Il Consiglio Europeo è terminato ieri sera a Bruxelles, esaurendo i suoi lavori in una sola giornata. I temi sul tavolo erano competitività, migrazioni e ovviamente difesa, come pietra angolare del nuovo warfare con cui le classi dirigenti unioneuropeiste vogliono tentate di dare risposta alla crisi economica e a quella della loro egemonia.
Per ciò che riguarda i flussi migratori, il focus è stato sulla spinta a “facilitare, aumentare e accelerare i rimpatri“, associando a questa politica anche una maggiore attenzione sui partenariati con i paesi più vicini e su “l’allineamento delle politiche in materia di visti da parte dei paesi limitrofi“.
Alla chiusura della gabbia europea, in materia di energia la von der Leyen, durante la conferenza stampa finale, è stata chiara: “la risposta principale per ridurre i prezzi dell’energia è investire di più nelle energie a basse emissioni di carbonio, ovvero il nucleare e le energie rinnovabili, perché sono i combustibili fossili che importiamo a determinare i prezzi“.
Se da una parte si invoca la flessibilità sulle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi sulle emissioni, la riduzione dei costi dell’energia – che hanno dato un duro colpo alla competitività dell’industria europea – viene connesso al rilancio del nucleare. Con tutte le possibili ricadute dual use delle tecnologie ad esso legate.
Arrivando infine alla questione più dirimente, ovvero quella bellica, il primo elemento da sottolineare è che le conclusioni sull’Ucraina sono stato approvate da 26 membri della UE, senza Orban e l’Ungheria. Gli altri leader europei hanno ribadito la “necessità di continuare a sostenere l’Ucraina politicamente e militarmente“.
Scholz ha addirittura tirato fuori nuovamente una questione che si sente da tempo: quella di prendere “decisioni in politica estera nel Consiglio Europeo con una maggioranza qualificata di due terzi, anzichè all’unanimità“. Un passo nella revisione istituzionale della UE che diventa fondamentale per stare al passo con la velocizzazione dell’esplosione delle contraddizioni.
L’indirizzo adottato per l’Ucraina rimanda alla formula già usata da von der Leyen di raggiungere una “pace attraverso la forza“, mentre alcuni paesi hanno ribadito anche la volontà di accelerare i negoziati per l’ingresso del paese est-europeo nella UE. Intanto, Kiev potrà partecipare agli acquisti comuni per la difesa promossi attraverso il SAFE, il programma da 150 miliardi di prestiti promosso dalla Commissione Europea.
Anche Orban ha invece dato il via libera alle conclusioni che puntano “ad accelerare i lavori su tutti i fronti per aumentare in modo decisivo la prontezza di difesa dell’Europa entro i prossimi cinque anni“. Rimangono distanze importanti per quanto riguarda la modalità dei finanziamenti e le casse di chi il riarmo dovrebbero alla fine rimpinguare.
Dentro l’architettura dell’Unione Europea l’alto debito pubblico rimane una pesante ipoteca per qualsiasi opzione, anche con l’attivazione delle clausole di salvaguardia. Per questo mentre la Germania sicuramente ne approfitterrà, altri paesi ad alto debito sembrano più riluttanti a percorrere questa strada.
Macron, invece, è il principale sostenitore del Buy European, mentre altri vorrebbero una maggiore integrazione con la catena del valore statunitense. Anche solo per ammansire Donald Trump, che sembra determinato a scavare il solco della guerra commerciale con gli alleati-vassalli della nostra sponda dell’Atlantico.
“Siamo in attiva discussione con l’amministrazione statunitense su questo tema – ha detto von der Leyen – e posso confermare che abbiamo deciso di modificare i tempi di entrata in vigore delle tariffe. Ma l’impatto della nostra risposta non cambia. Questo è molto importante, perché copre misure fino a 26 miliardi di euro“.
Un discorso che mostra in realtà profonda preoccupazione per la tenuta della fragile UE di fronte alle sollecitazioni della fase storica che viviamo. In un certo senso, questo senso del passaggio storico è stato ribadito dalla presidente della BCE, Christine Lagarde, intervenuta in audizione alla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo.
Il suo discorso ha spaziato su tutti i temi caldi dell’economia dell’Unione Europea, e ha sottolineato come l’istituto che presiede è pronto a fare “whatever it takes” per rispettare il suo mandato. Il richiamo alla famosa frase di Mario Draghi non può essere inteso solo come un gioco retorico.
Bisogna ricordare che il predecessore di Lagarde usò quell’espressione per annunciare ai mercati l’intenzione di impegnarsi in un largo e diversificato programma di acquisto di titoli di stato dei paesi UE, per combattere la speculazione a cui erano soggetti nel pieno della crisi del debito sovrano del 2012.
Oggi non è facile prevedere quali saranno le mosse della BCE, ma quello che è certo è che dire “whatever it takes” spinge a paragonare il passaggio storico che stiamo vivendo a quello affrontato dal progetto unioneuropeista poco più di un decennio fa, nei termini di pericoli per la sua tenuta e della necessità di ‘inventarsi’ soluzioni nuove per proiettarlo oltre la crisi.
Mentre Lagarde stima l’effetto dei dazi USA al 25% sull’import europeo in una riduzione della crescita dell’area euro dello 0,3% del PIL (quasi la metà della crescita registrata nel 2024), e quello dei contro-dazi per ora bloccati ad un ulteriore 0,2%, la politica monetaria si fa più prudente su ulteriori tagli dei tassi di interesse (la prossima riunione è a inizio aprile).
Rimangono nell’aria altre soluzioni per il finanziamento del riarmo, ad esempio gli Eurobond. Mentre non merita davvero commento il dibattito sulla volontà di rinominare il piano di Rearm Europe con formule che possano o rimandare a famosi fascisti europeist (Defend Europe) o con espressioni che sono più digeribili dall’opinione pubblica: la sostanza rimane la stessa.
Intanto, guardando ai prossimi appuntamenti di rilevanza internazionale, a margine del Consiglio Europeo Macron ha chiamato per giovedì prossimo un summit della ‘coalizione dei volenterosi’ vicina a Zelensky, per rilanciare il sostegno a Kiev.
Il presidente francese ha detto che metteranno a punto i “lavori di sostegno a breve termine all’esercito ucraino, di difesa di un modello di esercito ucraino durevole e sostenibile per prevenire le invasioni russe, e inoltre delle garanzie di sicurezza che possano fornire gli eserciti europei“.
Bruxelles vuole dunque continuare la guerra alla Russia sulla pelle degli ucraini, perché è l’unica giustificazione che riesce a trovare per legittimare il proprio tentativo di assumere pienamente un ruolo definitivamente imperialista.
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