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Cosa sta succedendo in Venezuela? Intervista a Juan Carlos Lenzo

Mentre gli Stati Uniti avviavano l’operazione “Southern Spear” con la portaerei USS Gerald R. Ford al largo del Venezuela, una nostra delegazione era a Caracas per una conferenza internazionale organizzata dal Consiglio Nazionale per la sovranità e la pace. In questo clima di minacce statunitensi pretestuose, abbiamo però trovato una città non militarizzata, che continua a vivere normalmente la propria quotidianità, con le sue difficoltà.

Dopo gli incontri istituzionali, ci siamo immersi nella realtà delle “comunas”, l’autogoverno popolare bolivariano. Per capire come dal basso si porta avanti la lotta contro l’imperialismo, abbiamo parlato con Juan Carlos Lenzo, dirigente dell’Unión Comunera e militante dei movimenti popolari e internazionalisti sin dai primi anni 2000.

Gli Stati Uniti stanno aumentando la tensione con il dispiegamento di portaerei, navi da guerra e minacciando un attacco militare. Eppure, la realtà che stiamo vedendo qui a Caracas è di grande tranquillità. Come sta vivendo il popolo venezuelano questo nuovo attacco da parte dello stato imperialista statunitense?

Il clima che prevale in Venezuela, nonostante la minaccia, è di calma e tranquillità. La gente continua la propria vita quotidiana. Anzi, a breve, il 23 novembre, ci sarà una consultazione nazionale popolare in cui le organizzazioni comunali voteranno il progetto che considerano prioritario per la loro comunità. In termini generali, quindi, il clima è tranquillo e di accettazione. La preoccupazione principale rimane la questione economica: l’inflazione, infatti, si è accentuata nell’ultimo mese, impattando sul potere d’acquisto e sulla qualità della vita. Ma nel complesso, la situazione è serena.

Purtroppo, sappiamo che gli Stati Uniti hanno già attaccato il Venezuela in passato, in vari tentativi di destabilizzare il Paese e insediare un leader scelto da loro. In che modo le “comuna” e l’organizzazione popolare aiutano a combattere l’imperialismo?

La rivoluzione bolivariana, fin dal suo inizio, è stata oggetto di aggressioni da parte dell’imperialismo nordamericano, ma ha sempre saputo contrastarle e difendersi. Colpi di stato, tentati omicidi, guerra economica, pressione diplomatica e, più recentemente, sanzioni: le oltre 900 sanzioni imposte al Venezuela hanno avuto conseguenze gravissime sulla vita economica e sociale della nazione.

Tutte queste difficoltà ci hanno insegnato una strategia fondamentale, basata su due pilastri: l’organizzazione popolare e l’unione civico-militare. Il popolo ha abbracciato il principio della democrazia partecipativa e dal basso. Già nel 2006 si iniziarono a costruire le organizzazioni comunali, e nel 2009 nacquero le prime comuna. Questo ha garantito al popolo un alto livello di partecipazione politica, mobilitazione, organizzazione e capacità di risolvere i propri problemi, ma anche di difendere il proprio territorio ed esercitare la sovranità.

Un popolo che si mobilita, organizzato e cosciente è un’arma potentissima contro qualsiasi aggressione, esterna o interna. Questo permette di contenere varie forme di attacco: sia sul piano della guerra cognitiva, perché il popolo esercita la propria coscienza e comprende a fondo il senso della rivoluzione, sia sul piano di una guerra territoriale, perché le comuna esercitano la sovranità sul proprio territorio. Grazie a esse, ad esempio, si sono evitati fenomeni di aggressione e violenza, imparando a respingere azioni contro la sovranità nazionale.

Anche sul piano economico-produttivo, le comuna sono un muscolo che permette di garantire scorte alimentari per qualsiasi evenienza. Già durante la crisi economica del 2017-19, furono i produttori agricoli (campesinos) delle comuna a distribuire cibo, evitando che il popolo venezuelano sprofondasse in una situazione di fame nera. Nonostante il sabotaggio della borghesia, si riuscì a distribuire alimenti alla popolazione, contenendo così la crisi.

Tutte le organizzazioni comunali hanno il dovere storico di mantenere viva la fiamma socialista e insistere nel cammino della rivoluzione. Come diceva Chávez, è nelle comuna che si costruisce il socialismo. Nelle nostre mani risiede la possibilità concreta e reale di continuare a forgiare, attraverso i territori comunali, l’opzione socialista come unica via per trascendere la logica nefasta del capitalismo.

E invece, nel continente, tra il premio Nobel a Maria Corina Machado e le destre che attaccano qualsiasi alternativa anche minimamente progressista, che aria tira?

La situazione nel continente è complicata. Da un lato, abbiamo il governo di estrema destra di Milei in Argentina e Bukele in El Salvador; dall’altro, emergono alternative progressiste come Sheinbaum in Messico, Petro in Colombia e Lula in Brasile. Ogni territorio vive una propria situazione complessa: si pensi alle proteste della Generazione Z in Messico o alle tensioni verso il governo di Petro, con l’avanzata della destra colombiana, che lasciano poco margine di manovra.

Qualcosa si muove anche in Cile, dove Jara ha vinto il primo turno delle presidenziali, ma il candidato Kast ha alte probabilità di vincere il ballottaggio, rappresentando un altro elemento di estrema destra nel continente. In questo scenario, la posizione di Petro in Colombia e di Lula in Brasile, che rifiutano qualsiasi intervento nordamericano in Venezuela, è determinante.

Aiuta a riequilibrare le relazioni geopolitiche, ma non possiamo negare che la situazione sia complicata e che il Venezuela debba far fronte a questo panorama, nel solco dell’aggressione che si avvicina. Anche l’assegnazione del premio Nobel a Maria Corina Machado rientra nell’intenzione dei poteri internazionali di promuovere una figura di estrema destra nel continente, conferendole legittimità e riconoscimento. Ritengo che questa sia una congiura, in sintonia con la tendenza dell’Impero a riprendere il controllo del suo “cortile” latinoamericano, anche in risposta alla crescente influenza di Cina e Russia nella regione.

A questo punto non rimane che una domanda: che cosa possiamo fare noi, come compagne e compagni internazionalisti, per sostenere la rivoluzione bolivariana?

Cosa possono fare i compagni al di fuori del Venezuela? Penso che, come esercizio di solidarietà fondamentale, sia cruciale informare e comunicare ciò che sta realmente accadendo qui. Le grandi corporazioni mediatiche hanno diffuso una narrativa fatalista sulla rivoluzione bolivariana. Il compito primario dei compagni e delle compagne, dei movimenti e del popolo organizzato nelle altre nazioni, è quindi quello di raccontare la realtà dei fatti, ciò che succede veramente e come viviamo qui, con le sue luci e le sue ombre, i suoi punti di forza e le sue debolezze, i suoi successi e le sue contraddizioni. Credo, inoltre, che sia ugualmente importante organizzarsi per venire a conoscere di persona come vive e cosa fa il popolo venezuelano: come si organizza per la resistenza e come, nel mezzo di questo processo, stia costruendo una società nuova.

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