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La “Marcia per la pace” a Parigi apre nuovi scenari

La Marcia per la pace a Parigi di questo martedì 11 novembre è stato un appuntamento inedito rispetto agli ultimi tre anni di mobilitazioni per la Palestina e contro la guerra. Una piattaforma politicamente netta – che condanna la NATO, il riarmo europeo, l’invio di armi in Ucraina e il genocidio in Palestina – è riuscita a radunare 70 organizzazioni firmatarie, tra cui numerosissime organizzazioni di carattere antimperialista, panafricane e diasporiche, sindacati e giovanili comuniste.

L’appello unitario è stato lanciato da Union pour la Recontruction Communiste, organizzazione comunista strutturata a livello nazionale, nata nell’autunno scorso dalla fusione dell’Association Nationale des Communistes (ANC) e Rassemblement Communiste (RC), insieme alla Jeunesse Communiste – nata questa estate dalla scissione interna alla giovanile del Partito Comunista Francese – la Ligue de la Jeunesse Révolutionnaire  (LJR), la Fédération Syndicale Étudiante (FSE), l’Union Prolétarienne Marxiste-Léniniste (UPML) e il Comité de Soutien à la Révolution aux Philippines (CSRP).

Queste organizzazioni, che rivendicano l’appartenenza a diverse “scuole” del comunismo marxista-leninista, sono state tra gli animatori negli ultimi anni del movimento per la Palestina e della campagna per la liberazione di George Abdallah, articolando una critica complessiva dell’imperialismo occidentale, e in particolare quello francese, e delle guerre e genocidi che esporta dalla Palestina, al Congo, al Sudan, al Sahel, al Venezuela.

Negli scorsi mesi, L’URC aveva lanciato una petizione contro le guerre imperialiste in Palestina, Congo e Ucraina, raccogliendo migliaia di firme, che avrebbero dovuto essere portate al Ministero delle Armées in occasione della marcia di mercoledì, prima che la prefettura negasse al corteo iniziato a Port Royal di dirigersi verso il ministero.

Mille persone sono scese in piazza, distribuite in diversi spezzoni: in testa il “bloc rouge” composto da URC e Jeunesse Communiste, dietro il Front uni de l’immigration et des quartiers populaires (FUIQP), animato dal megafono di Saïd Bouamama, poi i diversi striscioni delle realtà panafricane e di originari di ex-colonie o colonie francesi, e infine i giovani della LJR e dell’FSE.

Presenti anche alcuni esponenti del collettivo Parole d’Honneur, che anima in Francia un dibattito originale sulle questioni dei quartieri e dell’immigrazione post-coloniale, intervenendo a fine manifestazione in Place d’Italie con una condanna ferma ad ogni tipo di operazione di riarmo e invio di armi della Francia sui fronti di guerra.

Tuttavia, non sono certo i numeri ad aver determinato la qualità politica della giornata: almeno tre elementi di riflessione emergono da un’analisi della giornata dell’11 novembre, che sembra ambire ad innestare una dinamica inedita nel paese.

Innanzitutto, l’emergenza di nuove soggettività comuniste indipendenti rispetto al PCF, in una fase di convergenza e di unificazione politica e talvolta anche organizzativa, come avvenuto per l’URC.

La fuoriuscita questa estate di alcune sezioni locali del Mouvement des Jeunes Communistes de France (MJCF), che hanno formato la Jeunesse Communiste, è un altro indice importante dello spazio esistente per una proposta di alternativa a tutti quei comunisti che da tempo non si sentono più rappresentati da un partito che ormai da tempo è incapace di portare avanti una linea radicale e progressista, avendo negli ultimi anni solamente rafforzato il proprio carattere “sciovinista” ereditato dal PCF storico, che già dagli anni ‘30 del Novecento metteva davanti gli interessi della classe operaia nazionale davanti a quelli dei popoli oppressi dall’imperialismo francese.

In secondo luogo, emerge il lavoro di sinergia tra queste organizzazioni e le realtà antimperialiste della diaspora africana, vero corpo vibrante del corteo di martedì. La volontà comune è quella di costruire un piano di mobilitazione antimperialista complessivo, che metta al centro la questione della guerra, come elemento cardine non solo per leggere il presente che viviamo, ma anche su cui dare battaglia, a maggior ragione in Francia, cuore dell’imperialismo europeo.

La conferenza su Bandung organizzata dall’URC in aprile, e poi le due giornate delle Universités Panafricaines organizzate dalla Ligue Panafricaine Umoja lo scorso weekend (8-9 novembre), forniscono la spessa cornice ideologica in cui inquadrare le questioni portate in piazza l’11.

La figura di spicco di Saïd  Bouamama, fondatore del Front uni de l’immigration et des quartiers populaires (FUIQP), militante dell’URC e autore di numerose opere – che tra i riferimenti teorici odierni sull’antimperialismo più autorevoli per il mondo della sinistra in Francia – rappresenta la sintesi riuscita tra mentalità antimperialista, prospettiva di organizzazione e orizzonte rivoluzionario.

La terza questione riguarda il legame tra budget/spesa sociale e spesa bellica. Di fronte al rapido tramonto del movimento Bloquons tout, è legittimo e necessario interrogare i limiti della mobilitazione.

L’annuncio di Macron del piano di riarmo che alzava al 5% del PIL la spesa militare è arrivato nella scorsa primavera, scuotendo le coscienze della popolazione francese, nello stesso periodo in cui si discuteva del riconoscimento dello stato di Palestina, di fronte alla crescente sensibilizzazione sulla questione.

Nonostante ciò, il movimento Bloquons tout – dai sindacati alle forze politiche e quelle di movimento –, lanciato con l’annuncio del budget di Bayrou a luglio, ha lasciato in secondo piano (per dirla in termini eufemistici) la questione della guerra imperialista, volendo puntare alla pancia dei francesi, senza complicare troppo la faccenda.

Da questo punto di vista, l’Italia – a partire dallo sciopero del 22, quattro giorni dopo l’ultima grande piazza lanciata in Francia dall’intersindacale il 18 ottobre – ha mostrato a livello internazionale un’idea di sciopero diversa, politica e internazionalista, in cui lavoratori e le lavoratrici non rivendicano solo i propri diritti, ma tornano attori politici.

In questo senso, l’emersione di un’“area politica” – se così possiamo chiamarla, forzando una categoria più italiana che francese– con obiettivi chiari, che dialoghi con giovani, sindacati e con realtà antimperialiste, si rivela ancora più determinante e strategica nella costruzione di un movimento per la pace e contro la guerra a livello internazionale.

La piazza dell’11 ha messo al centro la dicotomia austerità/guerra, rilanciando l’esigenza della costruzione di un largo “fronte popolare e anti-guerra” dai caratteri internazionalisti che unisca i lavoratori e le lavoratrici, le numerose comunità diasporiche che vivono nel paese e i giovani:

«Gli Stati Uniti, la NATO, ma anche l’Unione Europea hanno approvato l’obiettivo di aumentare i budget per la “difesa” [cioè per la guerra] fino al 5% del PIL, contro una media del 2% oggi. Concretamente, per la Francia ciò significa passare da un budget che nel 2025 è di 50 miliardi di euro l’anno a circa 150 miliardi l’anno nel lungo termine!

(…) Macron ha già deciso di portare il budget a 64 miliardi entro il 2027 e ha lanciato un appello all’“impegno” dei giovani (un arruolamento camuffato sotto il SNU) nel contesto di una militarizzazione generale della società. Con Bayrou, hanno deciso di toglierci 2 giorni festivi, tra cui l’8 maggio, provocazione suprema poiché è la data anniversario della vittoria contro il fascismo!

Non vogliamo pagare per le loro guerre! Non vogliamo che i giovani vadano a combattere e morire per l’imperialismo!

Difendere i popoli, il loro diritto alla pace, al progresso sociale, alla loro autodeterminazione, significa dire No a Macron, no all’UE e alla NATO, fautori di guerra e austerità! Per l’uscita immediata dalla NATO!

Spetta ai lavoratori e ai giovani organizzarsi e mobilitarsi. Come proclama l’Internazionale, questo splendido canto dei lavoratori di tutto il mondo: «Pace tra noi, guerra ai tiranni!» (tradotto dall’appello per l’11 novembre)

La sfida lanciata dalle organizzazioni promotrici dell’appello è di certo ambiziosa, e il lavoro da fare ancora lungo, ma, dopo la marcia di questo martedì, la strada sembra tracciata: verso un allargamento delle alleanze di classe e antimperialiste, per una mobilitazione contro guerra, NATO e Unione Europea.

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