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USA, l’Operazione “Southern Spear” infiamma i Caraibi. Caracas in allerta massima

L’esercito venezuelano è in stato di massima allerta. Martedì, il presidente Nicolas Maduro ha ordinato la “piena operatività” di tutti i reparti delle forze armate, dalla Milicia Nacional Bolivariana all’esercito regolare. Non si tratta di un’esercitazione, ma della risposta diretta a quello che Caracas, e non solo, percepisce come un’aperta provocazione.

La causa è stata un annuncio diramato il 13 novembre da Washington: il Segretario alla Guerra statunitense, Pete Hegseth, ha confermato via X il lancio della Operation Southern Spear. L’iniziativa, guidata dalla Joint Task Force Southern Spear e dallo United States Southern Command (SOUTHCOM), è ufficialmente un tassello ulteriore della “guerra alla droga” che, da decenni, rappresenta una copertura – tra l’altro totalmente inefficace rispetto agli obiettivi che dichiara – di repressione interna e destabilizzazione estera.

Questa “guerra” è tornata tra i temi centrali della politica statunitense col presidente Donald Trump. La campagna di bombardamento di navi, dalla sua amministrazione indicate come vettori del “narcotraffico internazionale” – ovviamente senza portare alcuna prova – ha sollevato molti dubbi e condanne, anche dall’Alto commissario ONU per i diritti umani, Volker Turk, che ha denunciato “vere e proprie esecuzioni extragiudiziali“.

Il breve post su X di Hegseth aumenta il livello di allerta, perché la retorica è quella che siamo purtroppo abituati a sentire da tempo: l’America Latina come “cortile di casa” dell’imperialismo statunitense. Il politico stelle-e-strisce parla infatti di una missione indirizzata a liberare dai narcotrafficanti l’intero Emisfero Occidentale, indicato come “il vicinato dell’America” di cui Washington si auto-intesta la difesa.

Secondo quanto riportato dalla CNN, un’operazione Southern Spear era già stata menzionata a gennaio, con un focus sull’impiego di navi e droni robotizzati. Ma ora che anche la portaerei più grande del mondo, la USS Gerald Ford, è arrivata nei Caraibi, e gli USA annunciano la riapertura della base di Roosvelt Roads, a Porto Rico, le minacce di escalation si fanno ancora più concrete.

Sull’Air Force One, Trump ha detto ai giornalisti di aver più o meno preso una decisione sul Venezuela, anche se non può rivelare quale sia. L’emittente statunitense CBS ha raccontato che Hegseth e il capo di Stato Maggiore Dan Caine hanno già discusso col tycoon sulle opzioni possibili nei confronti del paese sudamericano, e che tra di esse non è stata scartata l’invasione terrestre.

Intanto, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha affermato in un discorso trasmesso dalla televisione di stato: “vogliamo un’altra Gaza ora in Sud America? Cosa dice il popolo americano? (…) Lasciatemelo dire, no. La pace trionferà“. Il politico venezuelano si è rivolto anche ai cittadini statunitensi, chiedendo loro di fermare la mano armata di Trump.

Caracas non è la sola protagonista di questa storia. Anche la Colombia di Gustavo Petro è sotto la minaccia USA. Il presidente di Bogotà ha detto di voler cancellare gli accordi che il suo paese ha con la NATO, pochi giorni fa ha ordinato di fermare la condivisione di dati di intelligence con gli Stati Uniti, mantenendo comunque la collaborazione con le agenzie internazionali che combattono il traffico di droga.

C’è poi anche la Russia, che ha da poco stretto un partenariato strategico col Venezuela. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato: “la Russia ha dimostrato una solidarietà incrollabile nei confronti del Venezuela e siamo pronti a rispondere in modo appropriato alle richieste di Caracas“.

Il pericolo è che nei Caraibi si apra un altro fronte di questa “guerra mondiale a pezzi” che un po’ ovunque l’Occidente e i suoi alleati stanno alimentando per cercare una risposta alla propria crisi di egemonia.

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1 Commento


  • antonio D.

    …il classico “colpo di coda” della belva morente!

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