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Kursk, o del doppio fallimento ucraino

Mentre l’operazione Kursk volge al suo triste fallimento (i russi avevano prorogato a lunedì 17 marzo, h 06:00 ora di Mosca, l’ultimatum per la resa delle forze ucraine), se ne può fare un bilancio sia in termini militari che, ancor più importante, in termini politici. Perché ovviamente – e rivendicatamente – lo scopo è sempre stato politico.

Sotto il profilo militare, è sin troppo ovvio che è stato un disastro: decine di migliaia di morti e feriti, centinaia di mezzi perduti, e non solo l’obiettivo operativo (distrarre truppe russe dal fronte del Donbass) è stato completamente mancato, ma è avvenuto esattamente il contrario, poiché l’operazione ha richiesto l’impiego di considerevoli risorse ucraine, sottratte alla difesa delle linee sul fronte di Donetsk e di Zaporizhzhie.

Il che ha reso ancora più facile l’avanzata delle forze russe in queste regioni, ormai giunte a ridosso dell’ultima linea difensiva ucraina ben strutturata.

Ma, per certi versi, il fallimento è ancora più macroscopico sotto il profilo politico.

Il senso dell’operazione, infatti, al di là di quello tattico-operativo summenzionato, era quello di prendere e controllare un pezzo di territorio russo, da far valere come merce di scambio.

In questo, si è innanzitutto vista l’errata valutazione, da parte dei vertici politico-militari ucraini (e dei loro consiglieri NATO, britannici in testa), della posizione che avrebbe assunto Mosca a riguardo; che infatti è stata sin dal primo momento di netto rifiuto, rispetto a qualsiasi ipotesi del genere. E, come ammoniva Sun Tzu, “se conosci te stesso, ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta soffrirai anche una sconfitta“.

Sotto questo profilo, quindi, c’è quanto meno stato un grossolano errore di valutazione. Ma, ancor peggio, la condotta di guerra da parte di Kiev (e dei suoi sponsor) è stata del tutto incoerente con le premesse.

Se, infatti, l’idea di utilizzare quella porzione della regione di Kursk come merce di scambio già partiva debole, non tenendo conto del (prevedibilissimo) rigetto russo, è stata poi definitivamente affossata dal non aver neanche saputo cogliere l’attimo. Nel momento in cui, esaurita la spinta offensiva, il fronte di Kursk si è temporaneamente stabilizzato, Kiev avrebbe dovuto avanzare delle concrete proposte di trattativa, mettendo da parte il risibile oltranzismo che caratterizza l’abituale atteggiamento ucraino.

Ancora a novembre, quando erano già passati quasi quattro mesi dall’inizio dell’operazione, e l’elezione di Trump alla Casa Bianca preannunciava il prossimo rovesciamento della posizione statunitense, avrebbe avuto ancora un senso mettere in campo una reale (e realistica) volontà di porre fine al conflitto, avviando trattative che inevitabilmente non avrebbero potuto prescindere dal fatto che c’era un pezzo di territorio russo in mano ucraina.

La scelta di Zelensky, di Syrsky, e dei loro sponsor a Londra, è stata invece quella di continuare ad inseguire il sogno irrealistico di rovesciare l’andamento dei combattimenti, o quanto meno di poter impegnare le forze armate russe tanto a lungo da spingere Mosca a cercare un compromesso. Ripetendo quindi l’errore esiziale già fatto in precedenza.

In buona sostanza, si può sicuramente affermare che l’intera operazione non solo è stata un fallimento militare – il che può pur sempre accadere, perché nulla è mutevole ed imprevedibile come la guerra – ma è stata un fallimento totale; sotto il profilo strategico, sotto quello tattico-operativo, ma anche e soprattutto sotto quello politico, poiché non solo si poneva obiettivi difficilmente conseguibili, ma non è stata nemmeno supportata da comportamenti coerenti con tali obiettivi, rendendo quindi assolutamente vano il sacrificio di migliaia di uomini.

Il che, peraltro, sembra essere in effetti il fil rouge dell’intera condotta di guerra da parte ucraina.

 * da Facebook

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In «Tutto è finito: le truppe ucraine rivivono la ritirata da Kursk», di Jonathan Beale e Anastasiia Levchenko, la BBC propone analisi dirette dei protagonisti. Cioè degli uomini appena sfuggiti al fuoco nemico, che stremati cercano di mettersi in salvo. «I soldati ucraini impegnati nella battaglia di Kursk – scrive Verify – hanno descritto scene da film dell’orrore durante la ritirata dalle linee del fronte.

La BBC ha ricevuto resoconti dettagliati dalle truppe ucraine, che raccontano di un ritiro ‘catastrofico’ di fronte a un fuoco pesante, a colonne di equipaggiamento militare distrutte e a continui attacchi da parte di sciami di droni russi.

Alcuni hanno raccontato di un ‘crollo’ «quando l’Ucraina ha perso Sudzha, la città più grande che deteneva». Più nello specifico, i soldati ucraini citati da Verify (ai quali sono stati dati degli pseudonimi, per proteggerli) hanno confermato la precarietà delle condizioni in cui sono costretti a combattere.

Volodymyr parla dell’incubo dei droni «24 ore su 24» e denuncia come l’unica linea di rifornimento, la strada tra Sudhza e Sumy sia ormai praticamente impercorribile.

Maksym, invece, scrive su Telegram che i relitti di veicoli blindati ucraini disseminano le strade. Almeno 70 mila russi, compresi 12 mila nordcoreani, stanno attaccando gli ucraini superstiti a Kursk. «I russi –-spiega la BBCutilizzano varianti di ‘droni-kamikaze’ e con ‘visuale in prima persona’ (FPV) per assumere il controllo del fuoco sulle principali rotte logistiche». Tra questi rientrano anche i droni collegati agli operatori tramite cavi in fibra ottica, impossibili da bloccare con contromisure elettroniche.

Maksym ha affermato che come risultato il nemico è riuscito a distruggere decine di unità di equipaggiamento, e che i relitti hanno creato congestione sulle rotte di rifornimento».

Per Anton, invece, che lavorava al quartier generale ucraino, la situazione è semplicemente ‘catastrofica’. «Anton ha detto che le rotte di rifornimento sono state interrotte. La logistica non funziona più e le consegne organizzate di armi, munizioni, cibo e acqua non sono più possibili». Secondo la sua esperienza, il soldato ha previsto «che l’intero punto d’appoggio ucraino a Kursk sarebbe stato perso, ma che da un punto di vista militare, la direzione di Kursk si è esaurita. Non ha senso mantenerla ancora».

Più disperato e senza appello il giudizio di Dmytro, che ha paragonato la ritirata dal fronte a «una scena di un film dell’orrore». «Le strade sono disseminate di centinaia di auto distrutte – scrive – veicoli blindati e ATV (All Terrain Vehicles). Ci sono molti feriti e morti. Spesso i veicoli vengono inseguiti da più droni. La situazione – ha aggiunto – si è trasformata da difficile e critica a catastrofica. Nella regione di Kursk è tutto finito… l’operazione non ha avuto successo».

L’unico soldato, dal suo lettino d’ospedale, a conservare un minimo di speranza è Artem: «Abbiamo combattuto come leoni», sostiene. Ma la sua resta una logica conservativa. In realtà, per lui Kursk avrebbe dovuto essere solo una zona-cuscinetto, per difendere Sumy e la frontiera ucraina. Invece sta mettendo in crisi tutto il fronte del Donbass e le trattative sul cessate il fuoco.

** da RemoContro – Piero Orteca

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