L’interposizione pacifica in Palestina è un’azione che da anni viene utilizzata non solo dai militanti e volontari italiani. E’ quell’azione in cui si cerca di ridurre e impedire, contrapponendo con la propria presenza e con il proprio corpo, l’azione persecutoria delle forze israeliane ai danni della popolazione palestinese.
Attualmente Susanna, attivista volontaria italiana di Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau ETS (AIFO), si trova in Palestina a compiere quest’azione e ci racconta coi i suoi report, la sua esperienza.
“E’ importantissimo – ci dice Susanna – venire in Palestina e toccare con mano. Comprendere, e vedere con i propri occhi, quello che succede in quella terra. I palestinesi e la lotta per i loro diritti, si possono aiutare anche restando a casa. Ognuno di noi può essere fondamentale nella sua azione. Dobbiamo essere quel granellino che inceppa il meccanismo di odio e devastazione di Israele. Facciamo sentire la nostra voce sostenendo tutte le mobilitazioni che vengono organizzate e soprattutto con il boicottaggio dei prodotti israeliani realizzati con lo sfruttamento del popolo palestinese, nella terra e con l’acqua a loro rubata. (bdsitalia.org).NOI, almeno noi, restiamo umani! “
I REPORT DI SUSANNA BERNOLDI
1° Report – Betlemme, 18-19-20 luglio 2024
“La Tenda delle Nazioni” dove la fraternità e la resistenza si incontrano.
La mia città mi stava stretta. Era pesante rimanere a casa quando ogni giorno leggevo e vedevo atrocità sofferte da un popolo, violenze feroci che sono taciute o blandite da linguaggi sbiaditi di troppi media che ormai dimenticano che a Gaza e in Cisgiordania avvengono ogni giorno omicidi e distruzione. Da più di 80 anni le sanzioni dei massimi organi internazionali non riescono a dare giustizia, perché sono tanto più forti il silenzio e la connivenza degli USA e dell’Europa, paesi che pretendono di esportare la civiltà….Allora rieccomi in Palestina, attirata da Parole importanti:
“Ci rifiutiamo di essere nemici”, “Ci rifiutiamo di essere vittime”.
Sono le parole della famiglia Nassar che su di una collina a circa 10 km da Betlemme, hanno dato vita ad una esperienza di vita comunitaria con persone di tutto il mondo nella loro azienda agricola. Da qui il nome: Tenda delle Nazioni, dove le parole guida sono: Resilienza e Nonviolenza.
L’Azienda agricola fu creata da Daher Nassar nel 1916, che acquistò la proprietà di 42 ettari dove avviò la coltivazione di ulivi, vigneti e altri alberi da frutta e allevamento di animali da cortile: una vita di lavoro, prospera e serena, interrotta nel 1991.
Sulle colline di fronte hanno iniziato la costruzione di colonie illegali, secondo il Diritto Internazionale, perché su terre sottratte ai proprietari palestinesi e che sono cresciute nel tempo: Neve Daniel, Rosh Tzurim, Alon Shvut, Bat Ayn e Beiter Elit che conta oggi 75.000 abitanti!
Insediamenti dotati di acqua, luce e trasporti, collegati tra loro e con le città da reti di strade eccellenti, escluse ai Palestinesi. Insediamenti iniziati sulle cime delle colline distruggendo uliveti e altre coltivazioni, prese dai coloni che hanno iniziato installandosi su queste terre non loro con un camper, un container… e poi pian piano una casa, tante case…per ingrandirsi sempre più e sempre protetti dall’esercito.
Betlemme è Area C, sotto totale controllo israeliano: sia amministrativo, sia militare. Qui il rispetto, il buon senso, la capacità di convivere sono parole assolutamente sconosciute all’occupante. Il Governo israeliano ha provato ad appropriarsene definendola Terra di Stato, ma la fortuna dei fratelli Daher e Daoud e della sorella Amal è che il nonno registrò l’acquisto del terreno sia con gli Ottomani, occupanti di allora, sia con le tre successive amministrazioni.
Purtroppo la magistratura israeliana non si è arresa: da più di 30 anni la famiglia Nassar combatte legalmente con tre avvocati con un costo, ad ora, di 170.000 dollari. A Daoud Nassar è stato offerto un assegno in bianco per andarsene, ma per lui – -come per tutti i Palestinesi, la “Terra non si vende” è una madre che li accompagna per tutte le generazioni.
Ecco allora le intimidazioni e le violenze, fino a che, nel 2021 soldati e coloni hanno bruciato migliaia di loro alberi d’ulivo, mandorli, fichi, vigneti ed hanno chiuso la strada che in 7 minuti collegava l’azienda a Betlemme. Ora ne occorrono 45 di minuti, se non vi sono check point israeliani.
L’altro giorno un colono ha parcheggiato un camper proprio accanto alla recinzione dei Nassar: Inizio di una nuova battaglia.
Per la situazione, purtroppo, niente campo estivo per i bambini di Betlemme e di tanti altri paesi vicini, come è tradizione da anni.
L’incontro con la famiglia Nassar è stato la prova della potenza della nonviolenza, della forza dell’incontro, del costruire insieme, del dare vita, del rifiuto di essere nemici. Ritrovarsi con persone di ogni parte del mondo, diversissime, ma unite dallo stesso desiderio di fare, costruire, amare in una natura molto bella.
E’ un’esperienza che consiglio!
Per salutarvi, vi comunico che due volontarie norvegesi sono state respinte all’aeroporto. La loro colpa? Essere di un paese che ha riconosciuto lo Stato di Palestina. Purtroppo non sono state le sole persone costrette al rientro.
Ed ecco alcune news che credo non siano riportate dai nostri media:
- Per il disastro ambientale, di nutrizione, igiene e sanitario, a Gaza vi è il rischio di poliomelite.
- Amnesty denuncia la tortura Israeliana sui prigionieri già denunciata da molte fonti anche israeliane: torture spaventose sui civili razziati a Gaza e in Cisgiordania
- Più di 1.000 sono stati gli attacchi all’assistenza sanitaria palestinese, cioè 1000 crimini di guerra!
- Netanyahu chiude l’ospedale pediatrico per i bambini a Gaza…
- Ma in contemporanea, si attendono i mandati di arresto della Corte Penale Internazionale! (Info su: If American Knew)
- Oggi volontari internazionali sono stati attaccati con estrema violenza dai coloni a Qusra, nel Nord della Palestina mentre accompagnavano un contadino nella sua proprietà.
Ogni giorno è una quotidiana resistenza e si sentono vive le parole del nostro Vittorio Arrigoni: “Restiamo Umani”!
2* Report – Finalmente!
Il 19 luglio la Corte Internazionale di Giustizia ha sentenziato che gli insediamenti illegali (il Diritto Internazionale lo ha sempre dichiarato) sono ufficialmente illegali! Che i coloni devono ritirarsi e ai Palestinesi deve essere restituito il maltolto.
Come scrive Pietro Beaumont su The Guardian il 19 luglio 2024, la sentenza rappresenta una sconfitta devastante per Israele davanti al tribunale mondiale. Perché coinvolge il comportamento di copertura degli USA, della GB e dei vari ministri del governo israeliano.
Un articolo chiaro e interessante (link) di cui allego la traduzione:
“La corte ha dichiarato “illegale” l’occupazione a lungo termine del territorio palestinese da parte di Israele, che equivaleva ad un’annessione di fatto. Sarà difficile ignorare il motivo per cui la Corte Internazionale di Giustizia si pronuncia contro le politiche di insediamento di Israele. Questa sentenza sfida alleati come il Regno Unito e gli Stati Uniti, che per anni hanno mantenuto un atteggiamento moderato sull’occupazione dei territori palestinesi.
Rileva la corte: le politiche di insediamento di Israele violano il diritto internazionale.
Approfondita, dettagliata e onnicomprensiva, la sentenza consultiva della Corte internazionale di giustizia sull’illegalità dell’occupazione israeliana del territorio palestinese e della costruzione di insediamenti rappresenta una netta confutazione delle affermazioni di Israele e avrà un profondo impatto negli anni a venire. L’ICJ ha dichiarato “illegale” l’occupazione a lungo termine del territorio palestinese da parte di Israele e ha affermato che equivale ad un’annessione di fatto. La corte ha chiesto a Israele di lasciare rapidamente i territori occupati e ha stabilito che ai palestinesi spetta un risarcimento per i danni causati da 57 anni di occupazione che li discrimina sistematicamente. E nelle sue molteplici parti, la sentenza rappresenta una sconfitta devastante per Israele davanti al tribunale mondiale.
Sebbene numerosi rapporti delle Nazioni Unite e risoluzioni dell’assemblea generale abbiano sottolineato lo stesso punto, la sentenza della Corte internazionale di giustizia, in virtù del fatto che fa riferimento al trattato e alle singole leggi, rappresenta un giudizio che sarà difficile da ignorare.
La sentenza rappresenta anche un rimprovero alla tesi di Israele secondo cui la Corte internazionale di giustizia non aveva il diritto di considerare la questione sulla base del fatto che le risoluzioni delle Nazioni Unite, così come gli accordi bilaterali israelo-palestinesi, avevano stabilito che il quadro corretto per risolvere il conflitto dovrebbe essere politico, non legale.
Respingendo di fatto tale argomentazione, la Corte ha affermato che il diritto internazionale si applica indipendentemente dai decenni di falliti sforzi politici per raggiungere un accordo di pace duraturo, anche perché Israele ha continuato nella costruzione di insediamenti.
Impiegando mezz’ora per leggerla, la sentenza ha riunito molteplici filoni del diritto internazionale, dalle Convenzioni di Ginevra a quella dell’Aia, per sostenere un caso che da anni è evidente ai palestinesi e ai critici della politica israeliana nella comunità internazionale.
In sintesi, si afferma che anni di ambizioni ufficialmente e autodescritte da parte di Israele di costruire e stabilirsi nei territori occupati equivalevano all’intento di annettere effettivamente il territorio contro il diritto internazionale; che quelle politiche erano progettate per avvantaggiare i coloni e Israele, non i palestinesi che vivono sotto l’amministrazione militare.
Forse la sezione più significativa è stata la sentenza secondo cui “il trasferimento da parte di Israele di coloni in Cisgiordania e Gerusalemme, nonché il mantenimento della loro presenza da parte di Israele, sono contrari all’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra”.
Anche se i singoli paragrafi che si applicano a ogni violazione del diritto internazionale – e a ogni incoerenza – non sono sorprendenti, presa nella sua interezza la sentenza offre una sfida profonda ai governi, inclusi Regno Unito e Stati Uniti, che per anni hanno reagito con moderazione alle politiche di occupazione di Israele, criticando la costruzione degli insediamenti ma fino a poco tempo fa facendo poco a livello pratico al riguardo.
Se la situazione è cambiata negli ultimi mesi, con una serie di sanzioni statunitensi, britanniche ed europee rivolte ai coloni violenti, sia individualmente che nei gruppi che li sostengono, la sentenza consultiva pone una questione molto più seria: se, data la gravità delle violazioni delle norme diritto internazionale, le sanzioni dovrebbero essere applicate anche ai ministri e alle istituzioni israeliane che sostengono l’impresa degli insediamenti.
Pur non essendo vincolante, la sentenza fornirà ampie motivazioni agli avvocati governativi che stanno già esaminando attivamente le future sanzioni contro coloro che sono legati agli insediamenti israeliani.
È significativo nella sentenza che la corte abbia notato il recente e continuo trasferimento di poteri dai militari ai funzionari civili che sovrintendono ai territori occupati, cosa che secondo i critici avrebbe ulteriormente esposto alla corte le attività di Israele.
Anche il tempismo è significativo. Con Israele isolato per la sua condotta nella guerra di Gaza e sotto indagine presso l’ICJ e la Corte penale internazionale per presunti crimini di guerra, la cruda valutazione dell’illegalità a lungo termine dell’occupazione israeliana non farà altro che rafforzare tale isolamento.
Se la sentenza sembrava inevitabile, è stato a causa della deriva a destra dello stesso Israele sotto il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu, che ora è a capo di una coalizione che include partiti e ministri di estrema destra pro-coloni e ha abbracciato esattamente le politiche per le quali Israele è stato condannato”.
La sentenza condanna l’operato dei coloni che continua da molti decenni nell’indifferenza dei governi, ma che dopo il 7 ottobre ha assunto livelli di violenza ed efferatezza spaventosi contro i Palestinesi, uccidendo e ferendo anche bambini, donne, anziani, persone con disabilità. I coloni e i soldati uccidono anche gli animali allevati, distruggono coltivazioni, case, stalle.
Lo sterminio di circa 38.000 persone – quelle identificate – perché in realtà si parla di 168.000 morti a Gaza, ha costretto i più importanti organismi internazionali a spalancare gli occhi sulla pulizia etnica in tutta la Palestina!
Domenica, quando ero a Nablus, città storica tante volte assediata dall’esercito, per incontrare l’amica Hakima nel Centro per i Diritti delle Donne, ci sono giunte le immagini di due violenti attacchi.
Il primo a Qusra, a Nord, nell’area di Nablus, da parte di un gruppo di coloni dell’insediamento estremista di Esh Kodesh contro attivisti internazionali tra i quali un’Italiana, che stavano accompagnando due contadini al loro campo al quale da ottobre non avevano più potuto accedere proprio per queste violenze.. Numerosi coloni, giorni prima, aveva incendiato tutta una coltivazione di proprietà palestinese; indisturbati, protetti, anzi aiutati come sempre, dai soldati israeliani.
Dal video si vede che all’inizio un giovane colono che avanza e fotografa con fare prepotente i volontari; quindi altri si lanciano, armati dei loro bastoni di legno e ferro colpendo gli internazionali che, a mani alzate, chiedevano di fermarsi. Sono rincorsi, buttati a terra e picchiati.
Se abbiamo questo filmato è grazie a un volontario, che rimanendo indietro documenta la scena. Ma anche lui è stato inseguito e gettato a terra.
Compiuta la violenza, i coloni se ne sono andati e a seguire anche i soldati israeliani che, con estrema arroganza ed urlando, hanno puntato i fucili contro un palestinese che era con gli internazionali. Gli hanno sparato ai lati del corpo a scopo intimidatorio, esercitato così, sino in fondo, il loro abuso di potere.
Tutti gli Internazionali che fanno parte, con volontari anche palestinesi e israeliani di diverse associazioni della Campagna Defend Palestine, sono stati portati all’ospedale di Nablus e per fortuna dimessi dopo le cure necessarie.
Il secondo attacco di coloni è avvenuto contro una famiglia a Sud, nell’area di Masafer Yatta, quella che, in base ad una arbitraria decisione dell’esercito, è diventata zona di esercitazione militare e per questo, agli abitanti di 12 villaggi è stato imposto di lasciare quelle terre e perdere tutto. Per alcuni, la seconda volta, perché già vittime della Nakba del 1948.
Anche qui, assalto improvviso. Uomini e una donna picchiati. Lei buttata a terra, bastonati e solo in seguito, come sempre, un soldato spara in alto e l’attacco finisce. Rendere la vita impossibile ai palestinesi. Questo è l’obiettivo.
Ogni giorno vengono uccisi ragazzi in diverse parti della Cisgiordania per l’accelerazione che il governo di estrema destra ha dato alla pulizia etnica. Sono anche tutte queste azioni che confermano la fondatezza della decisione della Corte Internazionale di Giustizia.
La notizia e i video hanno fatto il giro del mondo. Ben 20 mln sono state le visualizzazioni su CNN Istagram che qui di seguito potete vederne una sintesi. Purtroppo questo è il frutto di decenni di totale impunità.
Per questo è importante essere qui ed essere testimoni di tanta sofferenza, ma anche di tanta forza e determinazione. Essere qui anche per dire al popolo palestinese: i governi fanno finta di non vedere? Noi piccoli invece vediamo, ascoltiamo la vostra voce.
E’ bellissimo essere qui con persone di ogni età; dal ventenne Davide, americano che si è preso la bastonata anche sul volto, ai miei settanta. Provenienze, esperienze, lingue diverse, fedi e non fedi. Insieme per testimoniare che la solidarietà, la giustizia sono vive e forti, perchè con Vittorio vogliamo sempre “Restare umani”.
3* Report – Cisgiordania dove un’altra guerra infuria, anche senza bombardieri. Agosto 2024
Siamo ad At Twani, il villaggio simbolo della nonviolenza nella regione di Masafer Yatta a Sud di Hebron.
L’esercito israeliano e i coloni cercano da anni di svuotarlo dalla sua popolazione legittima e originaria palestinese, ma dal 7 ottobre questo procede con accelerazione e violenza inaudita, sostenuti pienamente dal governo.
Giovedì 1 agosto, tre coloni sono entrati con violenza in casa di Mosab, vicino a noi. Hanno picchiato 2 bambini e accusato il giovane Wasim, 22 anni, di aver lanciato pietre contro la colonia. Arrivata la polizia, è stato arrestato sulla parola dei due coloni e, ammanettato e bendato, è stato portato via rapidamente. Resterà in attesa di processo. Impunità invece, totale per i coloni che uccidono.
La detenzione amministrativa, ammessa dalla Convenzione di Ginevra solo per brevissimo tempo, è pratica ordinaria da sempre, verso i Palestinesi.
A fine maggio vi erano 3.661 detenuti senza accusa né processo. Viene prolungata per mesi e anni. Sempre a fine maggio vi erano più di 9.300 palestinesi nelle carceri israeliane dei quali 6.220 arrestati dopo il 7 ottobre, tra i quali 70 donne e 200 bambini. (Rapporto al Relatore Speciale ONU).
Oggi, ancor di più.
Dalle interviste dei sopravvissuti si sanno quali terribili torture vengono fatte sui civili, soprattutto nella prigione israeliana Negev dove vi è un corpo apposito estremamente feroce. I medici palestinesi e israeliani che hanno avuto accesso in quella o altre prigioni, hanno definito le condizioni dei detenuti peggiori di quelle di Abu Graib e Guantanamo: immobilizzati per giorni con catene a mani e piedi, percossi con catene, ustioni con sigarette e acqua bollente, elettroshock, fame, privazione di cibo e sonno, violenza sessuale su uomini e donne, quest’ultima dichiarata legittima dalla Corte israeliana.
Ma che paese è una nazione che tollera tutto questo?
In merito a questo: Muazzaz Abayat, 37 anni, arrestato 9 mesi fa di notte nella sua casa di Betlemme dov’era con la famiglia. Quattro bambini e la moglie incinta di un mese. Sportivo e forte, ritornato a casa irriconoscibile e ancora sotto shock.
In internet si trova l’intervista registrata in ospedale. Si vedono come le brutalità quotidiane efferate ed umilianti, hanno ridotto un uomo di 110 kg a meno di 50 kg.
Tornando alla regione di Masafer Yatta sotto ordine di demolizione: i coloni (di origine russa, ucraina, americana, ecc.) hanno fatto talmente un bel lavoro di violenze e furti, distruzioni e intimidazioni, sempre protetti dai soldati, che diverse famiglie palestinesi hanno abbandonato le loro proprietà dove vivevano da generazioni.
Ma tante altre resistono. At Twani, ad esempio, la famiglia Hureini, simbolo da decenni della resistenza nonviolenta alle brutalità dei coloni ed esercito, si è vista espropriare molta altra terra. Non solo ma rispetto all’ottobre scorso, si è vista anche posizionare una torretta con bandiera israeliana sulla sua proprietà, distruggere con un bulldozer più volte il giardino di erbe aromatiche che aveva creato, nonchè parte del terreno sul quale anche io e V. avevamo lavorato. Nel terreno rimasto però, tra un’incursione e l’altra di coloni e soldati, Hafez sta piantando delle viti.
L’altro giorno, un soldato ha interrotto il lavoro, fotografato ogni volontario, controllato ogni zolla e rifiutato di parlare con Hafez. Per il soldato il lavoro nei campi è un atto illegale. Una reazione avvenuta anche a causa del fatto che giorni prima un colono aveva chiamato la polizia accusando Hafez di voler costruire un tunnel. Che dire di tanta fantasia malata…
Hafez parla in modo fluente l’ebraico, sa bene che il minimo atto di ribellione anche alla peggiore violenza significherebbe l’arresto, come quando due coloni gli hanno fratturato entrambe le braccia e ad essere arrestato, è stato solo lui. Hafez, continua a migliorare la sua casa con un bel giardino e muri a difesa anche della Guest House per i volontari, anche se, comunque, è già sotto ordine di demolizione.
A Um Durit abbiamo trascorso diverse notti e giorni con una famiglia, dove viene garantita la presenza dei volontari 24h/24.
Nell’ottobre scorso subì un vero e proprio pogrom da parte dei coloni che si erano sistemati abusivamente di fronte e sulla sua collina. Decise allora di abbandonare la proprietà salvando alcuni animali. Quando ritornò a marzo, trovò tutto distrutto, le costruzioni ed i contenitori dell’acqua. Oggi stanno ricostruendo le case ancora più belle, ripiantando e collocando anche diverse telecamere.
Noi, oltre a tenere d’occhio sempre l’out post, la strada e tutti i movimenti dei coloni, accompagniamo le giovani donne a raccogliere frutta, ad irrigare le piante. Dobbiamo stare anche molto attenti ai droni lanciati dai coloni per spiare i Palestinesi o disturbare gli animali, come al movimento di qualunque mezzo o persona.
Ma tutto questo è vita?
Vi sono famiglie costrette, con tanto terreno dinanzi a loro, ad acquistare il foraggio per le bestie, perché quando li portavano al pascolo, troppe volte le sono state derubate.
La nostra presenza è fondamentale. Dobbiamo essere sempre pronti a filmare e scattare foto per riprendere volti, azioni prepotenti, targhe. Servono come materiale da utilizzare per le denunce avanzate dagli avvocati in modo che abbiano maggiore speranza di un esito positivo al loro esposto.
Israele non vuole testimoni. Non è infatti un caso se chiunque sia minimamente sospettato di essere un attivista, viene rifiutato alla frontiera e può avere il divieto di ingresso fino a 10 anni. Israele ormai non concede più l’ingresso alla Special Rapporteur ONU e sta cercando di eliminare l’UNRWA, perché allora dovrebbe concederlo a noi? Ma noi ci siamo: persone da tutto il mondo che continuano, nonostante i tempi difficili, ad arrivare.
Se si riesce a garantire la presenza a diverse famiglie che vivono nella costante insicurezza, è grazie ad un importante Coordinamento tra molte Associazioni, Movimenti Palestinesi, Internazionali e Israeliani.
Segnalo, perché italiana, la collaborazione nata tra la storica Operazione Colomba e Mediterranea, Ong per i salvataggi in mare, che ha deciso di portare il suo impegno anche qui dove la violazione dei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DDUU) è massima.
Giorni fa ho avuto la fortuna di poter conoscere uno dei fondatori di Breaking the Silence, l’Associazione di ex soldati israeliani che, finito il servizio militare obbligatorio, hanno iniziato e continuano a denunciare le efferatezze che l’esercito ha compiuto a Hebron.
Miki Kratsman, che ha lavorato per 12 anni con il grande Gideon Levy per Haaretz, rivista della sinistra israeliana. è giunto a Um Durit con altri giornalisti per intervistare il fattore e conoscere la sua lotta quotidiana. Con Miki ho parlato anche dei suicidi dei giovani soldati soprattutto dopo il servizio militare. Numeri celati, manipolati, indubbiamente altra vergogna per Israele.
Se Israele cerca di eliminare ogni occhio critico, allora occorrono ancor più volontari, altri occhi che vedano e denuncino.
Occorre che ognuno di noi faccia la sua parte, ad esempio:
- Premere sui governi perché smettano di avere relazioni economiche con paesi genocidari,
- Boicottando i prodotti Israeliani realizzati con le risorse rubate al popolo palestinese.
Noi rispettiamo il grande coraggio del popolo palestinese con una nostra azione continua e per questo, non posso che invitarvi a venire. Chiunque tocchi con mano la realtà, riesce a comprendere che per costruire la Pace, occorre dar vita ad un percorso di Giustizia.
4° Report – La Resistenza del Popolo Palestinese e l’importanza della nostra Solidarietà
Ultimi giorni in Palestina. Sono grata di aver avuto l’opportunità e il permesso di poter restare accanto a questo popolo che stimo e amo ogni volta di più per la sua forza, fierezza, amore grande e vero per la SUA terra, dove arte, natura e cultura si fondono con la grande gentilezza del suo popolo. Peccato la loro vita sia stravolta da un colonialismo genocidario. Intanto vi racconto.
8 agosto – Ucciso il 166° giornalista a Gaza: Mohammed Issa Abu Saada, corrispondente e fotoreporter sul campo per diversi organi di informazione.
Uccidere l’informazione perché non trapelino le barbarie della più barbara “democrazia del medio Oriente”.
3 agosto – Ad At Twani ho incontrato ed ascoltato G., funzionario della FAO, reduce da un mese trascorso nella Striscia di Gaza.
In passato aveva operato per ben 9 mesi con Operazione Colomba ad At Twani ed è nato un legame indissolubile con i volontari e la famiglia Huraini.
Era provato, scosso dall’aver toccato con mano la volontà di sterminio dell’esercito che continua a comandare alla popolazione di spostarsi indicando posti sicuri che poi diventano l’obiettivo di spietati bombardamenti.
Soldati israeliani che sparano per noia, soldati israeliani dell’esercito “più morale al mondo” che sparano ai piccoli in braccio alle loro madri in fuga.
Ha visto il numero infinito di camion pieni di derrate, farmaci, strumentazioni, bloccati dai soldati e coloni. I governi sanno, ma si inchinano a questo mostruoso governo coloniale.
4 agosto – Sono tornata ad Um Al Kher, altro villaggio beduino in Masafer Yatta dove, in passato, abbiamo trascorso tante notti con le famiglie che temevano l’arrivo dei soldati per rubare auto, un mezzo agricolo o distruggere una casa.
L’occasione, un matrimonio, che è riuscito ad essere un momento gioioso, con la bellissima sposa che ha danzato con le donne del villaggio, nonostante la recente devastazione. In luglio, in due giorni, l’esercito ha demolito 12 case in muratura.
Tareq e la sua gente però, stanno ricostruendo tutto nonostante la colonia, inarrestabile, avanzi divorando terreno.
In questo luogo abbiamo avuto l’occasione di conoscere volontari americani e italiani del “Centre for Jews NonViolence” che assicurano la loro presenza per 15 giorni. Ebrei a fianco dei Palestinesi. Occhi internazionali che vedono, filmano e denunciano. Ponti e non muri!
5 agosto – Villaggio di Jawaya, sempre a Sud dove siamo ogni giorno a fianco di un pastore e delle sue pecore, minacciato dai coloni che invadono la sua terra. Vediamo arrivare esercito e polizia e due grandi bulldozer, uno dotato di una specie di martello pneumatico.
La processione sale al villaggio e, scortati da una trentina di soldati, raggiungono il pozzo nella proprietà di un famiglia di 14 persone e lo distruggono la principale fonte d’acqua della famiglia, degli gli animali, e delle coltivazioni. Togliere l’acqua significa togliere la VITA.
Tanti del villaggio, attivisti palestinesi, internazionali e israeliani assistiamo impotenti. Davanti a noi i soldati con i fucili spianati. I due mezzi procedono in perfetto accordo: distruggono, ricoprono e se ne vanno. Torneranno perchè la pulizia etnica prevede anche la demolizione di altre 16 case.
Questa è la democratica Israele.
8 agosto – Tulkarem. Visita ai due campi profughi di Tulkarem e Nur Shams, oggetto di costanti attacchi da parte dell’esercito israeliano, abitati da circa 40.000 persone che già avevano subito la violenza della Nakba, costretti a fuggire e a lasciare ogni loro bene nel 1948 dalla loro città di Haifa.
In entrambi, le strade principali sono ripetutamente distrutte da quei bulldozer che rovinano il manto stradale in profondità, rompendo le tubazioni sottostanti. Ad ogni incursione, i soldati distruggono anche l’impianto e le tubazioni dell’acqua potabile.
Tante case sono distrutte sia dai bulldozers sia dai bombardamenti fatti indifferentemente di giorno o di notte senza alcun preavviso; anche le coltivazioni sono state oggetto della violenza sionista. Questa la prassi era già attiva prima del 7 ottobre, ma da quella data, i soldati israeliani hanno ucciso ulteriormente almeno 300 persone.
Ci ha accompagnate Ahmed, uno dei responsabili del Coordinamento che sostiene le famiglie impoverite dalle continue violenze e che organizza attività per i bambini anche del campo di Jenin.
Grazie a lui ho potuto conoscere Sima Ibrahim Mahamid, studentessa di 16 anni, alla quale il 19 novembre scorso i soldati israeliani, per puro disprezzo e nell’impunità totale, hanno ucciso il fratello e il padre, noto giornalista
Il ragazzo, è stato ucciso perché era uscito sulla strada per capire l’origine di un rumore ed il padre mentre cercava di soccorrerlo. I soldati, come da prassi, hanno bloccato l’ambulanza impedendo il loro soccorso.
Quella sera il bombardamento ha ucciso 13 persone.
Mi porto negli occhi e nel cuore la dolce fermezza di Sima mentre, accanto a sua madre, racconta e ci mostra il video. Non odio, non disperazione, ma la consapevolezza di essere assediati da un occupante disumano, ma anche di essere i legittimi abitanti di quella terra che non intendono lasciare.
Il Direttore dell’OCHA (Agenzia per il Coordinamento degli aiuti alla popolazione di Gaza e della Palestina intera) Andrea De Domenico al quale Netanyahu non ha rinnovato il visto di ingresso, denuncia:
“Gaza sta soccombendo all’orrore, alla devastazione, ad una mattanza quotidiana perpetrata da uno degli eserciti più potenti e sanguinari del mondo che uccide e ferisce donne, uomini, bambini palestinesi senza essere fermato in alcun modo”.
(Comunicato di Pax Christi-Campagna “Fuori Tutti!”)
Non dimentichiamo che a Gaza sono stati uccisi più di 16.000 bambini e 21.000 sono dispersi. Quanti poi, sono morti nella disperata solitudine per soffocamento o disidratazione o ferite sotto blocchi di cemento che gli adulti non sono stati in grado di togliere per la mancanza di gasolio e mezzi vietati da Israele?
La bimba nella foto allegata è stata salvata dalle macerie, ma è rimasta sola.
Quante come lei? Quante con gambe e/o braccia amputate?
Ai governanti non interessa…, ma a NOI, SI!
Come denuncia il periodico Altreconomia di luglio, a Gaza non si sta compiendo solo un genocidio, un ecocidio, un domicidio, ma anche uno studenticidio di cui non si parla.
8.700 studenti, 500 docenti e amministrativi uccisi dai bombardamenti e dai cecchini israeliani e tutte le scuole, comprese le 6 università rase al suolo. Questo è uccidere Il futuro!
9 agosto venerdì – Abbiamo partecipato alle manifestazioni nonviolente in due villaggi oppressi dalle colonie illegali.
A Kufr Qadum i soldati non hanno permesso neanche di iniziare, intervenendo con tante bombe sonore e lacrimogeni, prima ancora che la preghiera in moschea terminasse e usando un drone per individuare i manifestanti.
Per fortuna nessun ferito o intossicato, mentre a Beita hanno sparato anche molte munizioni d’acciaio ed hanno ferito seriamente ad una gamba un internazionale mentre se ne stava andando. Trasportato con un camion, perché i soldati hanno bloccato l’ambulanza, è stato medicato nell’ospedale di Nablus. Con ogni mezzo cercano di intimorire chi viene da tutto il mondo e mettere a tacere ogni voce di denuncia.
Termino con la positività del popolo palestinese, di Hakima, che in risposta alle violenze costanti dei coloni illegali di Ytzar che imperversano nel suo villaggio, organizza progetti di empowerment per le donne e campi educativi per i bambini, Assira Qiblyia, oltre a lavorare per un’Associazione contro la violenza sulle donne.
In questi giorni si sono svolti a Gaza come al suo villaggio, giornate di attività ludiche, di gioia per i bambini, per i quali ha lavorato tanto, ma anche un progetto agricolo per diverse famiglie profughe da Gaza perché possano ritrovare la loro dignità. Questa attività non viene interrotta nonostante i coloni abbiano recentemente bruciato più di 1000 ulivi e sempre con il fuoco, devastato decine di arnie.
Devo anche esprimere ammirazione per tanti giovani (e anche meno giovani) che ho incontrato sul campo e che stanno arrivando da ogni continente. Non li ha fermati la parola “guerra”, né il sapere di essere ora target di soldati e coloni. Sono le parole occupazione illegale, pulizia etnica, oppressione, genocidio a convincerli a partire come volontari.
Ringrazio chi mi ha affidato piccole e grandi offerte che, vi assicuro, sono state un grande sollievo e non solo materiale, per diverse famiglie che hanno perso tanto. Sono la conferma che la solidarietà e l’amore verso gli altri, esistono ancora e non ci potrà essere nessuna bruttura che la potrà fermarle. Restiamo umani!
PS Giorno 305: Israele impedisce l’ingresso al vaccino antipolio salvavita. Complimenti, Israele…
* da Alkemia news
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Francesco
intervento molto forte e significativo. dina una speranza faticosa.