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L’Asean si prepara a “un futuro commerciale che non dipenderà dagli Stati Uniti”

La citazione che leggete nel titolo proviene dalla traduzione di un articolo uscito il 30 settembre su Foreign Policy, una delle riviste di politica internazionale più rinomate o, almeno, più seguite. Basata a Washington, è proprio dalla capitale statunitense che lanciano l’allarme su come un pezzo importante di mondo si sta preparando a indirizzare il proprio commercio globale oltre i dazi di Trump.

Pochi giorni fa si è concluso a Kuala Lumpur, in Malesia, il 57esimo incontro dei ministri dell’Economia dei paesi dell’Asean, l’associazione dei paesi del Sud-Est asiatico che collabora per lo sviluppo comune e che dal 1992 rappresenta anche tra le più importanti aree di libero scambio al mondo, entrata pienamente in funzione nel 2015.

Quest’area è cresciuta innestandosi nella ‘globalizzazione’, assumendo un modello produttivo export-oriented che ha permesso uno sviluppo economico significativo. Solo per dare un dato, nel 2022 il rapporto tra commercio e PIL dei paesi dell’Associazione si è attestato al 106,2%, superiore persino a quello dell’Unione Europea (103,6%).

Il problema è che, dopo la Cina, il principale mercato d’esportazione dell’Asean sono gli Stati Uniti, che acquistano circa un quinto dei beni venduti dall’area asiatica. I dazi che ha imposto ora la Casa Bianca rappresentano dunque un duro colpo per il modello economico dell’Associazione.

Un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) indica il Sud-Est asiatico come la zona più colpita dai dazi statunitensi: le esportazioni potrebbero subire un calo di quasi il 10%. Le ultime tariffe annunciate da The Donald, calcola sempre Foreign Policy, avranno un impatto intorno ai 25 miliardi di dollari.

Per questo, oltre alle dichiarazioni di circostanza, ad esempio quelle sulla “preoccupazione per la crescente tendenza del protezionismo e l’aumento delle misure commerciali unilaterali“, a Kuala Lumpur è emerso chiaramente che l’Asean sta concretamente preparando un sistema commerciale e finanziario che non dipenda più dai canali stelle-e-strisce.

Innanzitutto, il mese prossimo dovrebbe essere aggiornato l’accordo di libero scambio che l’Associazione alla Cina. L’Asean sta lavorando anche all’aggiornamento degli accordi commerciali stretti con l’India e al rafforzamento dei legami in materia con la Corea del Sud. Il blocco del Sud-Est asiatico starebbe verificando la possibilità di espandere i propri rapporto verso il Golfo Persico.

Entro la fine del 2026 è prevista anche la firma di un accordo commerciale col Canada. Infine, l’Asean sta pianificando di ampliare il Partenariato economico regionale globale (RCEP), il più grande accordo di libero scambio nel mondo. L’accordo unisce i 10 paesi dell’Asean, Cina, Giappone, Corea del Sud, Ausstralia e Nuova Zelanda. Anche Bangladesh, Sri Lanka e Cile potrebbero essere coinvolti.

Ma c’è anche qualcosa in più. A maggio i paesi ASEAN+3 (Cina, Giappone, Corea del Sud) hanno approvato il Chiang Mai Initiative Multilateralisation (CMIM) Rapid Financing Facility, un nuovo meccanismo per offrire rapidamente aiuto finanziario alle economie che affrontano difficoltà emergenziali sulla bilancia dei pagamenti.

La particolarità di questo strumento è che, a differenza del passato, il CMIM Rapid Financing Facility non utilizzerà il dollaro, ma lo yuan cinese e altre valute regionali. Un segnale importante rispetto alla formazione di aree valutarie autonome dal ‘biglietto verde’ USA, che spingono dunque sul processo di dedollarizzazione.

Se a tutto ciò si aggiungono le novità che vengono dalla Malesia, si può dire che, a conti fatti, sono le stesse misure di Trump contro il multipolarismo a far accelerare l’emersione di un mondo di alleanze e sistemi economici policentrico, o comunque non centrato sugli Stati Uniti. Il che non significa necessariamente maggiore emancipazione, ma sicuramente l’opportunità di potersela conquistare.

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