La notizia-bomba è che la junta ucraina ha accettato il “piano Trump” per contrattare la pace con la Russia. C’è solo un piccolo problema: nessuno – tranne ovviamente i protagonisti diretti – sa cosa c’è scritto.
L’unico dettaglio certo riguarda il numero di punti da cui sarebbe composto: 19 invece dei 28 originali. Ma non serve un principe della diplomazia per sapere che il diavolo si nasconde nei dettagli, i quali – per porre fine a una guerra e garantire credibilmente una pace di una qualche durata – sono decisivi.
Nel caso del conflitto ucraino le questioni principali riguardano le cosiddette “garanzie di sicurezza” per Kiev (che le identifica nell’adesione alla Nato e alla UE), il riconoscimento o meno dei territori perduti in questi dodici anni (prima con la dichiarazione di indipendenza del Donbass, poi con l’intervento diretto russo), le dimensioni dell’esercito e la tipologia degli armamenti, i costi (e i profitti) della ricostruzione.
Questioni su cui, da sempre, il punto di vista russo è diametralmente opposto (anche Mosca vuole “garanzie di sicurezza credibili”, visto che la promessa verbale di non far avanzare la Nato ad Est è stata spudoratamente inevasa).
Trump ha prima sussurrato ai cronisti che “la Russia sta facendo concessioni all’Ucraina”, poi ha spiegato che “la loro più grande concessione è che smettono di combattere e non prendono più terra”. Cosa importante, certo, ma che non riguarda il contenzioso complessivo.
Paradossalmente, però, bisogna ricordare che se il “piano” stavolta non è (ancora) arrivato ai media significa che è davvero “sostanzialmente accettato” da Zelenskij & co, anche se “c’è ancora molto da lavorare“. La versione a “28 punti”, considerata “sbilanciata a favore dei russi” o addirittura “scritta a Mosca”, era stata immediatamente fatta filtrare, come si fa quando la si vuol far saltare.
Dunque a Kiev stanno prendendo atto che conviene far buon viso a cattivo gioco – la guerra va malissimo, gli Usa si vogliono sfilare il più presto possibili, “l’Europa” non può garantire niente di serio – e rassegnarsi a un negoziato a perdere. Col pugnale dietro la schiena, la bava alla boccca, il sogno di attentati sanguinosi da programmare in futuro, certo, ma intanto ti siedi e metti la firma sotto una sconfitta, tirando il possibile sulla sua dimensione.
C’è qualcosa che può andare ancora storto? Tutto.
In primo luogo perché il vertice ucraino è in pieno scandalo corruzione, con ministri licenziati, Zelenskij e Yermak primi indiziati, una popolazione giustamente scoraggiata e stanca, truppe sull’orlo della disfatta e non proprio col morale alto (“perché continuare a combattere e morire se tanto dobbiamo accettare di aver perso?”, dicono persino i soldati intervistati dai media occidentali). Ma la componente più dichiaratamente nazista – Pravij Sektor, la galassia “Azov”, ecc – mostra la faccia feroce e “velatamente” minaccia anche il presidente-attore.
In secondo luogo perché i negoziatori statunitensi – Rubio, Witkoff, Kushner, ecc – applicano criteri da “uomini d’affari”, con nessuna attenzione “alla Storia”. Il che, per metter fine ad una guerra di queste dimensioni, è quanto meno una scorciatoia che crea sul medio periodo più problemi di quanti ne risolva a breve termine.
In terzoluogo perché “gli europei”, tagliati fuori dalla trattativa “core”, si lambiccano il cervello su come mandare tutto a ramengo. E’ noto che l’Unione Europea in quanto tale – la Commissione guidata da Ursula von der Leyen – non è stata ammessa a nessun colloquio decisivo, né a Ginevra domenica né ad Abu Dhabi ieri. Addirittura il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha rifiutato di incontrare la sua “omologa” continentale – la svalvolata estone Kaja Kallas – per manifesta incapacità di intendere le regole base della diplomazia (parlare il meno possibile e in modo formalmente impeccabile, attenersi ai fatti, non esplicitare i propri secondi fini, mostrare almeno ipocrita rispetto per la controparte, ecc).
Invece dell’”Europa” si sono mossi i “tres tenores” di Londra, Parigi e Berlino. Dopo aver elaborato un loro “piano” che contraddiceva punto per punto quello statunitense, e dopo averlo dovuto buttare nel cesso (non quelli d’oro dei vertici di Kiev), si sono messi di buzzo buono a disegnare un possibile invio di proprie truppe di terra.
Con poca fortuna, però. Ed anche poca convinzione.
Il portavoce del britannico Starmer ha detto martedì ai giornalisti che il Regno Unito era “ancora disposto a schierare truppe a terra” per assicurare la pace. Macron, invece, pur sottolineando che la forza sarebbe stata “lontana dalla prima linea“, ha prospettato una presenza “in posizioni di ripiego a Kiev o Odessa. Avremo una forza di rassicurazione aerea, che non sarà di stanza in Ucraina, ma possibilmente nei paesi vicini… guidando operazioni collegate all’aeronautica ucraina per proteggere il suo spazio aereo“.
La Germania si è mostrata ancora più restia. Il ministro degli Esteri Johann Wadephul ha indicato una brigata tedesca già presente in Lituania, affermando che “siamo più coinvolti nell’intera regione di quasi qualsiasi altro membro della NATO” e questo è “sufficiente“.
A mettere il sigillo del fallimento è arrivato poi il giudizio di un vero esperto – John Foreman, ex addetto militare britannico in Russia – il quale, interpellato da POLITICO, ha sminuito il significato del possibile contributo militare europeo nel suo insieme. “Non sarà mai in grado di fornire garanzie di sicurezza credibili. Solo gli Stati Uniti, forse con alleati chiave, possono farlo, poiché nessuno vuole combattere i russi se la pace dovesse naufragare“.
In quarto luogo bisogna fare i conti con gli obiettivi di Mosca. Il ministro degli Esteri Lavrov ha mostrato parecchio fastidio per il polverone mediatico che l’Occidente ha sparso sulla trattativa, spiegando che sebbene la Russia “apprezzi la posizione degli Stati Uniti, che sta prendendo l’iniziativa per risolvere il conflitto ucraino,” il suo paese “opera in modo professionale, senza far trapelare informazioni prima che vengano raggiunti accordi formali.”
Con infine un paletto piuttosto consistente: “se lo spirito e la lettera di Anchorage verranno cancellati dagli accordi chiave che abbiamo documentato, allora, naturalmente, la situazione sarà fondamentalmente diversa. Ma fino a ora nessuno ci ha comunicato nulla“.
Stiamo insomma nel pieno di una vera e difficilissima trattativa di pace, perché il principale ostacolo – la pretesa ucraina di tornare alla situazione del 2013, prima del colpo di stato con Majdan, e quindi di riprendere la Crimea, il Donbass, ecc – è stato ora rimosso. Quantità e qualità delle “perdite” sono ora l’oggetto del contrattare.
P.S. Qualcuno suoni la sveglia nelle redazioni italiche, che ancora fingono di non aver capito cosa sta succedendo. O di volere confusamente che la guerra continui per non dover cambiare “narrazione” e coprirsi di vergogna…

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Enrico
A proposito di “redazioni italiche”.
Nel corso della trasmissione di Rai3 Prima Pagina di oggi, nel filo diretto con gli ascoltatori, il conduttore Riva (credo de Il Domani) interrompeva un ascoltatore negando in maniera assoluta e con eccessiva presunzione lo svolgimento di esercitazioni NATO in Ucraina prima del 2022.
Per la precisione affermava che “… allora io non sono d’accordo con Lei, non ci sono mai state delle esercitazioni NATO sul territorio ucraino, ci mancherebbe, sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale …”.
Ora effettivamente la terza guerra mondiale non è scoppiata e quindi, tertium non datur, le esercitazioni NATO non dovrebbero esserci state.
Tuttavia se non erro, se ne sono svolte ben 3 nel solo 2021:
Sea breeze
Tree swords
Rapid trident.
È possibile ascoltare il colloquio tra giornalista e ascoltatore su Rai Play Sound filo diretto di Prima pagina verso l’ultima parte del programma, poco prima del GR.
Maurizio
Stupendo Barontini!
Nel finale poi, ti sei superato(… per non dover cambiare “narrazione” e coprirsi di vergogna…)
Leonardo
Orientarsi in questo guazzabuglio di dichiarazioni, tavoli negoziali segreti/informali/diplomazie tradizionali è davvero improbo … La mia opinione è questa, se avrete la pazienza di leggerla.
La mattina del 28 Yermak si è prodotto in un roboante discorso patriottico mettendosi di traverso al piano Trump (qualunque cosa sia diventato). Immantinente, con puntualità svizzera, è arrivata la perquisizione del Nabu che ha fatto capire di avere documenti a dir poco compromettenti. Yermak si è dimesso. Nuovo scacco al Re con sacrificio non più di un alfiere ma di una Regina. Nei prossimi giorni o settimane vedremo alla prova l’assioma degli esperti di cose Ucraine riguardo a lui e a Zelesnsky, ‘simul stabunt, simul cadent’. In effetti sembra che ormai l’ostacolo maggiore per l’estromissione di Zelensky sia il come sostituirlo. Qui entrano in gioco i diversi sponsor e i loro contrapposti interessi.
Semplificando (orribilmente, ne convengo) è l’Imperialismo ‘patriottico’ secondo Trump ad avere l’iniziativa. Vuole un accordo con i Russi per affermare la sua agenda (‘pivot-to-Asia- ma-anche-America-Latina’ e un decoupling molto più aggressivo di quello già lanciato sotto Biden) e desidererebbe un governo Ucraino guidato da persone tipo Arestovich o, più credibilmente, un leader del Partito di Zelensky come Arakhamia, per gestire il dopo Accordo senza riaprire le ostilità.
L’altro sponsor (potremmo definirlo come Imperialismo ‘transnazionale’, erede della ‘globalizzazione unipolare’ post ’89) tende a coincidere con l’area Nato, eventualmente allargata al Pacifico.Esso vanta ancora una consolidata ‘tecnostruttura’ nella metropoli americana ed ha praticamente un monopolio politico-finanziario-mediatico per quel che riguarda il Regno Unito e l’Europa continentale. Vorrebbe proseguire a tutti i costi il conflitto, ma deve anch’esso trovare un assetto efficace in Ucraina. Ha perso il potere con la nuova Amministrazione, pur essendo rappresentato anche lì. In effetti, se Rubio fa quel che può, il siluramento del ‘sabotatore’ Kellogg e la sostituzione lampo con il Gen. Driscoll hanno dato nuovo impulso all’azione di Trump. I Trans-nazionali-atlantici hanno però a disposizione gli esecutivi europei, che ne sono un’espressione diretta e bipartisan dopo una cura maniacale durata decenni. Tramite essi può meglio indirizzare gli eventi contingenti, sabotando le iniziative avversarie, organizzando provocazioni, false flag, escalation, etc. Che i tre principali gaglioffi (UK, F e D) vedano i loro sistemi politici in profonda e irreversibile crisi è, per ‘questo’ imperialismo, motivo in più per scelte disperate (non c’è tempo per ‘lavorare’ ulteriormente e ‘mettere in sicurezza’ Farage, Le Pen, Afd). Anche perché i Russi avanzano rapidamente, soprattutto laddove il fronte è rimasto fermo per anni (Zaporozhie, Liman-Siversk, oblast di Kharkov), anche se si parla solo di Pokrovsk. Se si vuole infliggere loro una ‘sconfitta strategica’ (cioè: ‘esistenziale’) E, il che è lo stesso, salvare ‘quell’ ’Impero, il tempo stringe.
Direi che gli Inglesi in particolare sono in pole-position, in virtù della secolare special relationship, di quella particolare expertise nell’ordire le peggiori nefandezze che sopravvive molto più a lungo degli Imperi (con tutta la hubris che ne deriva). Inoltre sono anche liberi da pastoie comunitarie. Sarebbero perfetti per guidare l’operazione ‘porcospino d’acciaio’ (copyright von der Leyen), fino all’immancabile vittoria finale, con gli yankee finalmente tornati in sé … (va da sé che è un delirio, ma a cos’altro stiamo assistendo da anni?).
Quindi, quando si dice che sono gli Europei ad opporsi a Trump in realtà si parla di tutto l’Imperialismo transnazionale e non è così facile venirne a capo come quando Donald sbertuccia i nanetti europei, godendo come un bambino. Vedremo se si sentirà abbastanza forte forse già nella prossima settimana, quando voleranno da Putin Wittkoff e Kushner (il Primo Genero, o Signùr …). In caso contrario modificherà la sua proposta al Cremlino in modo tale da farsela respingere.
Dopo di ché ?
Il solito teatro: altre sanzioni petrolifere secondarie contro la Russia (che però accuserà il colpo) – la guerra continua in modo sempre più catastrofico per gli Ucraini – tra qualche mese nuovo Piano, molto più indigesto di questo per Nato & co. Da sottoporre a Kiev a coloro che ci saranno. Altro giro di giostra. Sempre che i ‘transatlantici’ non la combinino troppo grossa nel frattempo.