“Abbiamo deciso che le fazioni locali e gli sceicchi saggi si assumeranno la responsabilità del mantenimento della sicurezza a Sweida. Avevamo due opzioni: una guerra aperta con l’entità israeliana a spese del nostro popolo druso, della sua sicurezza e della stabilità della Siria e dell’intera regione, oppure dare agli anziani drusi e agli sceicchi l’opportunità di tornare in sé e dare priorità all’interesse nazionale”.
È un Al-Golani dimesso, ma che cerca, come al solito, di darsi un’immagine saggia e moderata quello che annuncia di aver alzato bianca e ritirarsi dal sud.
Come ormai noto, tutto era partito dagli attacchi settari contro dei civili delle comunità druse della provincia di Sweida, da parte di milizie beduine ideologicamente affini e organizzativamente legate a doppio filo con la stessa Hayat Tahrir al-Sham (HTS) o con l’Isis. Dopo la risposta delle milizie delle tribù druse, la stessa HTS, come nel gioco delle tre carte, ha indossato la veste governativa e ha preteso di porsi come forza terza atta a ristabilire l’ordine, inviando truppe nella provincia di Sweida.
Tale mossa ha incontrato, ovviamente, l’ostilità dei clan drusi, refrattari a considerare come un aiuto quello proveniente da altri qaedisti da Damasco, ed ha offerto il pretesto per l’intervento sionista, che ha bombardato alcuni convogli di HTS diretti verso la zona degli scontri, il Ministero della difesa e addirittura il Palazzo Presidenziale nella capitale.
In questo caso, vi era anche la scusa ulteriore della richiesta dei drusi con cittadinanza israeliana (non esentati dal servizio militare, diversamente dagli altri Palestinesi del 1948) di “aiutare i loro fratelli” al di là del confine.
Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, il bilancio totale degli scontri è di più di 350 morti, marcando una nuova ripresa della guerra civile dopo le ondate di attacchi settari sulla costa del marzo scorso, in realtà mai placatasi. Sostanzialmente, la Siria attuale registra un tasso di violenza e di scontri interni maggiore rispetto agli ultimi anni del precedente regime, quando il conflitto era rimasto per lo più freezato.
A svolgere il ruolo di finto difensore delle autorità centrali siriane, anche qui in un imbroglio che somiglia al gioco delle tre carte, è stata niente poco di meno che l’Amministrazione USA, la quale ha invitato alla moderazione l’alleato sionista.
Parlando con i giornalisti alla presenza di Trump, Rubio ha derubricato i bombardamenti su Damasco ad un malinteso. “Si tratta di rivalità storiche di lunga data tra diversi gruppi nel sud-ovest della Siria – ha affermato, riferendosi agli scontri tra i drusi e i beduini – E questo ha portato a una situazione spiacevole e a un’incomprensione, a quanto pare, tra la parte israeliana e quella siriana”.
Successivamente, lo stesso Rubio ha dichiarato chiusi gli scontri scrivendo su X: ”Abbiamo concordato misure specifiche che porranno fine a questa situazione inquietante e orribile stasera”.
Tali misure specifiche consistono, come abbiamo visto nelle dichiarazioni dello stesso Al-Golani, nel ritiro di quelle che dovrebbero essere in teoria le milizie governative, le quali erano riuscite a prendere il controllo del territorio nonostante i bombardamenti aerei subiti, a favore delle milizie druse locali, con queste ultime che vengono, quindi, riconosciute di fatto.
Ciò potrebbe costituire il prodromo per il riconoscimento di una regione autonoma drusa del sud semi-indipendente, la quale andrebbe ad affiancarsi all’Amministrazione Autonoma del Nord-Est, a guida curda.
A proposito di quest’ultima, i colloqui a quattro della scorsa settimana, tenuti da Forze Democratiche Siriane (SDF), HTS, USA, Francia, non hanno fatto segnare alcun progresso nel processo d’integrazione fra nord-est e Damasco. Anche qui, gli USA si sono verbalmente posti come i maggiori sostenitori della centralizzazione a favore delle autorità di HTS, incontrando le rimostranze delle SDF.
Fattivamente, però, non si parla di ritiro delle truppe americane dai territori del nord-est, quindi l’appoggio statunitense alle SDF rimane immutato.
Ne viene fuori un quadro frammentato, dove gli unici che non riescono ad organizzarsi a sufficienza e ad ottenere margini di autonomia solo gli alawiti della costa che, insieme ai cristiani, continuano a subire politiche di stampo genocidario da parte di HTS.
In generale, il potere di Al-Golani e soci appare al suo minimo storico, poiché l’unico risultato apparente conquistato sono stati vari annunci di sospensione delle sanzioni da parte degli USA, la cui veridicità ed utilità è tutta ancora da riscontrare nei prossimi mesi.
Per il resto, il regime sionista pone condizioni sempre più restrittive per la pacificazione: non basta la persecuzione delle organizzazioni palestinesi e la messa in discussione del loro status di rifugiati in Siria, ma è necessario garantire anche il riconoscimento dei territori sui quali si sono espansi da dopo la caduta di Assad in poi, una sostanziale smilitarizzazione del paese, il riconoscimento delle aree autonome drusa e curda.
Una capitolazione totale, insomma. Altrimenti sarà guerra continua.
Altro soggetto che sta subendo una capitolazione più o meno totale è la Turchia: autoesaltatasi come la principale regista e beneficiaria del cambio di regime il dicembre scorso, sta completamente fallendo nel suo scopo minimo di limitare l’influenza delle SDF, nonché in quello superiore di garantire un quadro unitario e centralizzato alla Siria sotto la sua ala.
Attualmente Ankara sostiene ancora l’apparato burocratico del nuovo stato solo per evitarne il collasso definitivo e sostiene le milizie del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano, la cui funzione non è chiara. Un aggravio poderoso che, però, non porta nemmeno risultati maggiori di quelli che avrebbe portato la permanenza di Assad. Un perfetto autogol per regime neo-ottomano che, di fatti, sullo scenario siriano ha “lavorato per il re di Prussia”.
Questa debacle potrebbe anche influenzare seriamente il fronte interno: c’è da capire, infatti, se la cristallizzazione nel tempo dell’Amministrazione del Nord-est come stato di fatto del tutto autonomo da Damasco, magari con il crescente sostegno sionista, non metta per la seconda volta a rischio il processo di pace interno con il PKK, dato il collegamento fra quest’ultimo e le SDF.
Si attende, in tal senso, un pronunciamento più chiaro di Ocalan in merito alle SDF che potrebbe influenzare non poco gli eventi. Secondo Ankara, queste ultime dovrebbero disarmarsi, ma è altamente improbabile vista la condotta di HTS nei confronti delle minoranze.
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Walter
Nulla cambierà finché usa e paesi coloniali ue faranno la parte dei “moderatori”. E l’onu, al solito, non corre il rischio di farsi vedere o sentire