Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, entità autonoma a maggioranza serba all’interno della Bosnia-Erzegovina, ha trasferito i propri poteri a Davor Pranjić, suo vicepresidente. Pranjić ha firmato il decreto con il quale sono promulgate modifiche alla Legge sulla Polizia e gli Affari Interni, ufficializzando il trasferimento dei poteri a lui stesso.
La vicenda proviene da lontano, e in questa fase di gravi tensioni ha risvolti anche internazionali. La Commissione elettorale del paese ha revocato il mandato di Dodik lo scorso 18 settembre, sulla base di una sentenza confermata lo scorso primo agosto e che lo ha portato a essere condannato ad un anno di carcere (poi tramutato in una multa) e a sei anni di interdizione dalle cariche pubbliche.
La sentenza è arrivata dalla Corte più alta della Bosnia, con sede a Sarajevo. Dodik è stato accusato di condotta anticostituzionale, e i suoi ricorsi non sono andati a buon fine. Le elezioni anticipate indette per il prossimo 23 novembre sono state ferocemente attaccate da Dodik e dai suoi sostenitori, che puntano al boicottaggio. A tale consultazione non potrà partecipare chi è di etnia bosgnacca musulmana e croata.
Nel frattempo, era già stato indetto un referendum popolare da tenersi il 25 di ottobre per far esprimere il popolo dell’entità autonoma in merito al mandato di Dodik. La conferma che tale votazione si tenga si avrà nei prossimi giorni, ma i toni si sono molto alzati nelle ultime settimane, innestandosi anche sulle tensioni etniche che attraversano ancora la smembrata ex Jugoslavia.
Dodik ha calcato la mano sul fatto che la condanna comminata nella capitale bosniaca è stata un atto “contro la Republika Srpska e contro il popolo serbo“. Tuttavia, anche se ha ribadito a più riprese di non riconoscere la decisione della Commissione elettorale, l’ormai ex presidente ha di fatto riconosciuto la sentenza e ha poi trasferito i suoi poteri a Pranjić, che appartiene alla minoranza croata della zona.
Dal punto di vista internazionale, già ad agosto il portavoce del Servizio diplomatico dell’Ue aveva sottolineato che il “verdetto della Corte di BiH (Bosnia-Erzegovina, ndr) è vincolante e deve essere rispettato“, mentre Dodik aveva ricevuto il sostegno del presidente serbo Aleksandar Vučić, del primo ministro ungherese Viktor Orban e della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
Non molto tempo prima, Dodik aveva dichiarato di voler far aderire la Republika all’accordo militare stretto fra Ungheria e Serbia (cosa che, inoltre, non è tra le sue possibile competenze). Questi messaggi avevano ovviamente allarmato Bruxelles, che seppur a fasi alterne e non in maniera sempre lineare, considera Budapest e Belgrado due alleati di Mosca.
Dopo un recente rimpasto di governo che ha sollevato dall’incarico molte figure non gradite agli USA, Dodik spera di incontrare anche il favore di Trump, sempre più interessato a scaricare sulla UE la questione ucraina. I russi, dal canto proprio, hanno detto che la sentenza contro l’ex presidente rappresenta una “minaccia alla stabilità della Bosnia-Erzegovina“.
Anche i Balcani si stanno infiammando di nuovo, mentre aumenta l’escalation tra Bruxelles e Mosca. Del resto, proprio l’intervento della NATO in Serbia segnò l’inizio della rottura di ogni possibile punto d’incontro su una cornice di sicurezza comune tra l’Alleanza Atlantica e la Russia. E questi fatti sono da seguire attentamente dentro il braccio di ferro di queste settimane.
Al riguardo, è bene ricordare un’ultima notizia. I servizi segreti russi hanno da poco affermato non solo che dietro le proteste che hanno attraversato la Serbia negli ultimi mesi ci sia la mano della UE, ma che questa stia preparando un altro Maidan per il 1° novembre, in occasione del primo anniversario del crollo della pensilina ferroviaria, che aveva innescato il ciclo di manifestazioni.
Se la guerra diretta ancora non è arrivata, i colpi di stato al di qua della nuova ‘Cortina di Ferro’ costruita dalla UE potrebbero essere una soluzione preferibile, intanto, per le classi dirigenti europee. Il nostro giornale lo aveva già ipotizzato, e il clima sembra stia peggiorando.
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