Menu

Francia. Quando la guerra attacca le pensioni…

Mercoledì 5 marzo, mentre Macron si preparava a pronunciare il suo discorso sull’innalzamento delle spese militari prima del Consiglio straordinario che ha discusso il piano ReArm Europe, Gilbert Cette, economista macronista e presidente del Conseil d’orientation retraites (COR), scriveva sul sito del giornale Telos:

«Infine, le attuali discussioni sulle pensioni non possono ignorare del tutto l’attuale contesto internazionale. La necessità di aumentare considerevolmente la nostra spesa militare nei prossimi anni, se non trimestri, sta diventando sempre più chiara e pressante. Il graduale ingresso, più o meno esplicito, in un’economia di guerra renderà secondari, se non addirittura irrisori, gli attuali dibattiti sull’età pensionabile. La questione diventerà invece, in questo ambito e tra le molte altre decisioni da prendere, come aumentare rapidamente questa età pensionabile oltre i 64 anni decisi nella legge del 2023…»

In breve, l’entrata in (un economia di) guerra “rende derisori i dibattiti attuali sulle pensioni” mettendo con le spalle al muro ogni negoziazione in corso sulla riforma di legge sulle pensioni del 2023, proprio nel momento in cui con il nuovo governo di Bayrou (un po’ più a sinistra solo se comparato a Barnier, e scelto da Macron per neutralizzare la spinta del Front Populaire dopo la caduta del governo) si erano riaperte le trattative che vedono coinvolte le organizzazioni sindacali e padronali per discutere la possibilità di abbassamento dell’età pensionistica, ad oggi fissata a 64 anni dalla riforma di 2 anni fa.

A confermare questo passo indietro sul piano delle trattative, è intervenuto direttamente il primo ministro, la scorsa domenica sulla trasmissione “Questions politiques”, escludendo la possibilità di un ri-abbassamento dell’età pensionabile a 62 anni.

Niente di cui sorprendersi: che la formula preferita da industrie belliche e capi di stato liberal-guerrafondai sia tagliare al pubblico per finanziare la guerra, è storia tristemente nota. In questo caso, è l’incalzante cronoprogramma a essere spudorato, dal momento che le parole del fedelissimo di Macron e di Bayrou arrivano a margine del tavolo settimanale della “conclave retraite” apertosi solo all’inizio del 2025, irritando, a buon diritto, i sindacati.

Anche il Rassemblement National ha avuto da ridire, attraverso la figura di di Laurent Jacobelli, membro dell’Assemblea Nazionale, che ha criticato la tattica macronista di utilizzare “alibi” esterni per non occuparsi della politica interna.

È così che la “conclave retraites” si è sfasciata nel giro di due settimane, con l’abbandono del tavolo da parte di vari sindacati, tra cui anche la CGT, di fronte alla chiusura della possibilità di un abbassamento dell’età pensionabile.

Eppure, anche nel fronte antigovernativo e tra gli strenui difensori delle pensioni francesi, non mancano i guerrafondai.

In una dinamica che ricorda quella italiana, i sindacati riformisti e complici, come la CFDT (Confédération française des travailleurs chrétiens), la CFE-CGC (Confédération française de l’encadrement – Confédération générale des cadres), la CFTC (Confédération française démocratique du travail) e FO (Confédération générale du travail – Force ouvrière), sono tutti favorevoli a un rafforzamento della difesa, basta che non avvenga a spese della sola causa che dovrebbero, in teoria, difendere, la sécurité sociale francese.

Cyril Chabanie, presidente della CFTC, è intervenuto nel dibattito lunedì 10 marzo, su FranceInfo, rispondendo a caldo alle affermazioni del presidente del COR:

“Non appena si parla di sforzo bellico, la prima idea che viene in mente è quella di aumentare l’età pensionabile prevista dalla legge, quando ci sono molti altri modi per finanziare questo sforzo bellico.”

Un messaggio che rispecchia l’atteggiamento di tutto un mondo della “sinistra”, erede di quella socialdemocrazia che all’alba della Prima guerra mondiale votava per l’entrata in guerra pur continuando a riempirsi le parole di diritti sociali e rivoluzione e che, da allora, non ha mai smesso di scendere a compromessi di fronte a ogni tornante storico, agendo da stabilizzatori del sistema, costruendo quella “paix industrielle” che annichilisce le ambizioni della classe lavoratrice, e rimanendo subalterni agli interessi imperialisti di chi promuove la guerra spacciandola per legittima difesa.

Eppure, l’equazione è facile: non ci può essere giustizia sociale con la guerra.

In questo scenario politico caratterizzato dal riarmo europeo, che rimescola le carte anche sul tavolo nei negoziati tra parti sociali in materia di pensioni, a due anni dalle mobilitazioni contro la riforma pensionistica, e a pochi giorni dalla piazza (il 20 marzo) chiamata dalla URC-CGT che si appellava alla mobilitazione dei pensionati “pour reconquérir la sécurité sociale”, ricordiamo la storia della Sécurité Sociale francese, che getta le sue radici in un profondo e attivo rifiuto della guerra e in una proposta di società differente.

Una breve storia della Sécurité Sociale

Nata in seno alla Resistenza, dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, grazie alla spinta del Partito Comunista Francese, in testa Ambroise Croizat, il sistema di previdenza sociale francese venne approvato nel 1945, e da allora continua a difendersi dai continui attacchi di padroni e signori della guerra.

Questa legge capovolgeva i principi su cui si erano basate le leggi precedenti, rispettivamente la loi des retarites ouvrières et paysannes del 5 aprile 1910, definita dalla CGT di allora (nata nel 1895) come una “pensione per i morti”, considerando che la speranza di vita per un operaio francese all’inizio del XX secolo era di 49 anni per gli uomini e 52 per le donne; e la legge sulle Assurances sociales del 1928, completata nel 1930, che aveva allargato il dispositivo pensionistico, assemblando le casse destinate a malattia, maternità, invalidità e vecchiaia, ma mantenendo il principio di capitalizzazione e affidandone la gestione alle società mutuali.

PANDOR, Congrès du Parti Communiste Français https://pandor.u-bourgogne.fr/archives-en-ligne/ark:/62246/r56379zr8z6fgk/f77.large?&tst=1741104778249

Rapporto politico del Comitato centrale: Congresso nazionale del Partito comunista francese dal 31 marzo al 6 aprile 1929 a Parigi. Nell’ambito di una valutazione generale da parte del Comitato Centrale della situazione politica francese e della tattica da adottare, il PCF attaccò le assicurazioni sociali (la legge era stata approvata l’anno precedente), considerandole uno strumento di “pace sociale” (“pace industriale”), di corruzione dei datori di lavoro e di rafforzamento della collaborazione con le organizzazioni riformiste, e quindi una minaccia per il movimento operaio e la CGTU.

Con la fine della guerra, il 15 marzo 1944, venne adottato un programma da parte del Consiglio nazionale di Resistenza (CNR) che, accanto a un programma di nazionalizzazioni economiche, annunciava «un sistema di sicurezza sociale completo, volto a fornire a tutti i cittadini un mezzo di sussistenza in tutti i casi in cui non siano in grado di ottenerlo attraverso il lavoro, con una gestione che appartiene ai rappresentanti delle parti interessate e allo Stato».

È su questo programma che, nell’ottobre 1945, venne istituito il sistema d Sécurité sociale, che riuniva “in una sola cassa tutte le forme anteriori di assicurazione sociale e la finanzia attraverso un contributo intersettoriale a tasso unico”.

Senza entrare nei dettagli tecnici, la rilevanza di questo passaggio è legata ad alcuni principi fondamentali su cui la legge del 1945 si basa, e che restano l’osso duro dello stato sociale francese, nonostante i costanti attacchi degli ultimi decenni.

Basandosi sull’assunto “a ognuno secondo i suoi bisogni e ciascuno secondo le proprie possibilità”, le ordinanze del 4 e del 19 ottobre si basano su 4 principi: una cassa unica (che gestisce l’insieme dei rischi sociali tali che la malattia, gli accidenti sul lavoro, la vecchiaia e la maternità), l’universalità delle prestazioni, il finanziamento per contributi e una gestione democratica da parte degli assurés, ovvero i diretti interessati. Dal punto di vista delle pensioni, una legge del 1941 aveva già introdotto un sistema di ripartizione, riconfermato dal sistema pensionistico.

I pionieri assoluti della riforma furono il Partito Comunista Francese e la CGT, con Ambroise Croizat come ministro del lavoro, in collaborazione con l’alto funzionario Pierre Laroque, che all’alba della liberazione aveva affermato «c’est une révolution qu’il faut faire et c’est une révolution que nous ferons!».

s.d. Photo discours d’Ambroise Croizat, en hommage aux militants morts pour la paix et la liberté | DR – coll. IHS Métaux Ill_Histoire_Maison-Metallos_03-768×480.jpg (768×480)

50 anni di lotta di classe dall’alto contro il sistema di previdenza francese

La riforma delle pensioni del 2023, contro cui le forze dell’opposizione francese continuano a mobilitarsi, è solo l’ultimo tassello di un processo di smantellamento che è iniziato appena dopo l’introduzione del sistema di Sécurité Sociale, che fin dagli inizi dovette confrontarsi con l’ostilità di mutue, interessi padronali e interessi corporativi di quelle categorie che pretendevano uno statuto speciale abdicando il regime generale.

Il primo grande colpo sferrato al sistema di Sécu avvenne nel 1967, con le ordinanze Jeanneney del 21 agosto che aumentano i contributi, riducono le prestazioni, aboliscono le elezioni dei fondi primari, smantellando il sistema democratico su cui si fondava la Sécu, e separano i regimi di famiglia, malattia e vecchiaia in tre fondi nazionali autonomi.

Nel 1983 l’abbassamento dell’età pensionabile a tasso pieno a 60 anni è l’ultima grande misura di progresso messa in opera, prima del “tournant de la rigueur”, che da quel momento in avanti avrebbe continuato fino ad oggi a smantellare il sistema di previdenza francese.

Con la riforma Balladur nel 1993 – che alza ulteriormente i contributi – le pensioni vengono adeguate all’inflazione e non più ai salari, e il piano Juppé del 1995 punta ad applicare questa misura anche al settore pubblico. Diventa compito dei parlamentari votare ogni anno la legge di finanziamento della Sécurité sociale, che prima era in capo ai partenaires sociaux.

In breve, il finanziamento della Sécu si piega a una logica di adattamento delle prestazioni in base ai finanziamenti e non tanto ai bisogni reali, legandone le sorti anche ai rigidi criteri budgetari europei. Inoltre, questa riforma porta alla soppressione definitiva delle elezioni degli amministratori delle casse della «Sécu», che erano state per breve tempo reintrodotte da François Mitterrand nel 1983 dopo la riforma del 1967. Ne fa seguito una grande mobilitazione sindacale e sociale, che per 3 settimane blocca il paese, ottenendo solo in parte la limitazione della riforma.

Manifesto contro lo smantellamento della Sécurité Sociale del 1967, dagli Archives Departamentales de la Seine-Saint-Denis

Da allora altre tre riforme hanno aggravato la situazione. Nel 2010, con Sarkozy, l’età di pensionamento legale viene alzata a 62 anni; nel 2014 Hollande approva la riforma Touraine che porta a 43 anni la durata dei contributi conferente diritto a una pensione a tasso pieno; infine, nel 2023, Macron alza l’età pensionabile a 64 anni, scatenando la furia dei lavoratori francesi, che per mesi hanno riempito le piazze, riaprendo l’acceso dibattito che ancora oggi infuoca l’Assemblea Nazionale, di fronte ai nuovi “sacrifici” che si prevedono per finanziare la guerra.

Difendere le pensioni vuol dire dichiarare guerra alla guerra

Nata dalla “guerra alla guerra” dei partigiani contro il nazifascismo, e dalla spinta soggettiva di un sindacato confederale e di un partito forti guidati da dirigenti rivoluzionari, la Sécurité Sociale francese è il prodotto di una fase storica caratterizzata da un bouleverement dei rapporti di forza tra classi, dimostrando ancora oggi che nessuno dei diritti di cui godiamo è frutto di una concessione dall’alto.

Neppure i subdoli sistemi di menagement aziendale sviluppati con la ristrutturazione neoliberista, che introducono modelli di democrazia aziendale e governance più sostenibili, hanno niente a che fare con i diritti dei lavoratori, che attraverso questi dispositivi vengono resi più ricattabili e mansueti di fronte a nuove strategie di pacificazione sociale, frutto di una lotta di classe condotta dall’alto verso il basso.

Non esiste nessun meccanismo interno al sistema che porti alla generalizzazione dell’interesse dei lavoratori, ma solo la capacità della classe, organizzata, in un determinato momento storico, di far valere i propri rapporti di forza e imporre il proprio interesse specifico, che, come nel caso della Sécurité Sociale, da specifico si fa generale.

Oggi, in un momento in cui, ancora una volta, vediamo attaccati gli scarni resti di uno stato sociale conquistato dalle lotte che ci hanno preceduto in nome del riarmo, è quanto mai necessario articolare politicamente la difesa sindacale ed economica dei diritti, smascherando il torbido pulviscolo di interessi che si nasconde dietro questi attacchi, e condannando, senza se e senza ma, una guerra che mai è stata e mai sarà portata avanti nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *