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Dossier Ucraina. La guerra è persa, ma fischiettiamo…

Sta diventando un coro. Dai toni esattamente opposti a quelli cantati per oltre due anni. Del resto, bisogna ora spiegare e far metabolizzare – alle popolazioni dell’Occidente – che quella guerra cui stiamo partecipando come fornitori di armi e soldi (mentre si dice alle stesse popolazioni che “non c’è un euro da spendere più per la sanità, le pensioni, la scuola, ecc“) è persa, bisogna vedere come uscirne senza concedere troppo oppure spingere sull’acceleratore e accettare la notte nucleare.

Compito gramo, certamente, che i nostri gazzettieri “usi a obbedir strillando” provano a modulare scavando e scovando molti argomenti tra loro anche in contraddizione. Fanno quasi tenerezza, poveri megafoni ben stipendiati…

In fondo erano partiti dietro ad autentici geni (incensati come tali, ma tra i dubbi di tanti, noi per primi) come Mario Draghi, che ad un certo punto (giugno 2023), parlando al MIT di Boston, aveva usato toni ultimativi ma anche vagamente apocalittici: “I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica”, ed è “per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati, se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra”.

Vincere o morire… Già sentita e non proprio benaugurante…

Draghi, spiegava allora che accettare una vittoria russa “infliggerebbe un colpo fatale all’Ue”. Perché “accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente altri Stati confinanti e manderebbe un messaggio agli autocrati che l’Ue è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta, su ciò che è. Segnalerebbe inoltre ai nostri partner orientali che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza – un pilastro della nostra politica estera – non è poi così incrollabile”.

Un po’ come fuggire dall’Afghanistan, no? (ma questo, al “genio”, non è venuto in mente…)

Tutto chiaro? Questa guerra avrebbe deciso il futuro dell’Unione Europea, dunque di una parte notevole dell’imperialismo neoliberista occidentale (per livello di PIL e quantità di popolazione). Ora che la sconfitta è sicura – anche buttarla in scambio di testate nucleari non sarebbe certo una “vittoria” – che si fa? E soprattutto (per i gazzettieri): come ce la raccontiamo?

Non mancano le proposte, anche di Draghi nel suo recente “Rapporto” per la Commissione von der Leyen (quasi un programma di governo), ma hanno il difetto di tutti i progetti di medio-lungo termine.

Per sviluppare gli armamenti, dotarsi di colossi dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, irrobustire le forniture sicure di energia e materie prime, riformare i trattati costitutivi della stessa Unione Europea – paralizzata o lentissima nel prendere decisioni strategiche di larga portata che non siano di carattere puramente finanziario – servono due elementi che sembrano assenti: soldi e tempo. Per non parlare dell’unità di intenti, decisamente in alto mare davanti al crescere dei nazionalismi settari o sedicenti “anti-europei”.

Le cose sul piano militare e diplomatico, nel frattempo, sono andate peggiorando a grande velocità. Quando Draghi recitava le parole succitate stavamo in piena “offensiva di primavera” delle truppe di Kiev, presto schiantatesi fino all’esaurimento di armi (occidentali) e uomini (ucraini) sulle fortificazioni innalzate nel Donbass.

Ora l’esercito russo avanza in modo non più lento, anzi accelera. E qualsiasi mossa escalatoria dell’Occidente – ultima la demente autorizzazione ad usare missili guidati da militari Nato contro il territorio russo – provoca una risposta dura e simmetrica, anche se con criteri più razionali, da parte di Mosca. Lo stesso Zelenskij appare ormai schizofrenico, costretto a saltabeccare nel corso della stessa giornata tra proclami di guerra (“dateci armi, armi, armi“) e mesti anticipi di addio («Non possiamo perdere decine di migliaia di persone per la Crimea»).

Per capirci, persino i più assatanati cantori dell’indiscutibile superiorità occidentale, quelli che scrivevano già nel 2022, senza ridere di se stessi, che “i russi stanno combattendo con le pale perché hanno finito le munizioni” – insomma i Cremonesi del Corriere e i De Feo di Repubblica – sono in questi giorni costretti a recitare il de profundis per i sogni di gloria: “Ucraina tra attacchi e diserzioni: «Le nuove leve vanno nel panico»” (per forza! le rapiscono per strada e le spediscono al fronte…), oppure “Assedio russo a sud e a est, i soldati ucraini in una morsa” e “Da Berlino a Washington, ora tutti tifano per la trattativa tra Ucraina e Russia“.

Pochi, però, fanno davvero i conti con la storia di questi ultimi tre  anni e martella l’irresponsabilità dei leader occidentali, obnubilati da una demente convinzione suprematista resuscitata – in tutta evidenza – da trent’anni di “guerre asimmetriche”, combattute contro Stati e governi che quasi nulla potevano opporre alla potenza tecnologica degli Stati Uniti. Una supponenza che si è infranta, proprio come l”offensiva di Zelenskij, su un avversario di pari grado. Anzi, con qualche superiorità settoriale (sicuramente sulla dotazione di munizioni e sui missili ipersonici, attualmente non intercettabili dagli “scudi” occidentali).

Ancor meno hanno l’onestà di incazzarsi per tutte le falsità raccontate dai governi occidentali – copincollate passivamente dai loro stessi colleghi – per oltre due anni. Fake news raccontate a valanga, come in ogni propaganda di guerra, mentre si metteva su – contemporaneamente – una piccola squadriglia di sedicenti “fact checker indipendenti” (con regolare contratto di lavoro dipendente…) che “certificano” ogni giorno quanto false fossero le notizie che contraddicevano la narrazione Nato (se state pensando a gente come David Puente non è colpa nostra…).

Un Minculpop privatizzato e approssimativo che ora si sfoga su temi più “laterali” e si guarda bene da parlare della guerra (al massimo insiste con Putin, ma vabbè, glielo chiedono…).

Vi consigliamo qui la lettura di due tra i giornalisti più professionali del panorama italiano: Domenico Quirico de La  Stampa – il più antico dei media della famiglia Agnelli, addirittura – e Fulvio Scaglione, ex vicedirettore di Famiglia Cristiana.

Persone lontane da noi, molti versi, ma certo intellettualmente onesti. E tanto basta…

Buona lettura.

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La grande illusione della vittoria su Putin ha trascinato nel baratro Kiev e l’Europa

Domenico Quirico – La Stampa

Il caso è grave: mille giorni di inutile guerra. Quando si sono pronunciate queste poche sillabe, e intanto in Ucraina uomini e cose si rarefanno, appassiscono, cadono a pezzi, si è detto tutto, si è risposto a tutto e la vittoria non è nemmeno più una speranza. E allora siamo alla domanda, indefettibile: perché ci hanno ingannato promettendoci la vittoria? Chi dovrà renderne conto? 

L’argomento è scabroso, non lo nego. I progressi della tecnica, e della bugia, hanno reso molto feroci non soltanto questa guerra ma anche la (possibile) tregua. Non dimentichiamo questi due anni di malattia della verità, le false certezze per cui si è accettato un massacro progressivamente e umanamente premeditato: Putin sarà sconfitto, punto! Sarà Zelensky a stabilire quando la vittoria gli apparirà sufficiente perché totale! Mai trattative con Putin che è un criminale di guerra! L’economia russa non resisterà un mese al martello implacabile delle sanzioni! L’esercito russo è formato da aspiranti disertori portati in trincea con il fucile alla schiena! Eroismo ucraino e carri armati Leopard: risultato sicuro! A Mosca scoppierà la rivoluzione, oligarchi orfani di yacht e vacanze, generali umiliati, dissidenti impavidi fatevi sotto!

Abbiamo guardato, al di là del ragionevole, il feticcio della vittoria innalzato al di sopra della popolazione ucraina da certi ipnotizzatori che guariscono la vertigine con il sonno. I guerrafondai atlantici, politici, affaristi e accademici, da quasi tre anni non chiudono occhio: hanno pensato, elaborato, progettato la megamacchina del conflitto nel centro dell’Europa innescato da Putin come gigantesca occasione di business economico e politico senza rischi per loro, nascondendo tutto sotto retorici svolazzi: il diritto internazionale violato e da ricucire con virtuose cannonate ridimensionare la Russia come potenza addomestichiamola prima che aggredisca il mondo poiché è malata inguaribilmente di bulemia territoriale…

Ma come la mettiamo con il fatto che Putin ha l’Arma? Niente paura, non ci sarà bisogno di lanciare i definitivi megatoni. Attenzione però: nei viaggetti in treno a Kiev e dopo non ci avevate promesso la salvezza dell’Ucraina, quella si poteva assicurare in altro modo nel 2014 o ancora nel 2022. Voi avete garantito ben altro, la vittoria. A volte la Storia tartaglia.

Mentre seguivamo il conflitto dalla prospettiva ingannatrice delle notizie del giorno che voi ci fornivate, simili a squarci di cielo illuminati dai lampi durante una tempesta, abbiamo notato o, meglio, scoperto che qualcosa non andava, c’era nello sviluppo delle operazioni una imperfezione, un difetto di base che neppure una accorta censura, il chiasso della vostra propaganda speculare a quella dell’Altro, riusciva a occultare.

Insomma: Putin, l’invasore che bisognava punire con la pace ovviamente “giusta’’, non stava affatto perdendo la guerra. Anzi con il passare dei mesi la stava inesorabilmente, metodicamente, pazientemente vincendo. La parola è sussurrata all’anniversario dei mille giorni nel mormorio di chi abbandona l’ultima speranza: i russi avanzano!

Un miracolo che di questa grave realtà si trovi traccia in mezzo a tanta spacconeria, cupidigia, smemoratezza e vanità occidentale. Il fallimento o il successo nella lotta per la sopravvivenza tra nazioni e sistemi: questa è, ahimè, l’unica norma morale. Giusto è ciò che sopravvive. Putin è sopravvissuto con la sua prepotenza, per questo purtroppo ha vinto. E può proseguire nel suo “terrore vegetariano”.

Dopo mille giorni il Mefistofele in miniatura, soddisfatto, allinea al Cremlino le figurine dei nemici, i sacerdoti della umanità che invece sono scomparsi nel nulla della Storia: Biden che ha trascinato con sé nella sconfitta il partito democratico, un paio di primi ministri di sua maestà britannica che volevano rianimare con la guerra anglosassone una isola ormai irrilevante, Macron che vivacchia in attesa di una costituzionale pensione, Scholz che prepara il trasloco dalla Cancelleria.

E la Nato! Il Gran Comandante, l’azzimato Stoltenberg che ha salutato tra inni e tamburi appena in tempo per non certificare la disintegrazione della più grande alleanza militare di tutti i tempi…

L’insipienza che ha guidato la condotta occidentale in questa guerra ha fatto sì che la putiniana propaganda infarcita di retorica patriottarda trovasse conferma nei fatti: la Santa Russia ha fermato, da sola, l’aggressione americana e dei suoi vassalli ucraini ed europei! I russi così tireranno avanti, come sempre, per l’ennesima volta, nella loro coscienza sdoppiata, sospesi nel trepido ascolto del cupo bisbiglio del destino. E qualunque trattativa dovrà partire dalla situazione militare sul terreno: altro che ‘pace giusta’ con la restituzione di ogni centimetro conquistato e annesso dal 2014 a oggi!

E adesso, tra formule trite e anemici artifici, si prepara in Europa l’ennesima giravolta per liquidare il fantomatico e sfuggente Graal della vittoria e giustificare la sconfitta, si annuncia cioè che la necessità di trattare con il criminale Putin è tutta colpa dell’avvento dello sciagurato Trump, delle sue sgangherate simpatie putiniste! Da soli abbiamo le mani legate! E il buon diritto, e la-sorte-del-mondo-è-nelle-nostre-mani e la corte dell’Aja? L’importante è celebrare la seconda morte dell’Europa senza dirlo, nell’ipocrisia.

Dunque: meno male che è arrivato Trump poiché nelle cancellerie non si aspettava altro che una buona scusa per finirla. Al di fuori dell’esplicito tutto diviene sopportabile, i sorrisi rifioriranno.

Il faccia a faccia con la seconda morte dell’Europa è angoscioso perché la subiamo e la compiamo. Un flash-back si impone: dell’Ucraina e di Zelensky a Washington e a Bruxelles non è mai importato nulla. Se la fede nella giustizia non fosse stato solo un molle guanciale era una causa per cui avrebbero dovuto pagare il prezzo di scendere direttamente in campo. Ma per l’amministrazione americana era soltanto una ghiotta occasione per logorare Putin, mettere il guinzaglio agli europei e fare buoni affari con armi e energia. Sempre senza mai superare una certa linea, senza impegnarsi a fondo. Si poteva cambiare idea ad ogni momento. Trump tirerà solo, maleducatamente, le conclusioni.

Per molti governi europei, deboli, discussi, in crisi di legittimità, la improvvisa febbre di fedeltà atlantica era una necessità di politica interna: zitti, dobbiamo salvare l’Ucraina e respingere Putin! Poi a un certo punto è diventato un affare lucroso: il nuovo eldorado della economia di guerra. Si comincia già a telefonare al criminale… bentornato Trump! Zelensky dovrà rassegnarsi.

E soprattutto il business dei carri armati continuerà: siamo deboli, dobbiamo armarci…

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1000 giorni di guerra in Ucraina: ‘per favore smettiamo’

Fulvio Scaglione – RemoContro

Dal prestigioso Gallup statunitense: il 52% degli ucraini vorrebbe fermare la guerra con un negoziato, mentre il 38% vorrebbe continuare a combattere. Di quel 52%, più della metà sarebbe disposta ad accettare cessioni di territori in cambio della pace. Consenso alla guerra, dal 73% del 2022, all’attuale 38%. L’idea di continuare a combattere è calata in tutte le regioni, da quelle più vicine a quelle più lontane dalla linea del fronte. E InsideOver aggiunge che la ricerca è stata realizzata quando il presidente Zelensky presentava il suo ‘Piano per la Vittoria’.

Un popolo vittima in una sfida impossibile

Un popolo che vede il proprio Paese invaso e affronta immani sofferenze per difenderlo ha tutto il diritto di scegliere la propria strada. Lo pensavamo ieri, quando gli ucraini erano convinti di poter sconfiggere la Russia sul campo e recuperare la Crimea e tutti gli altri territori annessi alla Federazione Russa, e lo pensiamo oggi. Per usare un’espressione retorica, gli ucraini hanno comunque vinto la loro guerra, anche se si smettesse di sparare domani e i russi si tenessero tutto ciò che hanno finora occupato.

Vincono gli ucraini e non americani ed europei

Questo, però, vale solo per gli ucraini. Tutti gli altri, americani ed europei, dopo questi mille giorni dovrebbero fare un serio esame di coscienza. Servirebbe a migliorare il livello della nostra politica e della nostra cultura. Noi, che siamo sempre stati sul “lato oscuro della forza”, abbiamo sempre pensato che la cosa migliore da fare fosse PRIMA fermare la guerra e POI cercare una pace giusta per l’Ucraina. Eravamo in minoranza, la linea che è passata è quella opposta: PRIMA sconfiggiamo la Russia sul campo e POI le imponiamo una pace giusta. Va bene così, in democrazia decidono i Governi con l’avallo dei Parlamenti.

Dopo 1000 giorni di massacro, almeno ammettere l’errore

Ma adesso, dopo questi 1.000 orribili giorni, è giunta l’ora di ammettere che la strategia scelta era quella sbagliata. Dopo quasi tre anni di guerra, sappiamo con certezza che non ci sarà la sconfitta sul campo della Russia e non ci sarà la “pace giusta” di cui si parlava. Se dopo due mesi di guerra, nel 2022, si fosse per ipotesi siglata una tregua con quelle trattative in Bielorussia, saremmo stati esattamente al punto di adesso. Con 500 mila ucraini morti in meno, un’Ucraina meno devastata e più solida di adesso, molti profughi ucraini in meno. Molte più risorse, sia militari sia economiche, almeno in Europa, per aiutare l’Ucraina a riprendersi. Molte meno divisioni, almeno in Europa ma ora forse anche negli Usa, su come aiutarla a proteggersi.

Il male assoluto

I “pacifisti” avevano ragione, come già l’avevano per l’Iraq, la Siria, la Libia. I bellicisti avevano torto, come sempre. Perché alla fin fine ha ragione il Papa quando dice che la guerra è la risposta peggiore, il male assoluto.

Purtroppo non si torna indietro

Certe strade, però, sono difficili da percorrere a ritroso. E così assistiamo, anche dopo questi 1.000 giorni, a penosi rituali già visti. Come quest’ultima decisione di Joe Biden sui missili a lungo raggio. Un presidente che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca ed è totalmente privo di legittimità politica, essendo stato sfiduciato in primo luogo dal suo partito, toglie le restrizioni all’uso dei missili a lunga gittata da parte degli ucraini. Sommo esempio dell’ipocrisia che ha guidato per 1.000 giorni le azioni dell’Occidente.

Se questa è una guerra contro l’impero del male russo, contro un asse di Paesi (Russia, Cina, Iran e chissà chi altro) che vogliono imporre le pretese dell’autocrazia ai diritti della democrazia, una guerra “esistenziale” per tutti noi, perché non abbiamo dato tutto e subito agli ucraini che ci rimettono la pelle?

E perché non siamo andati a combattere anche noi, per primi i baltici, i polacchi, i finlandesi, gli svedesi, cioè i Paesi che ci ripetono che Putin, se vincente in Ucraina, passerebbe di certo ad altre aggressioni? E dopo di loro noi latini, ovviamente, almeno i Paesi fondatori di questa Ue che non vuole esser messa sotto tutela dell’imperialismo moscovita.

Nulla di quanto sperato

Nulla di tutto questo è successo. Nessuno degli obiettivi programmati o anche solo auspicati (cambio di regime a Mosca, crollo dell’economia russa, sconfitta sul campo della Russia, isolamento internazionale del Cremlino) è stato finora raggiunto. Lo sarà in futuro? Forse. Da Mosca arrivano voci sulla grande preoccupazione di Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale di Russia, che avrebbe più volte ammonito Putin a frenarsi, perché l’economia russa fatica sempre più ad assorbire lo sforzo bellico. Ma dopo questi 1.000 giorni siamo ai “forse” e non è un gran risultato.

A proposito di rituali: la caccia ai ‘putiniani’

A dispetto di ciò che la realtà (e ora anche gli ucraini) indica con chiarezza, proseguono le campagne per convincerci che va bene così, che siamo sulla strada giusta, che la vittoria è vicina. Perfettamente in linea con una propaganda che fin dal primo minuto dell’invasione russa si è preoccupata non di raccontare i fatti ma di bastonare chiunque di quei fatti desse un’interpretazione diversa.

Il termine “putiniano”, quindi complice dell’invasore (roba che in un Paese normale dovrebbe valere una querela dall’esito certo) usato come un manganello contro i diversi pareri, assurdi o fondati che fossero. Per cui poteva essere definito “putiniano” anche l’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ora europarlamentare del Pd, mentre noi non potremmo mai definire imbecilli i molti che in 1.000 giorni non ne hanno azzeccata una. O tutti quelli che hanno pubblicato come oro colato le più colossali baggianate, compresa la famosa affermazione della Von Der Leyen sui microchip delle lavatrici usati dai russi per far volare i missili.

Dietro una realtà parallela inventata

E quindi si continua così, facendo finta che esista una realtà parallela in cui le previsioni sbagliate diventano giuste, i russi si ritirano, gli ucraini avanzano e con i missili Usa la democrazia trionfa.

L’Europa invecchiata male si balocca con una visione del mondo che, ormai, corrisponde solo ai suoi desideri. Ieri sul Corriere della Sera l’ex ministro ucraino degli Esteri Kuleba (uno dei tanti silurati da Volodymyr Zelensky) dichiara quanto segue: «Se permettono a Putin di prevalere, non avranno perso solo l’Ucraina. Avranno perso l’Occidente, perché chi segue questa guerra in Cina, in Africa, in America Latina vedrà che l’Occidente non è capace di difendere i propri valori di libertà, democrazia, Stato di diritto. E allora anche altri attaccheranno gli interessi occidentali nel mondo, convinti che l’Occidente non sia più quello che conoscevano».

L’incubo di Kuleba è già realtà

Abbiamo già detto che i cittadini di un Paese invaso hanno diritto a fare e pensare ciò che più credono. Ma a Kuleba bisognerebbe pur dirlo che quanto lui teme è già successo. In Africa la Francia viene presa a calci nel sedere ogni giorno. La Cina, non ne parliamo. L’America Latina? Vada a vedere quel che succede con gli investimenti cinesi o le relazioni con la Russia.

Ed è successo non perché la Russia POTREBBE vincere questa guerra ma perché l’ha fatta. Perché cerca di rovesciare un tavolo su cui le carte sono sempre state distribuite dagli occidentali, con le loro monete, le loro alleanze militari, le loro istituzioni. Cosa che molti non accettano più come prima.

Basta vedere quel che succede con i BRICS: da quando abbiamo iniziato a demonizzare Russia e Cina è cresciuto in misura esponenziale il numero dei Paesi che vogliono entrarvi, ultimi Thailandia e Colombia.

Tutto questo è bello, è giusto? Il potenziale “nuovo ordine mondiale” sarà sicuramente meglio del vecchio? Certo che no. Ma un’epoca, per noi indubbiamente felice, è finita.

Prima ce ne renderemo conto, prima la smetteremo di fare i nobili con le pezze al culo, e meglio sarà.

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