L’Alta rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione europea, Kaja Kallas, e la Commissaria europea per il Mediterraneo, Dubravka Šuica, il 16 ottobre hanno presentato il ‘Patto per il Mediterraneo’, risultato di un anno di lavoro. Un piano per una maggiore integrazione dell’altra sponda del Mediterraneo nei meccanismi europei, o per meglio dire del suo asservimento alle priorità strategiche di Bruxelles.
Infatti, in questo Patto per il Mediterraneo c’è l’evidente tentativo di modellare ulteriormente il Nord Africa e il Vicino Oriente come il ‘cortile di casa’ dell’imperialismo europeo. Non a caso, se per ora sono 10 i paesi che verrebbero coinvolti nel patto (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Siria e, paradossalmente, Palestina), lo sguardo è proiettato verso il ‘Mediterraneo allargato’.
È la stessa Šuica a dire che il contenuto del piano potrebbe “estendersi ai loro vicini, quali i Paesi del Golfo, la Mauritania e la Turchia, ma anche inserirsi nella cornice del corridoio India-Medio Oriente-Unione europea, su cui si sta lavorando“.
Stando a una fonte sentita da Euractiv, il Patto dovrebbe permettere ad alcuni paesi di “accedere allo Spazio Economico Europeo (SEE)“, ovvero al modello oggi applicato alla Svizzera, all’Islanda e alla Norvegia.
Che il Patto per il Mediterraneo serva per proiettare gli interessi europei nella competizione globale è perciò dichiarato. Anzi, che serva a rafforzare il ruolo della UE nella ridefinizione degli equilibri che vanno dal nostro mare all’Oceano Indiano lo dice, in un certo senso, sempre la Šuica. A suo avviso, infatti, questo programma non stravolge gli indirizzi decisi già nel 2021, con l’agenda per il Mediterraneo, ma ne rivede “la metodologia, partendo dalla situazione reale sul campo“.
Ovvero, dal fatto che in Siria non c’è più Assad, ma un terrorista dell’Isis che può essere considerato per lo meno “aperto al dialogo” con Bruxelles. E che l’attacco israeliano al Qatar, l’accordo militare tra Arabia Saudita e Pakistan, le tensioni di quest’ultimo con l’India, e soprattutto la fragile tregua imposta da Trump a Tel Aviv e che sta stretta ai sionisti più irriducibili hanno tratteggiato uno scenario in cui la UE è stata, fino a ora, un fantasma. Ma aprono anche nuove opportunità.
Nel testo della dichiarazione congiunta presentata giovedì si legge, proprio riguardo a Gaza, un estremo cinismo: “Sebbene la priorità immediata dell’UE sia garantire che a Gaza giunga un aiuto umanitario sufficiente, l’Unione contribuirà anche fornendo sostegno alla governance e alla riforma dell’Autorità Palestinese, finanziando la ricostruzione di Gaza“. Le macerie di Gaza diventano un’occasione per un intervento politico sulle organizzazioni politiche palestinesi e anche un’opportunità di profitto.
I settori su cui la UE vuole fondare questa sua sfera di influenza, questo “Spazio Comune Mediterraneo“, come l’ha definito anche Ursula von der Leyen, sono tre al momento: le persone; economie più forti, integrate e sostenibili; sicurezza, resilienza e gestione dei migranti. Se gli ultimi due temi sono abbastanza trasparenti, il primo è più criptico, ma si collega profondamente con economia e flussi migratori.
Il pilastro delle ‘persone’ riguarda, infatti, la creazione di una Università del Mediterraneo, che connetterà vari atenei e coinvolgerà gli stati della regione nei programmi Erasmus+ e Horizon Europe, e sosterrà anche la spinta all’innovazione, con lo scopo di unire atenei e privati nello sviluppo scientifico e nel trasferimento tecnologico.
In sostanza, lo spazio europeo dell’alta formazione, segnato da decenni di privatizzazione e competizione, oggi sempre più integrato con la filiera bellica, verrà collegato all’accademia di tutto il Mediterraneo. Ovviamente, tutto ciò non sarà fatto per garantire uno sviluppo equilibrato dei paesi della sponda sud, ma in prospettiva di servire le esigenze padronali.
Infatti, il primo pilastro punta anche a rafforzare le opportunità Technical and Vocational Education and Training (TVET), per “allineare la formazione professionale alle esigenze del mercato del lavoro per coprire settori di interesse reciproco, tra cui l’agricoltura e la trasformazione alimentare, il settore digitale e culturale e il turismo innovativo“. È evidente che il mercato del lavoro che hanno in mente a Bruxelles non è certo quello dell’Algeria.
Suona come una presa in giro la proposta di creazione di una sorta di Parlamento dei Giovani, mentre la loro voce viene continuamente stigmatizzata nelle piazze che, ad esempio, hanno attraversato tutta Europa negli ultimi mesi. E ci sarebbe anche altro da dire su questo primo pilastro, ma è utile semmai evidenziare il collegamento che ha con gli altri due.
La UE punta a sfruttare l’alta formazione dei paesi mediterranei per rafforzare i suoi caratteri di ‘economia della conoscenza’, digitale, ma mette in campo allo stesso tempo gli strumenti per tenere alla larga la massa di diseredati che fugge dalla rapacità delle multinazionali e dalle guerre fomentate dalle capitali europee.
È in questo che consiste, in sostanza, il terzo pilastro, che mira ad approfondire le politiche securitarie, l’esternalizzazione dei confini ad altri paesi, a milizie locali e a trafficanti di esseri umani. Oltre, ovviamente, a garantire una maggiore sicurezza della navigazione e dei cavi sottomarini, diventati terreno di conflitto.
Nei fatti, il Patto vuole militarizzare ulteriormente il Mediterraneo, dato che nelle sue iniziative sarebbe coinvolto anche lo European Peace Facility (EPF), che ricordiamo essere usato per sostenere l’Ucraina, e promuoverebbe anche un “ulteriore coordinamento e sinergie con le attività di rafforzamento delle capacità dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO)“.
Infine, il secondo pilastro riguarda l’integrazione economica, che si realizza con le tipiche formule imperialiste. Ad esempio, il secondo pilastro dovrebbe prevedere accordi per facilitare gli investimenti diretti esteri, e poi anche facilitare il commercio. Ovviamente, anche le opportunità strategiche offerte dalla transizione verde non vengono dimenticate.
Viene infatti ricordata l’importanza del Trans-Mediterranean Renewable Energy and Clean Tech Initiative (T-MED), per lo sviluppo delle capacità energetiche sostenibili. Che la UE guardi al Nord Africa per garantirsi ulteriori apporti di energia, mentre prosegue sulla sua strada della ricerca di una maggiore autonomia nel settore, è risaputo. Ancora una volta, però, l’utilità è tutta nell’essere meglio pronti ai prossimi scossoni della competizione globale.
Il Patto, per ora, è solo una dichiarazione di esponenti della Commissione UE. Dovrà essere sottoposto all’approvazione politica degli stati membri attraverso il Consiglio Europeo e anche degli altri partner alla fine di novembre, entro il trentesimo anniversario del processo di Barcellona, che ha rappresentato un passo importante della cooperazione mediterranea.
Entro il primo trimestre del 2026 sarà poi presentato anche un iniziale piano d’azione specifico, con il quale la dichiarazione congiunta di giovedì scorso verrà tradotta in azioni concrete. Esso sarà un documento in evoluzione al quale potranno essere aggiunte nuove iniziative nel corso del tempo. Si mantiere cioè flessibile nel capire, passo passo, come costruire nell’area euromediterranea una sfera di influenza europea.
Tempo fa si proponeva un’Alba euro-afromediterranea, per una prima rottura strategica con i vincoli europei e quelli della NATO che segnano il futuro di tutta la regione. Il fulcro della proposta è nella costruzione, con i paesi del Mediterraneo, di un rapporto che non sia di sfruttamento, ma bensì fondato su di un reciproco vantaggio, e che consenta di trovare la giusta ‘sponda’ (scusate il gioco di parole) per impostare un modello sociale e politico alternativo alla deriva bellicista dell’imperialismo.
Che le classi lavoratrici del Mediterraneo abbiano innanzitutto un nemico comune da combattere è la UE a renderlo sempre più chiaro. E allora anche quella proposta si presenta ancora come qualcosa di attuale. E, per lo meno, da tenere a mente se si pensa a una concreta lotta internazionalista contro il padronato europeo.
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