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Serbia nel caos, Vucic: “tentativo di rivoluzione colorata” 

Da dieci giorni, la Serbia è attraversata da violenti scontri di piazza che segnano una pericolosa escalation rispetto al clima di contestazione che dallo scorso novembre interessa il Paese balcanico.  

Belgrado, Valjevo, Nis, Novi Sad e in diverse cittadine della Vojvodina hanno visto centinaia o migliaia di cittadini, a seconda della grandezza dell’insediamento, scendere in piazza contro il governo, dando vita a scontri violenti sia con le forze dell’ordine, sia con i sostenitori del governo. 

Gli scontri di piazza

Gli episodi di violenza hanno rappresentato un salto di qualità delle manifestazioni. Da una parte, “l’ala radicale” del movimento si è scontrata più volte con la polizia e ha attaccato le sedi del Partito progressista serbo, che esprime il presidente della Repubblica Aleksandar Vucic, dandogli fuoco e lanciandone il mobilio in strada. 

A Novi Sad un gruppo ha addirittura preso di mira il contingente militare di forze speciali “Cobra”, portando le forze dell’ordine a sparare un colpo di avvertimento in aria per disperdere i manifestanti.   

Dall’altra, la risposta della polizia non è stata da meno, causando decine di arresti. In difesa del governo sono scesi in piazza anche i gruppi organizzati delle tifoserie calcistiche serbe, che in più riprese si sono scontrati direttamente con i manifestanti.  

Scene di polizia antisommossa che separavano teppisti mascherati apparentemente filo-governativi dai manifestanti si sono ripetute in diverse città mentre i razzi inondavano le strade di rosso vivo”, riporta POLITICO in un’intervista con Peđa Mitrović, un deputato dell’opposizione. 

Il clima di proteste

Le proteste erano iniziate lo scorso novembre dopo che a Novi Sad una pensilina della stazione ferroviaria è crollata uccidendo 15 persone, tra cui due bambini piccoli, e provocando molti altri feriti. 

Quello che era iniziato sottoforma di brevi presidi, si è trasformato poi un grande movimento di protesta, dove un ruolo importante è stato svolto dagli studenti. 

Le smentite del governo di essere in qualche modo responsabile non hanno fatto altro che alimentare le proteste contro la corruzione, nonostante le accuse collegavano la tragedia a un progetto di ristrutturazione gestito dallo Stato, ma portato avanti con lavori scadenti e supervisioni approssimative. 

Le accuse del presidente Vucic

Le proteste fanno parte “di un tentativo di mettere in scena una rivoluzione colorata, organizzata e pagata dall’esterno”, ha detto il presidente Vucic in un discorso pronunciato davanti a un ufficio vandalizzato del Partito progressista serbo a Belgrado. 

Lo Stato agirà con decisione”, ha sottolineato Vucic, rilanciando contro le presunte ingerenze esterne. “Non abbiamo bisogno di istruzioni dall’esterno; ristabiliremo l’ordine nel nostro Paese e libereremo il popolo dal terrore e dal male”, ha aggiunto. 

Una nuova Maidan?

Le autorità serbe stanno chiamando alla mobilitazione contro il tentativo di una nuova Maidan nello Stato balcanico. 

Le tensioni generate a sud dalla “questione kosovara”, le continue schermaglie più o meno diplomatiche con la Croazia – ultima in ordine di tempo, l’invito per i rispettivi cittadini a non viaggiare verso l’altro Paese –, nonché il “distacco interessato” dei maggiori governi occidentali durante questi mesi di proteste, i quali non sono andati oltre generici richiami al dialogo democratico e alla denuncia dell’uso della violenza. 

Tutti elementi che alimentano la tensione e la possibile instabilità della Repubblica di Serbia, già al centro di pressioni a vari livelli per via del sostegno alle ragioni russe nel conflitto in Ucraina e nel generale riassetto dei rapporti di forza internazionali. 

Dall’Unione Europea non sono arrivate ferme condanne, mentre la Russia ha reiterato il sostegno a Vucic. La situazione polarizza ulteriormente la Serbia, in uno scenario che ricorda l’ultimo governo Milosevic”, ha affermato l’Ispi nell’ultimo approfondimento dedicato alla questione. 

Uno scenario ben poco incoraggiante per la stabilità della regione, e non solo. 

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