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Il PKK annuncia il ritiro definitivo delle proprie forze dalla Turchia

Il PKK ha compiuto un altro passo unilaterale, conseguente alla chiamata al disarmo effettuata da Ocalan e la successiva risoluzione di scioglimento del proprio congresso: dopo la cerimonia simbolica di distruzione delle armi dello scorso luglio1, il 26 ottobre le Forze di Difesa del Popolo (HPG) e l’Unità delle Donne Libere (YPA-Star), ovvero le ali militari maschile e femminile dell’organizzazione, hanno annunciato il ritiro delle loro forze dalla Turchia, verso le “Zone di Difesa di Medya”, ovvero le due aree montuose del Kurdistan iracheno dove si trovano gli altri miliziani.

Durante la cerimonia di ritiro, trasmessa da un luogo non specificato, è stata letta una dichiarazione in lingua turca da Sabri Ok ed in lingua curda da Serhat Vejîn Dersîm2, due dirigente dell’organizzazione.

Considerando le gravissime minacce al futuro della Turchia e dei Curdi poste dai conflitti e dalle guerre in Medio Oriente, e in seguito alle dichiarazioni del Presidente della Turchia, di Devlet Bahçeli, Presidente dell’MHP, e del Leader Abdullah Öcalan, in Turchia è stato avviato un nuovo processo. Questo processo ha acquisito una propria identità dopo l’Appello per la pace e una società democratica del Leader Abdullah Öcalan del 27 febbraio 2025. Il processo sta ora attraversando una fase molto critica e importante. Negli ultimi 8 mesi, noi, come parte curda, abbiamo compiuto passi storici nell’ambito dell’Appello per la pace e la società democratica”.

I due hanno poi ricordato la convocazione del Congresso di scioglimento del PKK e la successiva cerimonia di distruzione delle armi ed hanno ribadito che l’organizzazione è decisa a procedere, nonostante l’insufficiente risposta da parte dello stato turco: ”Nonostante tutti gli approcci negativi e insufficienti nei confronti dei nostri passi, il Leader Abdullah Öcalan e il Movimento per la Libertà del Kurdistan stanno ancora lavorando per adottare nuove misure concrete che spianerebbero la strada al passaggio del processo di Pace e Società Democratica, nella sua seconda fase. In tal modo, mirano a eliminare le crescenti minacce contro la Turchia e i Curdi e a gettare le basi per una vita libera, democratica e fraterna per i secoli a venire.

Di conseguenza, le risoluzioni del XII Congresso del PKK avevano previsto e pianificato il ritiro, nelle Zone di Difesa di Medya, di quelle unità di guerriglia la cui presenza all’interno dei confini turchi avrebbe potuto aumentare il rischio di scontri e possibili provocazioni.

Stiamo ora mettendo in pratica queste risoluzioni, approvate anche dal Leader Abdullah Öcalan. Una parte di quei gruppi di guerriglia che hanno raggiunto le Zone di Difesa di Medya sono ora presenti qui e stanno prendendo parte personalmente a questa dichiarazione.

Analoghe misure regolamentari vengono adottate anche per quelle posizioni lungo il confine che potrebbero comportare il rischio di scontri e possibili provocazioni… È chiaro che siamo impegnati a rispettare le risoluzioni del XII Congresso e decisi a metterle in atto.

Tuttavia, affinché queste risoluzioni possano essere attuate, è necessario adottare determinati approcci giuridici e politici, in linea con le risoluzioni del XII Congresso del PKK e come necessità del processo. In questo contesto, è necessario elaborare una Legge Transitoria, unica nel suo genere, per il PKK; inoltre, è necessario promulgare senza indugio le leggi necessarie per la libertà e l’integrazione democratica che consentano la partecipazione alla politica democratica”.

Si tratta di un passo per lo più simbolico, di scarso peso negoziale, visto che gran parte delle forze del PKK presenti nei confini turchi sono state eliminate durante il conflitto urbano del 2015-2016 e l’operatività di quelle residue è molto molto limitata. Costituisce, comunque, l’ennesima dimostrazione di buona volontà.

Cvdet Yilmaz, vicepresidente del principale partito di governo, ovvero il Partito Della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), ha pubblicato su X un messaggio di celebrazione dell’evento3: “Oggi è stata raggiunta un’altra importante pietra miliare nell’obiettivo di una Turchia libera dal terrorismo, che ha acquisito slancio con lo storico appello del presidente dell’MHP Devlet Bahçeli nel quadro della Visione per il Secolo Turco del nostro presidente Recep Tayyip Erdoğan. La decisione di allontanare dal nostro Paese e dai suoi confini gli elementi armati dell’organizzazione terroristica, che ha deciso di sciogliersi in risposta all’appello del suo fondatore, è un passo importante nella giusta direzione…

La Commissione nazionale per la solidarietà, la fratellanza e la democrazia, che continua il suo lavoro con ampia partecipazione e buon senso… determinerà il quadro normativo che potrebbe essere necessario nel processo di liquidazione dell’organizzazione terroristica”.

In realtà al momento, lo Stato turco non ha effettuato nessun passo: non è stata promulgata nessuna legge a tutela dei dei guerriglieri che posano le armi, non sono state modificate le condizione di detenzione di Ocalan, né è stato elevato lo status della lingua e della cultura curde. La commissione parlamentare istituita appositamente continua a riunirsi, senza produrre deliberati concreti.

Ciò che è più grave, vengono eluse anche le leggi attualmente vigenti che potrebbero dar luogo a passi importanti nel processo di pace.

Ad esempio, non è stata rispettata la sentenza, costituzionalmente vincolante, della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha decretato la scarcerazione del leader curdo Selahattin Demirtaş e di tutti i condannati del cosiddetto “Processo Kobane”, perché basato su presupposti prettamente politici e giuridicamente inconsistenti: le condanne si basano per lo più su una serie di tweet, attraverso i quali gli imputati invitavano alla mobilitazione generale pacifica a seguito del diniego, da parte del governo, di soccorrere le truppe curdo-siriane allora assediate dall’Isis (si diceva infatti, che dietro le quinte, il governo appoggiasse quest’ultimo).

Ebbene, lo scorso 7 Ottobre, il Ministero della Giustizia ha fatto ricorso durante le ultimissime ore utili (l’8 ottobre sarebbero scaduti i termini) contro l’ennesimo pronunciamento di scarcerazione da parte della CEDU, provocando rabbia, frustrazione e dubbi, all’interno del movimento curdo, sulle reali intenzioni dello stato.

Pare, infatti, evidente che le forze governative stiano traccheggiando e cercando si strumentalizzare politicamente il processo di pace, allo scopo di attirare nella propria alleanza il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), che sta facendo da mediatore con Ocalan e con il PKK. Il tutto in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2028, in cui la presenza di Demirtas, con il suo carico di consensi, potrebbe essere molto ingombrante.

A minare ulteriormente la fiducia circa le reali intenzioni pacificatrici del governo vi è la persistente pressione giudiziatria esercitata sul principale partito doi opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), in testa in tutti i sondaggi. Nei giorni scorsi un ennesimo procedimento, stavolta per spionaggio4, è stato intrapreso contro il candidato alle prossime presidenziali elletto alle primarie del partito, ovvero il sindaco di istanbul Ekrem İmamoğlu, già in carcere dallo scorso marzo nell’ambito di altri processi.

La manovra governativa sembra chiara: cercare di evitare la sconfitta alle prossime presidenziali distruggendo il CHP ed allargando l’allenza al DEM, in cambio di qualche piccola modifiche costituzionale. All’interno della quale, magari, inserire anche l’allungamento del numero dei mandati presidenziali per permettere la rielezione Erdogan, nel caso in cui le lotte interne all’AKP non dovessero risolversi con la nomina di un successore credibile.

Il 30 ottobre ci sarà il prossimo incontro fra il Presidente Erdogan e la delegazione del partito DEM che sta incontrando regolarmente anche Ocalan nel carcere di Imrali. Qualche sviluppo, anche minimo, è atteso, visti i passi moddi dal PKK.

Al di là delle questioni nazionali, però, è la questione siriana, legata alla presenza dell’Amminstrazione Autonome del nord-est a guida curda, il maggiore ostacolo in questo processo di pace.

L’avventuristica rimozione del regime baathista a favore dei qaedisti di Hayat-Tahrir al-Sham (HTS), rivendicata dalla Turchia, non sta pagando come nei progetti di Ankara.

Anzi, le pratiche settarie delle nuove autorità di Damasco, nonché il loro scarso controllo del territorio, stanno determinando un rafforzamento dell’area a guida curda, sempre appoggiata e sostenuta dalla presenza militare miliatre USA e ben vista anche da Israele, nell’ambito suoi piani di tenere frazionata la Siria ed espandervi la propria influenza nel sud.

Come noto, la Turchia reclama che la chiamata al disarmo di Ocalan e del Congresso del PKK sia estesa anche alle milizie curdo-siriane Ypg/Ypj, considerate affiliate con il PKK stesso, ma attualmente non ha la forza di imporre nulla del genere. Trattative per l’integrazione delle Ypg/Ypg nell’esercito di HTS e di tutta l’area curda all’interno della struttura statale centrale sono effettivamente in piedi, ma, come vi stiamo raccontando5, non procedono nel verso auspicato da Ankara.

Certamente Erdogan si aspetta che il suo attivismo nell’appoggiare il cosiddetto “piano di pace” di Trump a Gaza, porti qualche risultato anche sul fronte siriano. Ovvero che gli USA ritirino il loro appoggio alle Ypg.

Tuttavia, più volte in passato, anche durante la prima Amministrazione Trump, le strutture militari presenti nel nord-est della Siria ed il Pentagono hanno più volte ostacolati i progetti di ritiro del Presidente.

Se vuole superare questi ostacoli, la Turchia dovrà come minimo impegnarsi nell’implementazione dei piani coloniali del tycoon a Gaza, ovvero utilizzare la propria influenza su Hamas per concorrere al disarmo della Resistenza Palestinese ed accoglierne alcuni militanti e dirigenti, di cui verrebbe decretato l’esilio.

Hamas disarmato o sottomesso all’amministrazione coloniale di Gaza, in cambio delle Ypg disarmate o sottomesse ad HTS in Siria: questo è un piano plausibilmente oggetto di colloqui fra Ankara e Washington.

Erdogan ha la forza e/o la volontà di sostenere una cosa del genere e “venderla” alla propria opinione pubblica come conquiste verso la pacificazione generale fra Turchi, Curdi ed Arabi, di cui tanto parla nei suoi discorsi pubblici? I dubbi e gli ostacoli e merito rendono quasi inverosimile una rispotta positiva a questa domanda.

1https://www.youtube.com/watch?v=EUbZ7uqcF-s

2https://anfenglishmobile.com/features/leadership-of-the-kurdistan-freedom-movement-we-withdraw-our-guerrilla-units-from-turkey-81911

3https://x.com/_cevdetyilmaz/status/1982488135389921440

4https://www.rsi.ch/info/mondo/Turchia-il-Governo-prende-il-controllo-dell%E2%80%99emittente-dell%E2%80%99opposizione–3228741.html

5https://contropiano.org/news/internazionale-news/2025/10/20/bistrattato-dagli-alleati-al-golani-va-in-russia-0187860

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