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L’economia di Israele al collasso

Il 10 luglio, sul quotidiano israeliano Maariv, un articolo di Matan Wasserman ha fatto il punto sull’economia del paese dopo il 7 ottobre. Come ha già sottolineato Ilan Pappé, la situazione già nel titoo è descritta come vicina al collasso, nonostante si tenti di nasconderlo.

Tramite i dati della società di servizi e informazioni di mercato CofaceBdi, è stato calcolato che in questi nove mesi sono state ben 46 mila le aziende a chiudere. E che entro la fine dell’anno questo numero potrebbe arrivare a 60 mila.

Yoel Amir, amministratore delegato di Coface Bdi, ha spiegato a Maariv: “Si tratta di un numero molto elevato che abbraccia molti settori. Circa il 77% delle imprese chiuse dall’inizio della guerra, che rappresentano circa 35.000 imprese, sono piccole imprese con un massimo di cinque dipendenti e sono le più vulnerabili nell’economia“.

Egli ha poi specificato che “tra i settori più vulnerabili c’è l’edilizia e, di conseguenza, l’intero ecosistema che vi ruota attorno: ceramica, aria condizionata, alluminio, materiali da costruzione e molto altro. Tutti questi settori hanno subito danni significativi“.

A subire un duro colpo è stato anche il turismo, ovviamente, al punto che non c’è quasi nessuno straniero in luoghi dove, in passato, i flussi potevano dirsi decisamente sostanziosi. Ma quasi nessun settore si è salvato: moda, arredamento, casalinghi, intrattenimento, trasporti, devono tutti affrontare varie problematiche.

Anche l’agricoltura è entrata in crisi. I terreni agricoli si trovano in zone che, in un qualche modo, sono stati considerati zone di combattimento attivo, a causa dell’attività della resistenza palestinese o di Hezbollah, e per molte attività si segnala una grave carenza di manodopera.

Un sondaggio tra i dirigenti d’azienda ha evidenziato che circa il 56% di loro dichiara, da dopo il 7 ottobre, una significativa diminuzione della portata delle loro attività. L’ottimismo non manca, afferma Yoel Amir, ma la situazione è davvero critica.

In particolare, gli attacchi di Hezbollah hanno colpito duramente sia le imprese sia l’istruzione locale nel nord di Israele, costringendo all’evacuazione decine di migliaia di coloni. Il leader del gruppo libanese Hassan Nasrallah, sempre il 10 luglio, ha detto: “Il nostro obiettivo di prosciugare l’economia del nemico… è stato raggiunto“.

Anche le operazioni degli Houthi nel Mar Rosso hanno contribuito al crollo del 20% PIL israeliano nell’ultimo trimestre del 2023. I ricavi del porto strategico di Eilat sono diminuiti in modo significativo.

Si capisce perché, nonostante i proclami, l’ipotesi di una guerra a tutto campo con Hezbollah preoccupa i vertici sionisti. Soprattutto dopo che, attraverso riprese fatte da droni, i suoi combattenti hanno mostrato di poter colpire infrastrutture fondamentali nell’area settentrionale di Israele.

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