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I rischi dell’aggressione Usa contro il Venezuela

Una aggressione statunitense contro il Venezuela potrebbe non essere una passeggiata o una facile guerra asimmetrica come quelle del passato. Cominciano ad essere numerosi i fattori che possono portare l’amministrazione Trump, ed in particolare i suoi “falchi”, a rivedere le proprie aspettative.

Nelle prime ore di venerdì 31 ottobre, mentre l’Air Force One di Trump tornava dal vertice di Busan, il Wall Street Journal e il Miami Herald pubblicavano contemporaneamente degli articoli su presunti piani degli Stati Uniti per attaccare le installazioni militari in Venezuela.

La sincronizzazione della diffusione della informazione “pesante” ha risposto al classico schema delle fughe di notizie coordinate, in cui più media pubblicano la stessa storia per dare l’impressione di una verifica incrociata. Una operazione da manuale della guerra psicologica.

Il problema è che nessuno ha citato fonti identificabili ma solo fonti anonime. L’unico riferimento concreto è stato un incontro avvenuto un giorno prima al Congresso, con solo i congressisti repubblicani. Nessun documento, nessuna dichiarazione ufficiale, nessuna conferma da parte del Pentagono. Solo le onnipresenti “fonti che hanno familiarità con la questione“.

A bordo dell’aereo presidenziale, il corrispondente dell’Associated Press ha chiesto a Trump degli articoli del Wall Street Journal e del Miami Herald chiedendo conferma di quanto riportavano i due giornali. La risposta di Trump è stata diretta: “No. Non ci sono piani per attacchi di terra contro il Venezuela“.

Certo escludere attacchi a terra, ma non raid aerei o missilistici, può somigliare molto ad una mezza verità o a una mezza bugia. Ma se il comandante in capo dice che non esiste un piano del genere, cosa avevano pubblicato esattamente questi giornali? Fughe di notizie dai falchi repubblicani? Speculazioni vendute come fatto compiuto?

La risposta potrebbe essere in quello che alcuni settori politici e mediatici statunitensi volevano che fosse pubblicato come realtà e non come congettura. Stavano fabbricando il consenso per un intervento militare che lo stesso presidente aveva appena escluso, per ora. Infatti nelle ultime ore, in una intervista alla Cbs, Trump ha affermato che “Maduro potrebbe avere i giorni contati“.

Non promettono bene infatti né il rafforzamento della flotta navale nel Mar dei Caraibi con l’arrivo della portaerei Ford né le esercitazioni di sbarco statunitensi a Puerto Rico (vedi la foto di copertina). Non solo. Proseguono anche gli attacchi killer contro imbarcazioni accusate, ma senza fornire alcuna prova, di essere di narcotrafficanti.

Altri tre marittimi risultano essere stati uccisi nelle scorse ore in un raid Usa in acque internazionali. Sono salite a 65 le persone uccise dai raid statunitensi nelle ultime settimane. Il dipartimento li tratterà esattamente come trattiamo Al Qaeda”, ha scritto sui social il segretario alla Guerra statunitense, Pete Hegseth, confermando una predisposizione alla prepotenza che da tempo gran parte del mondo non sembra più voler sopportare.

Le autorità venezuelane hanno poi messo in guardia da operazioni false flag come quella verso un’unità della US Navy, il “Gravely”, che doveva essere colpita da un’esplosione durante uno scalo a Trinidad e Tobago, un attentato da addossare al Venezuela così da giustificare una rappresaglia statunitense.

Quello di cui gli Stati Uniti non sembravano aver tenuto conto, sia dal punto di vista mediatico che politico, sono le alleanze internazionali costruite dal Venezuela negli anni scorsi.

In particolare ha suscitato attenzione il rapporto con la Russia, la quale potrebbe essere piuttosto “intrigata” dalla creazione di uno “scenario ucraino” nell’area di influenza statunitense. Cosa direbbero a Washington se un paese vicino agli USA venisse armato e sostenuto fino a diventare un “porcospino d’acciaio” come si vorrebbe fare dell’Ucraina al confine con la Russia?

Negli ultimi giorni è emerso che il presidente venezuelano Nicolás Maduro avrebbe indirizzato formali lettere di richiesta di sostegno militare verso la Russia, la Cina e l’Iran, chiedendo radar, droni, sistemi missilistici e assistenza tecnica in un contesto di “aggressione statunitense”.

Da Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato che “stiamo monitorando attentamente la situazione in Venezuela” e che la Russia “è interessata a garantire che la situazione tra Venezuela e Stati Uniti resti pacifica”. Una prevedibile posizione pubblica cauta che sembra però coesistere con la concreta presenza di aerei da trasporto russi diretti a Caracas e accordi strategici bilaterali già in atto.

Tra l’altro l’accordo tra Venezuela e Russia non è roba di queste settimane. I due Paesi avevano già firmato mercoledì 7 maggio a Mosca un “trattato di partenariato strategico” per rafforzare le relazioni bilaterali, un trattato che avrà validità per i prossimi dieci anni.

L’accordo eleva la cooperazione tra Russia e Venezuela ai massimi livelli, in un momento in cui entrambe le nazioni stanno affrontando pesanti sanzioni occidentali e lavorano per costruire alternative ai sistemi di pagamento e transazioni dominati da Usa e Ue.

Il documento firmato stabilisce anche una posizione comune sulle sanzioni internazionali, in quanto entrambi i paesi rifiutano le misure coercitive unilaterali che considerano contrarie al diritto internazionale e si impegnano a non imporre restrizioni economiche o politiche l’uno all’altro.

Alla firma dell’accordo, i leader di Russia e Venezuela hanno affermato cdi voler approfondire la partnership strategica tra le due nazioni con lo sviluppo congiunto nel campo della sicurezza e della difesa, nonché la cooperazione tecnico-militare, rafforzando i legami strategici tra le forze armate e le industrie militari dei due paesi.

Dal 2001 al 2024, Caracas e Mosca hanno firmato quasi 400 accordi bilaterali, compresi gli accordi di cooperazione militare. A novembre 2024, se ne contavano circa 30.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov a maggio aveva descritto l’accordo strategico come un “documento-quadro pesante, sostanziale e molto importante“.

Sebbene non siano trapelati ulteriori dettagli del documento firmato, è probabile che sia stato concordato il rinnovo dei programmi di manutenzione dei sistemi missilistici e dei radar di difesa aerea, dei veicoli corazzati, dei veicoli tattici, della sorveglianza elettronica, degli elicotteri e dei jet da combattimento, ed eventualmente, e in vista della possibilità di una prossima fine della Guerra in Ucraina, la ripresa della vendita di sistemi d’arma per le Forze Armate Nazionali Bolivariane, le quali hanno dovuto guardare all’Iran per trovare un’alternativa per continuare ad equipaggiare le proprie unità di combattimento.

E’ evidente come nella nuova geografia politica ed economica internazionale l’amministrazione Trump torni a guardare al proprio “cortile di casa” in America Latina come periferia interna sulla quale ristabilire l’egemonia persa negli ultimi venticinque anni, ma l’aria nelle relazioni internazionali è cambiata e una operazione militare contro il Venezuela potrebbe non essere semplice come vorrebbero i “volenterosi” guerrafondai occidentali, a Washington come in Europa.

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1 Commento


  • Massimo

    Mi auguro che nulla possa accadere, forse sono solo delle minacce da parte di un individuo ormai fuori controllo. Ma in caso di conflitto, la Russia stavolta non deve tirarsi indietro come in Siria ma fornire ogni supporto a Maduro. Siamo tutti consapevoli che il Venezuela deve resistere, altrimenti sarebbe un altro pezzo di muro che crolla sotto i colpi degli imperialisti.

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