priorità“, ha poi ribadito in un’intervista a diversi media locali.
“Non siamo nel Far West, la Repubblica deve riacquistare autorità su tutti i fronti […] In Francia, il governo deve prendere l’iniziativa. […] In Francia non sono tutti a difendersi, c’è un ordine repubblicano e sono le forze di sicurezza a garantirlo“, ha incalzato il Capo dello Stato, riferendosi esplicitamente ai militanti dei quartieri popolari di Nouméa, ma senza mai nominare chiaramente le milizie che si sono formate da parte lealista, responsabili probabilmente di 2 omicidi.
L’Alto Commissario della Repubblica, Louis Le Franc, aveva rivelato la loro esistenza.
Fin qui, comunque, si tratta più di un piano di “riconquista neo-coloniale” che di una soluzione politica alla situazione creatasi.
Davanti alla stampa, e dopo aver affrontato il tema della ricostruzione, Emmanuel Macron si è soffermato sul “percorso politico“, riconoscendo che questo tema è “alla base di gran parte delle violenze“.
“Non partiamo da zero“, ha detto, riferendosi al preambolo dell’Accordo di Nouméa firmato nel 1998. “Il riconoscimento del popolo Kanak, questa storia condivisa, le ombre e le luci…“, ha proseguito il Presidente della Repubblica, senza mai usare la parola “colonizzazione“, nonostante sia al centro di quel testo fondativo e delle attuali rivolte.
Più che una “distrazione”, sembra una rimozione cosciente del passato coloniale – l’arcipelago è stato conquistato a metà dell’Ottocento – e delle necessità di decolonizzazione, affermate nella seconda metà degli Anni Ottanta del secolo scorso dalla stessa ONU.
Il Capo di Stato è rimasto deliberatamente vago su ciò che accadrà in seguito, accontentandosi di spiegare che farà “una relazione sui progressi entro un mese al massimo“. Ma omettendo deliberatamente di fare i nomi e gettando così le vere basi del problema, ha infine fornito un quadro abbastanza chiaro delle sue intenzioni.
Ha espresso anche, tra le righe, la volontà di continuare con il metodo avviato alla fine del 2021, quando ha imposto il terzo referendum nella speranza di di metter fine al processo di decolonizzazione praticamente in assenza del popolo colonizzato.
Il terzo referendum era infatti stato boicottato dalle forze indipendentiste – poco meno della metà degli aventi diritto -, mentre i due precedenti, nel 2018 e nel 2020, avevano visto un ottimo risultato dei favorevoli all’indipendenza ed un afflusso massiccio di quei giovani solitamente inclini a disertare le urne, oggi protagonisti della rivolta.
Un metodo rozzo
Interrogato sulle discussioni con la delegazione del campo indipendentista, Emmanuel Macron ha dichiarato che “non tornerà indietro sul terzo referendum“. “È un punto di disaccordo, ma è accettato“, ha detto, respingendo ancora una volta le ragioni per cui il Front de libération nationale kanak et socialiste (FLNKS) aveva promosso il suo boicottaggio.
Il popolo Kanak, tra le prime vittime della pandemia, stava allora praticando i riti funebri, che sono intrinsecamente legate alla loro identità, peraltro al centro del “contratto sociale” della Nuova Caledonia.
Non contento di aver negato le basi stesse dell’Accordo di Nouméa, il Presidente della Repubblica ha anche cercato di parlare a nome degli indipendentisti, prima ancora che questi si esprimessero. “Credo che siano consapevoli delle loro responsabilità“, ha affermato con un paternalismo neo-coloniale.
Un modo di procedere a dir poco rozzo, vista l’importanza della parola per il popolo Kanak. “Ora voglio fidarmi di loro“, ha aggiunto il Capo di Stato con un tono di magnanimità, come se lui stesso non avesse violato il “contratto”.
Un contratto che da quasi quarant’anni si basa su un requisito: l’imparzialità dello Stato. Più che un requisito, un principio cardine che Emmanuel Macron ha costantemente disatteso dal 2018 e dalla sua prima visita ufficiale nell’arcipelago.
Prima ripetendo che “la Francia sarebbe meno grande e meno bella senza la Nuova Caledonia“. Poi sposando la causa del campo lealista, arrivando a nominare una delle sue figure di spicco nel governo – Sonia Backès, presidente dell’Assemblea della Provincia del Sud dal 2019, divenuta segretario di Stato per la Cittadinanza tra il 2022 e il 2023. Infine, cercando di fare pressione sugli indipendentisti imponendo lo sblocco del corpo elettorale.
Emmanuel Macron sostiene di aver fatto “ogni sforzo possibile” per fare tornare la calma, ma è lui che ha appiccato l’incendio, facendo tornare le lancette dell’orologio ai tempi della guerra civile (1984-1988).
Eppure, i campanelli d’allarme suonavano da parecchio tempo. Pochi giorni fa, persino Édouard Philippe, l’ultimo Primo Ministro ad aver affrontato la questione a Matignon, ha dichiarato pubblicamente che “siamo usciti dal quadro politico” in cui la Nuova Caledonia ha vissuto dopo gli accordi di Matignon del 1988.
Questo quadro era basato “su una forma di imparzialità da parte dello Stato, sull’idea che tutti gli sviluppi dovessero essere il prodotto di un compromesso, questa era la promessa“, ha detto il sindaco di Le Havre (Seine-Maritime).
Vari colpi in successione hanno finito per far saltare l’arcipelago. Ora che ha distrutto tutto, il Capo dello Stato pretende che gli indipendentisti rimettano le cose a posto.
Macron “ritiene di aver compiuto il massimo sforzo possibile per riportare la calma“. Almeno così ha spiegato in conferenza stampa, quando un giornalista gli ha chiesto della presenza di un rappresentante della CCAT (cellula di coordinamento delle azioni di terra) nella delegazione pro-indipendenza che aveva incontrato, l’organizzazione di base dell’ampio fronte indipendentista creatasi ad hoc per contrastare il progetto di riforma elettorale.
Questa presenza era tanto più notevole se si considera che l’attivista in questione, Christian Tein, è uno dei tanti membri della CCAT attualmente agli arresti domiciliari e che Darmanin ha definito “mafiosi”.
“I leader politici pro-indipendenza mi hanno chiesto di includerlo“, ha spiegato Emmanuel Macron ai media locali. Ho accettato questa richiesta per motivi di efficienza. “È un gesto di fiducia e di responsabilità da parte mia. Spero che siano all’altezza di questa fiducia e che mantengano la parola data […]. Se non daranno i risultati, mi sarò sbagliato”.
Una missione che pone più domande che risposte
Interrogato anche sul modo in cui il suo governo, e in particolare il suo ministro dell’Interno e dell’Oltremare, ha cercato di stigmatizzare questa organizzazione politica, il Presidente della Repubblica ha accantonato l’argomento.
“I ministri sono attenti a ciò che dicono“, ha affermato, dimenticando un po’ frettolosamente che Gérald Darmanin, proprio dietro di lui, aveva parlato di “gruppo mafioso” e descritto Christian Tein come un “delinquente“, mentre l’ex Segretario di Stato Sonia Backès aveva usato la parola “terroristi“.
A volere essere logici, si potrebbe dire che Parigi, per trovare una exit strategy è costretta a trattare anche con chi definisce “mafiosi” o peggio ancora “terroristi”.
Come gesto di “riappacificazione” – il virgolettato è d’obbligo – Emmanuel Macron ha “promesso” che la revisione costituzionale volta a scongelare l’elettorato “non sarà forzata nel contesto attuale” e che “ci daremo qualche settimana per permettere la ripresa del dialogo in vista di un accordo globale“. Una soluzione che è sempre stata la sua “preferenza“, ha affermato, come se non fosse in alcun modo responsabile del modo in cui l’esecutivo ha condotto l’intera vicenda, in barba a cautele e avvertimenti.
Come sempre in queste circostanze, il Presidente della Repubblica si è espresso in modo tale che ognuno potesse interpretare a modo suo i “sottintesi” dei suoi discorsi.
Questo è stato certamente il casodel campo lealista, soprattutto, dove il deputato di Renaissance (Ex-LREM) Nicolas Metzdorf, relatore del progetto di legge costituzionale all’Assemblea Nazionale, si è rallegrato per il mantenimento del “calendario iniziale“, mentre il rappresentante eletto di Calédonie ensemble (un partito non indipendentista), Philippe Gomès, ha ritenuto che il Capo dello Stato avesse detto “diplomaticamente che questa riforma ‘unilaterale e parziale’ [era] stata abbandonata”.
L’ambiguità di Macron è servita per non scontentare nessuno, ma in pratica non si capisce di quanto tempo il progetto di riforma elettorale verrà posticipato…
Per tornare al lavoro, il Capo dello Stato ha scelto una missione di “discussione amministrativa” e ha affidato a tre alti funzionari, specialisti della Nuova Caledonia o di questioni costituzionali, il compito di continuare le discussioni con le forze politiche.
In una conferenza stampa, ha spiegato che questo accordo globale dovrebbe includere la modifica della base degli aventi diritti elettorali, ma anche l’organizzazione del potere, la cittadinanza, il “nuovo contratto sociale” destinato a risolvere le disuguaglianze che sono cresciute nell’arcipelago e il suo futuro economico.
Si affronterà anche “la questione del voto sull’autodeterminazione“, ha concluso il Presidente della Repubblica, senza soffermarsi troppo su questo punto. Eppure è quello fondamentale, perché contraddice tutti coloro che, all’interno del governo e della maggioranza, fingono di pensare che il processo di decolonizzazione si sia concluso con il terzo referendum e che la Nuova Caledonia rimarrà francese per sempre.
Ancora una volta, si tratta di una drastica smentita dell’impegno che la Francia ha assunto quando ha firmato l’Accordo di Nouméa: guidare l’arcipelago “sulla via della piena sovranità”.
Il processo di pace, le cui basi sono state poste in un decennio, avveniva in un mondo assai diverso da quello attuale di aspro scontro geo-politico e di ridefinizione delle filiere economiche all’interno della frammentazione del mercato mondiale.
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