Era l’ultima possibilità per il “monaco soldato” – autodefinizione di un uomo senza altra qualità che la disponibilità al sacrificio per “il capo”, Macron – di evitare la fucilazione politica nell’Assemblea Nazionale.
Impossibile ottenere il solito appoggio seminascosto da parte dei fascisti di Le Pen, giù pronta la mozione di censura da parte de La France Insoumise, imboscati dietro le colonne gli “alleati” centristi pronti a votare il suo governo “tecnico” ma restii a figurare pubblicamente tra gli assassini dei pensionati, nel suo primo discorso in parlamento da “incaricato bis” Sébastien Lecornu ha dichiarato di voler congelare fino alle prossime elezioni presidenziali del 2027 una legge impopolare che innalza l’età minima pensionabile per la maggior parte dei lavoratori.
Con l’occhio alla parte “concertativa” del mondo sindacale ha così garantito che “non ci sarà nessun aumento dell’età pensionabile da ora fino al gennaio 2028, come ha ulteriormente chiesto ieri il sindacato CFDT“.
Era questa l’unica condizione posta dai sedicenti “socialisti” guidati da Olivier Faure – che hanno platealmente applaudito questo passaggio nel discorso – peraltro entrati in Parlamento solo grazie ad un’alleanza solo elettorale con Mélénchon e il Partito Comunista. La legge era stata approvata nel 2023 e porta progressivamente l’età minima della pensione a 64 anni, rispetto ai 62 precedenti.
Ma non l’ha messa affatto nell’armadio delle “riforme” impossibili. Giura di averla solo rinviata per superare l’ostacolo che ha davanti: trovare una maggioranza che approvi la legge di stabilità entro la fine dell’anno.
“Una sospensione deve essere un’opportunità. Dibattere la questione delle pensioni non è solo un’equazione finanziaria. È una parte essenziale del nostro contratto sociale. E anche questo contratto ha bisogno di una revisione“, ha chiosato promettendo di fatto che la si riproporrà se dovesse essere rieletto Macron alla presidenza della Republique. O qualcuno che ne raccolga il testimone neoliberista e antipopolare.
Lecornu ha insistito sul fatto che una tale sospensione deve essere accompagnata da adeguati risparmi per contenere la spesa pubblica fuori controllo e ridurre un deficit di bilancio che si prevede raggiungerà il 5,4% del prodotto interno lordo quest’anno. “Ma – dico qui in modo molto diretto – sospendere per sospendere non ha senso. La sospensione che non preveda nulla dopo sarebbe irresponsabile. Questa sospensione deve riportare la fiducia necessaria per costruire nuove soluzioni. La sospensione per fare meglio, questa è la soluzione“, “la sospensione sia un’opportunità“.
Di fatto, la pezza messa momentaneamente sulle verrà ritagliata con altri interventi mani-di-forbice sulla spesa sociale, sperando che l’impatto sulla popolazione si meno percepibile nell’immediato.
Il suo governo ieri mattina ha infatti proposto un bilancio mirato a portare il deficit sotto il 5% del PIL per il prossimo anno, che include 31 miliardi di euro di tagli alla spesa e aumenti delle tasse. Il rinvio sulle pensioni “dovrà essere compensato finanziariamente, anche con altre misure di taglio alla spesa“.
Nulla di diverso, insomma, da quel che in Italia abbiamo ascoltato da tutti i governi per quasi un trentennio (dal “governo Dini” del ’95 in poi). Solo che la Francia si ritrova ora a dover fare la stessa strada in tempi molto più stretti e con una resistenza sociale assai più robusta (anche perché buona parte della Cgt non somiglia affatto alla nostrana Cgil).
Nel discorso al Parlamento non sono ovviamente mancate le solite minacce abituali in questi casi: Se “le cose non andranno bene questa settimana, ci stiamo dirigendo verso una grave crisi istituzionale. Lo scioglimento diventerà inevitabile. Non sarò il primo ministro del dissesto dei conti pubblici“.
Del resto si è presentato in aula sapendo bene che la destra fascista e la sinistra radicale avevano già presentato due diverse mozioni di censura nei suoi confronti (in Francia il governo non ha bisogno chiedere il “voto di fiducia”, ma può essere costretto alle dimissioni se la maggioranza approva una mozione di censura).
E Macron aveva annunciato che “le mozioni di censura presentate sono mozioni di scioglimento e devono essere considerate come tali“. In altri termini, l’Asssemblea Nazionale verrebbe sciolte e si andrebbe ancora una volta ad elezioni anticipate, mentre le sue dimissioni da Presidente sono considerate “impossibili”.
Anche la Francia si ritrova in balia dei “mercati” dopo aver per un trentennio spinto per regole europee di “austerità” che pensava fossero riservate ai “paesi cicala” del Sud, come Italia e Grecia. La crisi economica e la prospettiva di raddoppiare la spesa militare ha alimentato alla fine i timori che la seconda economia dell’eurozona sia diventata così ingovernabile da non poter più pagare i propri conti.
C’è però anche da registrare la profonda differenza di trattamento riservata dai mercati stessi all’attuale governo francese. La rinuncia alla riforma delle pensioni è stata annunciata a mercati aperti. Se l’avesse fatto l’Italia ai tempi della “Fornero” il prezzo dei Btp sarebbe salito in un attimo al cielo, incrementando spaventosamente lo spread rispetto ai Bund tedeschi.
Nel caso francese, invece, gli Oat (l’equivalente dei Btp) hanno riguadagnato quota e ridotto lo spread, chiaramente per una valutazione che considerava più grave una aperta crisi di regime piuttosto che il rigore nei conti pubblici. Potenza del doppio standard del capitale finanziario multinazionale, alla faccia delle cosiddette “leggi dell’economia liberista”…
In ogni caso si tratta di una pesante sconfitta momentanea per Macron, il vero alfiere dei mercati e delle banche (lui viene del resto dal vertice di banca Rotschild) e di una vittoria per i movimenti che hanno dato battaglia a lungo.
E’ dichiarato però che torneranno all’assalto tra un anno e mezzo e che c’è comunque un prezzo da pagare subito (i dettagli arriveranno con la presentazione della legge di stabilità, nei prossimi giorni). Così come è chiaro che i “socialisti” passano armi e bagagli nel campo centrista e liberista, cosa che renderà impossibile – alle prossime legislative – la formazione di una nuova edizione del Fronte Popolare.
Dipenderà insomma ancora dalla capacità dei movimenti sindacali e sociali far sì che che la forza delle piazze pesi anche elettoralmente, rovesciando gli equilibri nel paese.
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