Prima di tutto, la situazione interna ucraina, che manda al fronte ogni genere di disabili e anziani, pur di alimentare la carne da cannone necessaria all’interesse euro-atlantico di continuare quanto più possibile il conflitto con la Russia.
Citando fonti militari ucraine – che però non forniscono cifre concrete – la Reuters parla di un ritmo della mobilitazione raddoppiato a maggio e giugno rispetto ai due mesi precedenti. Nessuno parla però delle perdite, che stanno crescendo agli stessi ritmi. Ed è lo stesso Zelenskij a lamentare la disponibilità di riserve di 14 brigate che però non hanno con che combattere, per i ritardi nelle forniture di armi, a dispetto dei ritmi di produzione delle aziende belliche occidentali.
Al netto dei piagnistei ukronazi per le armi che sarebbero sempre poche, è vero che si sono viste code davanti ai distretti, ma non certo di giovani desiderosi di farsi mandare al fronte, bensì, perlopiù di operai che, col consenso delle aziende, possono sperare di rinnovare il rinvio: niente volontari.
Il normale ucraino non vuole affatto andare al fronte; lo testimonia anche solo il filo spinato piazzato lungo il Tibisco, il guado del quale costituisce una flebile speranza (quanti annegati!) di passare in Romania. Così, si cercano altre vie di fuga verso Romania o Moldavia. Lo testimoniano vari episodi di tentato suicidio (o, quantomeno, di autolesionismo) negli stessi locali dei distretti militari, una volta che i malcapitati siano stati accalappiati per strada e trascinati in quelle stanze.
Pare che il Ministero della guerra golpista, dall’inizio del conflitto, avrebbe denunciato oltre 180.000 uomini per violazione della registrazione ai distretti e si parla di oltre 400.000 denunce di imboscati, soprattutto nelle regioni di L’vov, Transcarpazia, Ivano-Frankovsk, Ternopol, Khmelnitskij.
Va peggio a chi è fuggito in Polonia: qui, nei piani di Varsavia, dovrebbe formarsi una “Legione” di “volontari” ucraini da rispedire al fronte.
D’altro canto, il sostegno occidentale sembra abbastanza diverso da come presentato da Kiev. Ad esempio, proprio riguardo la Polonia e a proposito dell’accordo di “difesa” Varsavia-Kiev, se l’ufficio presidenziale ucraino afferma che questo «prevede la possibilità di intercettare missili e droni russi», di fatto nel documento è detto che continuerà il dialogo sulla opportunità di intercettare esclusivamente missili e droni in volo verso la Polonia ed esclusivamente «attenendosi alle necessarie procedure, concordate da stati e organizzazioni aderenti».
Il Ministro della guerra polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz ha detto chiaramente che Varsavia non abbatterà missili russi sull’Ucraina senza il consenso della NATO e Washington, dice il portavoce della Casa Bianca John Kirby, non vuole «escalation… non vogliamo che Putin ottenga argomenti per dire che la guerra è provocata dalla NATO, che è una guerra tra Russia e Occidente o tra Russia e USA».
Anche da Londra si è chiarito che Kiev può sì decidere autonomamente come usare i missili britannici, ma solo sul territorio ucraino. E Varsavia potrà fornire a Kiev MiG-29 solo dopo che la NATO fornirà alla Polonia nuovi aerei al posti di quei MiG. Sono pure abbastanza modesti anche gli aiuti militari da Rep. Ceca e Germania, per quanto effettivi.
The New York Times, su fonti governative, scrive che obiettivo della guerra non è quello di reintegrare l’intero territorio ucraino (a questo punto cosa «praticamente impossibile»), bensì conservare lo stato ucraino per il «futuro occidentale».
C’è poi il consigliere presidenziale Mikhail Podoljak, che non esclude possibili colloqui con Mosca per il tramite di intermediari: si sono fatti avanti Bulgaria, Turchia, senza considerare i “viaggi navetta” di Viktor Orbàn. Per conto suo, Kiev punterebbe su USA, Cina o UE: quest’ultima è fuori gioco per Mosca, che la considera parte in conflitto per le sue forniture di armi a Kiev. Anche gli USA non vanno bene per Mosca; rimarrebbe dunque Pechino.
In ogni caso, a detta di Orbàn, entrambe le parti, Mosca e Kiev, pensano che il tempo sia dalla loro e considerano il cessate il fuoco un regalo fatto all’avversario. Di sicuro, potrebbe esserlo per Mosca, che in più di un’occasione ha dichiarato di escludere ogni ipotesi di nuovi “Minsk-1” E “MINSK-2”, cioè colloqui-farsa, utili solo a fornire a Kiev e ai suoi padrini una pausa di respiro utile a rimpinguare le forze.
In breve, scrive Pavel Volkov su Ukraina.ru, sia Orbàn, che Trump, Xi, Lula, Modi e anche Putin concordano che la nuova frontiera tra Russia e Ucraina coinciderà con la linea del fronte al momento del cessate il fuoco. Mosca chiede inoltre il ritiro delle sanzioni, restituzione dei fondi congelati, riduzione delle forze armate ucraine e status neutrale per il paese, con diritto di adesione alla UE, ma anche, all’interno, diritti concessi ai cittadini ucraini di lingua russa.
In questa cornice, la solita Mar’jana Bezuglaja (deputata, megafono di “Servo del popolo”: era stata lei a silurare, col beneplacito della presidenza, Valerij Zalužnyj) dà dei traditori al Comandante in capo Aleksandr Syrskij e alla sua cerchia, che sarebbero favorevoli a «sottoscrivere qualsiasi variante di capitolazione e imposizione della pace. Egli non crede nella vittoria». Ecco così trovato il colpevole della “resa” di molte città e villaggi alle forze russe, delle decine di migliaia di soldati ucraini uccisi, dello sperpero dei fondi così generosamente donati dall’Occidente.
Chi in realtà parla davvero sottovoce di “intesa col nemico”, siede ancora più in alto a Kiev, per quanto si possa parlare di alto e basso per un paese in cui i nazisti della junta majdanista si preoccupano solo di conservare nelle proprie tasche quanto accumulato degli “aiuti occidentali”, svicolando tra coltellate alla schiena dei ladri-gemelli e ordini di sicuro macello per miglia di giovani mandati al fronte.
Insomma, data la crisi politica USA, l’impotenza degli attori (di spalla) europei, le non illimitate capacità dell’industria bellica, tutto ciò impone ancora una volta alla juna nazista di riflettere sull’illusione di un roseo futuro preparato per l’Ucraina dai padrini occidentali. In questo senso, ricorda il politologo Matvej Kiselov su news-front.su, lo scorso febbraio era stato appunto Zalužnyj a pagare con l’esilio, accusato di ogni male del paese. Ora sembra essere la volta di Syrskij, nonostante egli, a differenza del suo predecessore, sia in tutto e per tutto “uomo di Zelenskij”.
In effetti, afferma l’analista militare Jurij Kotenok, appare oltremodo risibile l’accusa a Syrskij di voler capitolare: obiettivo principale di Bezuglaja è piuttosto quello di parare i colpi che dovrebbero in realtà essere indirizzati contro Vladimir Zelenskij e la sua banda. Di fatto, afferma Kotenok, Mosca non deve affatto rilassarsi nella speranza di alleggerimenti al fronte: quanto a preparazione, i generali ucraini non sono inferiori a quelli russi.
Certo, i vertici militari ucraini sono consapevoli che la guerra potrebbe essere persa poche settimane dopo che l’Occidente ridurrà bruscamente le forniture, ma questo per ora non impedisce loro di tentare colpi, molto sanguinosi, anche contro Mosca. Il male per Syrskij è che viene considerato “uomo di Mosca” dai nazi-nazionalisti ucraini e, anche per questo, il suo destino appare appeso a un filo: il minimo insuccesso al fronte e già una decina di generali sono pronti a prenderne il posto.
Ora, tirando qualche somma e se si guarda alle vicende ucraine semplicemente dal punto di vista della pura pietà, osserva Vladimir Skachko su Ukraina.ru, va dato atto a Viktor Orbán di agire per il meglio: da un lato, ha quantomeno mostrato al mondo chi voglia davvero la pace e chi no e, dall’altro, sta dando una possibilità alla stessa Ucraina che, trascinandosi ancora la guerra, rischia di rimanere senza uomini,proprio a dispetto di quelle “code di volontari ai distretti” di cui si diceva prima.
D’altra parte, parlando di Orbàn, è chiaro che la sua “missione di pace” sia abbastanza interessata: quantomeno per la sicurezza ungherese, che avrebbe molto a risentirne in caso di lunga prosecuzione e estensione del conflitto. Così, Orbàn ha consegnato alla UE un piano per il cessate il fuoco probabilmente concordato a Mosca, Pechino e forse anche con Trump, a parere del quale (Trump) Kiev e Mosca hanno vedute totalmente divergenti sulla questione, mentre Bruxelles non vuole nemmeno sentir parlare di pace fino a quando non riceverà l’ordine da Joe Biden, che però vede nella guerra in Ucraina la strada principale per mantenersi al potere.
Per quanto riguarda i “geniali politici” di Bruxelles, inutile tornare ancora sull’autentico boicottaggio che i “democratici europeisti” stanno operando nei confronti di Orbàn e anche del summit sulle questioni internazionali previsto per fine agosto a Budapest; come è stato detto: quando Zeus vuol punire qualcuno, lo priva della ragione, oppure lo eleva a politico UE, che più o meno è la stessa cosa.
E tuttavia, nota Skachko, nonostante i musi lunghi che potrebbero svetrinare dopo il 5 novembre Giorgia e Ursula, Kaja e Josep Borrell, Mosca non dovrebbe lasciarsi troppo sedurre dalle iniziative di pace di Orbàn, soprattutto dopo che lui le ha concordate con Trump: «sono entrambi politici occidentali, non filorussi e ognuno di loro ha in mente i propri interessi».
Il cosiddetto piano di pace di Trump per l’Ucraina non promette nulla di buono per la Russia e si può ridurre a due tesi che si escludono a vicenda: o l’Ucraina viene costretta al tavolo dei negoziati con la minaccia di privarla di qualsiasi assistenza, senza la quale Kiev sarà finita nel giro di pochi giorni. Oppure sarà la Russia a venir costretta a subire le stesse minacce di armare l’Ucraina in maniera tale da poter infliggere al nemico una “sconfitta strategica”. Insomma: dappertutto ultimatum a Mosca; e perché mai essa – che, d’altronde, non può rifiutare la pace – dovrebbe discutere alle condizioni dettate da altri, quando sta vincendo sul terreno e può essa stessa dettare le proprie condizioni?
Tanto più che, come ipotizza non senza fondamento Vasim Trukhacëv su news-front.su, l’interesse di Viktor Orbàn a farsi “intermediario di pace” è strettamente legato al suo piano di di convincere UE e NATO a dare il consenso per un referendum che sancisca l’unione all’Ungheria dei territori sudoccidentali della regione ucraina di Transcarpazia.
Secondo Orbàn, NATO e UE dovrebbero obbligare Kiev a dare l’assenso per il referendum e finché a Bruxelles non intervengono, Orbàn continuerà dimostrativamente a volare a Mosca e Pechino e a frenare ogni ipotesi di adesione ucraina a UE e NATO. Ma non appena Bruxelles consentirà al mutamento delle frontiere, finirà ogni politica “particolare” di Budapest nei confronti di Mosca. A quel punto Giorgia e Ursula, Kaja e Josep potranno esclamare rivolti a Budapest: «non venererete divinità straniere, ma venererete soltanto il Signore vostro Dio, che vi libererà dal potere di tutti i vostri nemici»(Libro dei Re-I, 38-39).
Ma intanto, aggiungiamo, che Orbàn continui pure a fare la spola e che la sua missione ottenga qualcosa di buono.
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