Riproduciamo un interessante articolo di Alberto Negri sul nuovo scenario in Turchia pubblicato oggi sul Sole 24 Ore
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La destabilizzazione della Turchia obbliga Erdogan al doppio gioco tra Est e Ovest. Dopo aver sostenuto per 5 anni i jihadisti in funzione anti-Assad il presidente turco ha dovuto prima correre a fare la pace con Putin. Poi, di fronte alla sconfitta nella guerra siriana, con una recente dichiarazione del premier Binali Yildirim si è dichiarato disponibile ad accettare che l’autocrate di Damasco resti al potere per un periodo “transitorio”.
La posta in gioco per Erdogan è che non si realizzi in Siria un’entità curda che possa costituire un magnete per l’irredentismo del Kurdistan turco. Un’eventualità del genere sarebbe un colpo mortale per un presidente che si proponeva di estendere l’influenza neo-ottomana a tutto il Medio Oriente. La Russia può dare qualche garanzia e ha rinunciato, per il momento, a reclamare la presenza di curdi ai negoziati Onu sulla Siria. Anche Assad, davanti alla “buona volontà” di Erdogan, non si è tirato indietro facendo decollare i caccia a bombardare, per la prima volta dopo molto tempo, le postazioni curde.
Cosa dovrebbe fare Erdogan in cambio? Quello che Putin ha chiesto agli Stati Uniti nei negoziati per spartire le zone di influenza in Siria: far fuori i jihadisti, dall’Isis ad al-Nusra, e se possibile gran parte dell’opposizione sostenuta da Ankara e dai sauditi. La Russia e l’Iran vogliono che la Siria resti tutta intera con l’asse Nord-Sud, Aleppo-Damasco, sotto il controllo del regime alauita a protezione delle basi Mosca.
Questo è il prezzo di una tregua e del tentativo di terminare il massacro in Siria: contenere i curdi ed eliminare un fronte islamista con un’ideologia simile a quella dell’Isis perché al-Nusra, come il Califfato, nasce da una costola di al-Qaeda. Peccato che i curdi siano una delle forze trainanti della lotta all’Isis e vengano sostenuti dall’aviazione americana mentre gli Stati Uniti hanno ispirato ai sauditi e ai turchi la mossa di al-Nusra di staccarsi da al-Qaeda per riciclare questi miliziani come jihadisti “buoni”, da utilizzare in chiave anti-iraniana e anti-russa. Chi è più spregiudicato tra Putin e gli occidentali?
Ma anche gli americani hanno il loro rompicapo: Obama esce sempre peggio dal Medio Oriente, dove ha assistito all’ascesa del Califfato con il piano non troppo nascosto di ricompensare il fronte sunnita uscito sconfitto dalla caduta di Saddam nel 2003. Non solo: dopo i problemi post-golpe con la Turchia – oscillante partner Nato dove sta per arrivare il segretario di stato John Kerry – deve salvare la faccia dei sauditi impantanati in Yemen contro gli Houthi sciiti: qui l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alleato dei ribelli e un tempo membro di una coalizione a guida Usa contro al-Qaeda, si è dichiarato disponibile a fornire basi a Mosca «per la lotta al terrorismo».
Si è aperto un suq a chi offre di più e di meglio: Erdogan fa il pendolo tra Est e Ovest, così come la maggior parte dei leader della regione che lottano per sopravvivere. Un giorno sostiene al-Nusra, un altro promette a Putin di neutralizzare i jihadisti, un altro ancora chiede agli Usa di cacciare i curdi da Manbij, dove hanno espugnato una roccaforte jihadista. Sono i risultati contradditori e ambigui di una politica estera che, fallito il tentativo di abbattere Assad, presenta un conto salato in termini di sicurezza interna. I jihadisti dell’Isis erano stati corteggiati da Erdogan, l’unico ad avere negoziato direttamente con loro il rilascio dei diplomatici turchi sequestrati nel 2014 a Mosul. Lo Stato Islamico ha goduto per molto tempo della connivenza della Turchia: traffico di petrolio e di armi. In cambio i jihadisti hanno ripagato Erdogan attaccando i curdi a Kobane e mandando i kamikaze a farli fuori nelle piazze turche come avvenuto a Suruc e Ankara nel 2015. Sono stati manovrati per fare la guerra ai curdi, l’incubo di ogni stratega turco. I jihadisti ora si vendicano ma continuano a colpire i curdi come è avvenuto con il massacro alle nozze di Gaziantep e il tentativo di inviare un altro attentatore – adolescente – a Kirkuk, nel Kurdistan iracheno.
In questa geopolitica del caos i leader europei ieri sulla Garibaldi galleggiavano al largo di Ventotene, attenti a non irritare troppo i protagonisti di una destabilizzazione alle porte di casa nostra che sono anche clienti politici e partner in affari: amici o nemici a seconda di alleanze sempre più labili e mutevoli.
* Sole 24 ore del 23 agosto
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