Bill Emmott, ex direttore del britannico The Economist e ospite frequente di ogni omelia guerrafondaia di svariati media italici, inneggia oggi su La Stampa a un presunto «eroismo» di Vladimir Zelenskij che, dice, avrebbe addirittura fatto «un passo indietro per arrivare alla pace», proprio nel momento in cui «entrambe le parti stanno perdendo».
Perché “entrambe” starebbero perdendo? Ce lo spiega Emmott, fondandosi su dati del Ministero della difesa britannico relativi a kmq di territorio – russo e ucraino – conquistati dal nemico, a perdite quotidiane di soldati e agli immancabili «12.000 mercenari nordcoreani»: proprio come ai tempi di Missione Goldfinger.
Insomma, afferma l’erede del terroristico “Bomber” Harris: «Né la Russia né l’Ucraina hanno il sopravvento», anche se «Putin potrebbe guardare con favore al ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti», mentre Zelenskij potrebbe contare sulla pronosticata vittoria di Friedrich Merz in Germania.
Di fatto, ci racconta Emmott, un possibile “compromesso” Mosca-Kiev nel 2025 partirebbe comunque dalle pretese ultimative di Putin per «l’accettazione totale delle rivendicazioni territoriali della Russia» da parte ucraina; mentre “l’eroico” Zelenskij non chiede, in fondo, che una «eventuale adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica»: cosa c’è di più pacifico? In fondo, non è proprio ciò che da sempre chiede Mosca? O, no.
E se poi, arguisce lo “Jan Fleming” de La Stampa, da qui all’inaugurazione di Trump «le agenzie di intelligence e le forze militari ucraine» – che poi non sarebbero altro che le filiali est-europee del MI6 – «riusciranno a portare a termine altre sorprese come gli assassinii a Mosca» (chiamiamo finalmente le cose col loro nome! Omicidi!
D’altronde del tutto legittimi, per carità: contro la “Spectre” annidata nei sotterranei del Cremlino, questo e altro), ecco che «la Russia apparirà ancora più debole. Trump saprà che può usare l’autorizzazione per gli attacchi a lunga gittata dell’Ucraina come strumento di negoziazione contro Putin». E Putin la smetterà con gli “Orešnik”: sembra vero.
Un piano perfetto, quello londinese. Del resto, la storia conosce innumerevoli esempi di operazioni militari britanniche che rifulgono per lungimiranza, perfetta pianificazione e garanzia di successo; basti pensare a Gallipoli, nella Prima guerra mondiale, oppure a Dieppe, Tobruk, Singapore, nella Seconda.
Mentre invece, ecco, azioni in cui il genio militar-spionistico britannico si è mostrato in tutta la sua potenza, che dire, il massacro dei pacifici dimostranti indiani a Amristar nel 1919?
Oppure la “Direttiva sui bombardamenti d’area” nel 1942, per cui la RAF avrebbe dovuto colpire a scopo dichiaratamente terroristico «le aree residenziali e non i cantieri navali o le fabbriche di aerei» (Sir Charles Portal, comandante dell’aeronautica britannica) tedesche e che portò alle carneficine su Colonia, Amburgo, Bingen, Dessau, Chemnitz, Stoccarda, Magdeburgo, e poi Sofia, Dresda, Praga… e ancora Belgrado, il 1 aprile 1944.
Ma, ci mancherebbe: operazioni di guerra, dunque “legittime”, al pari delle bombe avvolte nei regali o piazzate sotto le auto, o recapitate sotto il portone di casa, come era stato per i comandanti militari delle Repubbliche del Donbass… “Motorola”, “Givi”, Zakharchenko…
“Legittime” come le migliaia di vittime dell’operazione “Jock Scott”, contro il movimento di liberazione dei Mau Mau, a Nairobi nel 1952: epopea “militar-gloriosa” delle armi britanniche.
Tuttavia, continua a battersi il petto avvilito Emmott, «permettere all’Ucraina di aderire, o anche solo aspirare ad aderire, alla NATO, sarà un passo troppo lungo per Trump». Mentre, par di capire, potrebbe essere alla portata di altri membri dell’Alleanza; tanto più che la Russia, l’altra delle due parti che «stanno entrambe perdendo», non avrebbe la forza di opporsi, perché ridotta allo stremo da sanzioni, guerra, profonde crisi «tra i suoi stessi alleati», che alla fine «hanno indebolito il presidente Putin».
Par di vederlo, Vladimir Vladimirovic, che non sa più a che santo votarsi!
Conclusione: diamoci ancora sotto con le bombe fin sotto le mura del Cremlino; ancora per qualche altra settimana; perché, se «entrambe stanno perdendo» – e, perdio, deve essere senz’altro così: lo dice il Ministero della guerra britannico, secondo cui «a novembre la Russia stava perdendo 1.500 soldati ogni giorno» – ecco che il tritolo deve per forza essere vincente e va senz’altro incrementato.
E, però, alla fine, pur se «entrambe stanno perdendo» e tornando a bomba – tanto per rimanere in tema – Londra vedrebbe volentieri «un atto finale di eroismo» da parte del nazigolpista-capo.
E in cosa consisterebbe tale atto di eroismo di Zelenskij? Manco a dirlo, anche lo sconsolato Emmott gli chiede di farsi da parte. Anche lui glielo chiede: chissà se Zelenskij gli darà ascolto.
Non c’è dubbio, scrive l’ex direttore di The Economist, che l’ormai illegittimo (dal marzo scorso) presidente putschista, abbia «svolto un ruolo eroico nella lotta dell’Ucraina per la sopravvivenza»: stanno lì a dimostrarlo, tale “ruolo eroico”, le sinecure concesse ai monopoli agro-industrial-bellicistici occidentali, l’affamamento del popolo ucraino, l’emigrazione in massa, le mobilitazioni militari di carne da macello anche di anziani, giovanissimi, invalidi, la messa fuori legge di media e partiti indipendenti.
Un ruolo che «rimane molto popolare»: basta chiederlo alle centinaia di migliaia di giovani e meno giovani che hanno riposto in massa, dai vari paesi europei in cui sono fuggiti, al bando per l’arruolamento della famigerata “Legione ucraina”; una risposta univoca che sarebbe maleducazione riproporre qui per iscritto.
Dunque, sospira Emmott, dato che il maligno Putin continua a sostenere che «nessun accordo di pace potrebbe essere firmato con Zelenskij, poiché la sua posizione non è legittima», avendo egli annullato le elezioni presidenziali nove mesi fa, ecco che ora si «apre una possibilità per un atto finale di eroismo: per concludere un accordo di pace, Zelenskij potrebbe scegliere di annunciare il suo ritiro, permettendo all’Ucraina di dimostrare quanto sia davvero una democrazia resiliente. Nessuno può dubitare che Zelenskij e la sua famiglia meritino una vacanza e di ritirarsi con onore».
Noi ne dubitiamo con tutte le forze, che se la meritino, quella “vacanza”; ma, comunque: sia lode al signore nell’alto dei cieli, per tale diretta e inequivocabile ammissione di voler dare il benservito al nazi-golpista capo e alla sua banda.
E soprattutto, al diavolo la vostra “resilienza” nazi-europeista, fatta di “democrazia” bellicista e di glorificazione del nazismo travestito da “resistenza al dispotismo russo”.
E, se un onore deve essere tributato, che vada ai milioni di ucraini che da troppi decenni resistono all’aggressione ideologica del revisionismo semi-banderista di khrushcheviana memoria, alla penetrazione imperialistica dei monopoli militar-industriali occidentali e alle razzie terroristiche delle squadracce nazi-nazionalistiche ucraine.
«Entrambe stanno perdendo», assicura il “Bomber Harris” del XXI secolo; e, però, ci rendiamo conto che è meglio che Zelenskij si faccia da parte.
Alla fine, tocca correggere – solo minimamente, dio ce ne guardi e soprattutto, si parva licet – il compagno Mao, osservando sommessamente che, ogni tanto, non proprio tutti, ma “quasi tutti” i reazionari sono degli stupidi…
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