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Guerra civile negli USA contro gli ‘Antifa’. Truppe a Portland e alle sedi ICE

La guerra civile strisciante che vivono gli Stati Uniti non è più tanto strisciante. Trump ha ordinato il dispiegamento di truppe a Portland, nello stato dell’Oregon, dove da alcune settimane avvengono proteste antigovernative e contro la violenza dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), e presso le sedi dell’agenzia federale che si occupa della gestione dei confini e dell’immigrazione in tutto il paese.

Come suo solito, The Donald ha annunciato la decisione sul social Truth: “su richiesta del segretario della Sicurezza Nazionale, Kristi Noem, ho ordinato al segretario alla Guerra, Pete Hegseth, di fornire tutte le truppe necessarie per proteggere Portland, devastata dalla guerra, e qualsiasi struttura dell’ICE assediata dagli Antifa e altri terroristi interni. Autorizzo anche il ricorso alla forza massima, se necessario“.

Cosa significhino concretamente queste poche frasi è ancora in dubbio. Non è infatti chiaro se Portland verranno e le strutture dell’ICE vedranno l’arrivo della Guardia Nazionale, di militari propriamente detti, o di entrambe le forze, come era successo a Los Angeles lo scorso giugno: per le proteste scoppiate in seguito ai raid contro gli immigrati, in città erano arrivati Marines e Guardia Nazionale.

Qualcosa di simile era già avvenuto a inizio agosto, nella capitale Washington, mentre unità della Guardia Nazionale stanno per essere dispiegati a Memphis, nel Tennessee, “contro la criminalità dilagante“, dice il tycoon. La Casa Bianca sta valutando se fare la stessa scelta anche per altre grandi città come Baltimora e Chicago.

Ma se per Memphis Trump aveva l’appoggio del governatore repubblicano Bill Lee, non è così per Portland, ad esempio. “Come altri sindaci in tutto il paese, non ho chiesto e non ho bisogno di un intervento federale“, ha dichiarato il sindaco Keith Wilson. La questione delle volontà degli amministratori locali non è di secondo piano.

Stando alla legge statunitense, il dispiegamento della Guardia Nazionale e in generale delle forze armate per motivi di ordine interno può avvenire solo su richiesta dei governatori dei singoli stati, e proprio per questo sono in corso verifiche legali sulla legittimità di precedenti decisioni dell’amministrazione federale.

Il presidente degli USA ha vari strumenti per impiegare direttamente l’esercito. Il dibattito intorno al suo uso verso cittadini statunintensi è però piuttosto complesso. Le forze armate possono essere mobilitate sul territorio nazionale sulla base dell’Insurrection Act del 1807, che è stato pensato per affrontare rivolte, insurrezioni, disordini che minacciano la sicurezza pubblica o impediscono l’applicazione delle leggi federali.

Il riferimento, nelle parole di Trump, all’utilizzo della “massima forza“, altra formula che rimane oscuro così significhi operativamente, fa pensare alle AUMF, risoluzioni del Congresso che permettono al presidente di usare l’esercito contro nemici esterni con “tutta la forza necessaria e appropriata“.

Nel 2011 sono state però usate anche per uccidere Anwar al-Awlaki, cittadino statunitense che era anche leader di al-Qaeda nella Penisola Arabica. Che lo stesso procedimento possa avvenire su territorio nazionale sarebbe una forzatura ulteriore della legge stelle-e-strisce, ma il fatto che per Trump l’esercito sta combattendo dei ‘terroristi’ non esclude questa possibilità.

Al di là dell’interpretazione in punta di legge, il riferimento a una Portland “devastata dalla guerra” condotta da “terroristi interni“, con tutti coloro che protestano contro le politiche del governo raccolti sotto la dicitura ‘Antifa’ e dichiarati ‘organizzazione terroristica’ da un ordine esecutivo firmato a inizio della scorsa settimana, palesa come gli Stati Uniti siano in una vera e propria guerra civile.

La militarizzazione delle città e la dimensione dello scontro interno, che passa lungo faglie di classe tanto quanto lungo faglie etniche, ha reso evidente il fallimento del modello sociale e politico statunitense, che con la crisi economica, egemonica e persino di proiezione verso l’esterno delle contraddizioni interne, vede ora conflagrare le contraddizioni accumulate in decenni di unipolarismo.

E non sono i comunisti il cui unico scopo è odiare Washignton, come direbbe qualche commentatore. È Trump stesso a dichiarare che nel suo paese c’è una guerra civile. Continuare a controllare gli spiragli di rottura definitiva di questo equilibrio precario deve rimanere una priorità per chiunque voglia costruire un’alternativa al baratro in cui le classi dominanti occidentali ci stanno gettando.

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