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Trump ritira (di nuovo) gli USA dall’UNESCO: “è anti-israeliana e filo-cinese”

Lunedì la portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Tammy Bruce, ha reso noto che l’amministrazione Trump ha deciso di ritirare l’adesione degli USA dall’UNESCO, l’agenzia del sistema della Nazioni Unite che si occupa di educazione, scienza e cultura. Si tratta della terza volta che la Casa Bianca decide di lasciare l’organizzazione.

La prima volta era stata con Reagan, nel 1984, rimanendone fuori per vent’anni. La seconda volta è stata sempre col tycoon, durante il suo primo mandato, nel 2017. La decisione era poi entrata in vigore effettivamente alla fine del 2018. Biden aveva successivamente deciso di chiedere di nuovo l’ammissione, e gli Stati Uniti erano rientrati nell’UNESCO a malapena due anni fa.

A febbraio, Trump aveva ordinato una revisione della durata di 90 giorni per quanto riguardava la partecipazione di Washington alla rete dell’agenzia. La revisione si è conclusa e l’annuncio di lunedì è il risultato. E ci sono vari motivi che spingono Trump a ripetere quel che aveva già fatto qualche anno fa.

La prima causa riguarda il solido legame con Israele. Alla fine del 2018, insieme a Washington, anche Tel Aviv aveva lasciato l’UNESCO. L’organizzazione, anche di recente, ha lanciato dei moniti contro l’entità sionista che ha già provocato molti danni a patrimoni storici e culturali dell’umanità davvero inestimabili.

Ma soprattutto, assai problematica è stata la decisione – che l’UNESCO ha preso da tempo – di ammettere lo Stato di Palestina come membro a tutti gli effetti dell’agenzia (mentre all’ONU è semplicemente un osservatore permanente). Tammy Bruce ha detto esplicitamente che l’UNESCO ha “contribuito alla proliferazione della retorica anti israeliana“, cosa inaccettabile per gli USA.

Non a caso, il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha dichiarato: “accogliamo con soddisfazione la decisione dell’amministrazione Usa di ritirarsi dall’Unesco, questo è un passo necessario per promuovere la giustizia e il diritto di Israele ad avere un trattamento equo in seno al sistema ONU“.

Anna Kelly, una portavoce della Casa Bianca, ha invece sottolineato come l’organizzazione con sede a Parigi porti avanti “cause culturali e sociali woke e divisive” che sono in contrasto con la politica estera ‘America First‘ dell’amministrazione Trump. Ha insomma tirato fuori tutto l’armamentario ideologico che sostiene l’unilateralismo totale del secondo mandato di The Donald.

Trump ha mostrato di seguire una linea dura (spesso aleatoria e contraddittoria) in cui saltano tutte le camere di compensazione, anche con gli alleati. In un orizzonte del genere, il multilateralismo incarnato nell’ONU è un’opzione inutile, costosa, e persino controproducente a volte.

Ovviamente, non è dal Consiglio di Sicurezza che Washington si ritira, ma da alcuni rami delle Nazioni Unite, o perché considerati più inutili o per testare il terreno e vedere fino a che punto tali agenzie possono essere piegate al volere stelle-e-strisce. Così è stato, a inizio anno, per l’OMS, e così è ora per l’UNESCO.

La sua direttrice generale, Audrey Azoulay, ha dichiarato: “per quanto deplorevole possa essere, questo annuncio era previsto e l’UNESCO si stava preparando“. Il riferimento, è evidente, è alla storia recente dei rapporti con Washington, ma anche alle fonti di finanziamento, altro nodo che sta a cuore a Trump.

Gli Stati Uniti, infatti, avevano già sospeso i trasferimenti all’ingresso della Palestina nell’UNESCO, nel 2011. L’altalena delle vicende successive ha fatto poi accumulare alla Casa Bianca una serie di debiti verso l’agenzia ONU, che di certo il presidente statunitense non vede alcuna utilità nel saldare ora.

Parliamo comunque di cifre irrisorie per il faraonico bilancio USA. Basti considerare che sui conti dell’organizzazione parigina la fetta di fondi provenienti da Washington si era già più che dimezzata rispetto al 2017, dal 20% all’8%. Ad oggi, gli Stati Uniti sono ancora il maggior finanziatore, ma spendono poco più di 150 milioni di dollari.

Sicuramente per l’UNESCO il venir meno di queste risorse sarà un duro colpo. Ma è evidente che il tema economico è assolutamente accessorio in una decisione politica che è da ascrivere totalmente al campo delle scelte strategiche. Infatti, un’altra accusa rivolta all’agenzia è anche quella di essere troppo anti-americane e filo-cinese (il Dragone è il secondo finanziatore).

Ai tempi di Reagan, l’UNESCO era troppo vicino a Mosca. Oggi è troppo vicino a Pechino. La propaganda da Guerra Fredda torna uguale anche nello scontro a tutto campo con l’emergere di un mondo multipolare.

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