Una resa totale. Leggendo le quattro paginette striminzite della “dichiarazione congiunta” tra Stati Uniti ed Unione Europea a proposito dei dazi commerciali decisi da Trump si può dire tranquillamente che il contributo europeo al testo si limita… alla firma.
Il resto è semplicemente il diktat imposto dagli Usa, quasi senza modifiche a quel che era stato anticipato a voce dallo stesso Trump.
Gli Stati Uniti imporranno perciò dazi massimi del 15% sulle auto, i prodotti farmaceutici e i semiconduttori europei, e questo viene addirittura rivenduto come una “vittoria” visto che inizialmente si parlava del 27,5%.
Specie nel settore automobilistico, comunque, la cosa non è affatto lineare. Si sa infatti che attualmente la costruzione di veicoli nei vari paesi è in realtà un assemblaggio di componenti – in parte standard, come le centraline elettriche fornite da Taiwan, dal Giappone e pochi altri paesi, in parte “personalizzati” per differenziare in qualche misura marchi e modelli – che viaggiano da un continente all’altro e attraversano parecchie frontiere, spesso in entrambi i sensi.
Dunque il rischio concreto è quello dell’applicazione del +15% ogni volta che un componente passa per la dogana Usa, con un effetto di rincaro che si accumula più volte.
In cambio di questa “riduzione dell’aumento” delle tariffe, la UE non solo si guarda bene dall’applicare a sua volta dazi sulle merci statunitensi, ma si impegna a togliere quelle esistenti (10% sulle auto, per esempio). La riduzione al 15%, comunque, non è immediata, ma entrerà in vigore solo quando la UE avrà formalizzato con la legislazione continentale l’abolizione delle tariffe sui prodotti Usa.
Il vassallaggio feudale non potrebbe essere più esplicito.
Il povero il Commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefcovič ha dovuto “celebrare” questa pseudo-intesa straparlando di risultato di un “lavoro intenso ed essenziale”, giurando che “Questa non è la fine; è l’inizio. Questo quadro è un primo passo“. Si può sempre fare peggio, in effetti…
Ma questo, per l’appunto, è solo l’inizio. In nessuna riga del testo si fa minimamente cenno all’agroalimentare e quindi – specie per quanto riguarda le esportazioni di vini da Francia e Italia – i dazi bisogna presupporli alti come annunciato un mese fa. Un “grande successo” dell’inginocchiamento diplomatico suggerito da Giorgia Meloni…
Per ringraziare delle bastonate subite, il blocco europeo si impegna ad ampliare l’accesso al mercato per i prodotti agricoli statunitensi, notoriamente problematici per quanto riguarda l’uso abnorme di pesticidi ed ogm.
Più contorta, ma non più favorevole, la questione riguardo ad acciaio e alluminio. Washington e Bruxelles uniranno le forze per affrontare la sovrapproduzione di questi due metalli base, e valuteranno la possibilità di istituire quote tariffarie. Il che sembra una concessione alle richieste europee, visto che era stato annunciato addirittura un +50%. C’è però un però: UE e Stati Uniti si impegnano intanto a collaborare insieme contro i paesi che impongono “restrizioni all’esportazione di minerali critici“.
Favoloso, non vi sembra? Per ottenere uno sconto sui dazi Usa l’”Europa” si impegna ad entrare in guerra (commerciale, per ora) con la Cina e “altri”…
La Commissione Europea valuterà e di fornire “ulteriori flessibilità” nell’applicazione della tassa europea sul carbonio alle imprese americane, contraddicendo frontalmente gli impegni internazionali presi sul clima.
Inoltre si impegna a garantire che gli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità dell’UE (CSRD, una direttiva europea sugli obblighi di rendicontazione di sostenibilità per le imprese, il cui obiettivo principale è spingere le aziende a fornire dati dettagliati su temi ambientali, sociali e di governance secondo gli standard europei) o le norme di vigilanza sulla catena di approvvigionamento (CSDDD, altra direttiva europea che impone alle grandi imprese di esercitare la dovuta diligenza lungo tutta la propria catena del valore per identificare, prevenire e mitigare impatti negativi su diritti umani e ambiente) “non pongano restrizioni indebite al commercio transatlantico“.
In pratica, chissenefrega dell’intera normativa internazionale faticosamente raggiunta per evitare forme di schiavismo, sfruttamento minorile, disastri ecologici, ecc.
Il tutto “con piena soddisfazione reciproca” dentro il blocco euro-atlantico. E’ prevedibile, infatti, che a breve termine quelle normative vengano abolite o messe in frigo perché le imprese europee le vedranno come limitative della propria concorrenzialità, quantomeno rispetto alle analoghe merci Usa.
E’ finita qui? Naturalmente no.
L‘UE conferma l’impegno ad acquistare 750 miliardi di dollari di energia statunitense, inclusi gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti per l’energia nucleare, entro il 2028. Acquisterà, per di più, anche “almeno 40 miliardi di dollari” di chip per l’intelligenza artificiale made in USA.
Inoltre, “ci si aspetta che le aziende europee investano ulteriori 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti in settori strategici entro il 2028“, aggiunge il documento. Va ricordato che la gestione di questi “investimenti europei” sarà a discrezione dell’amministrazione Usa. In pratica “noi” glieli diamo e loro ci fanno quel che vogliono. Se ci sarà un profitto qualche briciola tornerà indietro, altrimenti state bene così…
Però si chiama “accordo”, mica comando dittatoriale…
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Andrea
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