L’operazione notturna del 28 novembre a Beit Jinn, piccolo centro nel sud-ovest della campagna di Damasco, ha segnato una svolta inattesa e, per Tel Aviv, disastrosa.
Un’unità della 55ª Brigata Paracadutisti israeliana era entrata in Siria per un raid “di routine”, con l’obiettivo di “arrestare” tre uomini legati – secondo Israele – alla Jamaa al-Islamiyya. Ma stavolta qualcosa è andato storto: i residenti hanno risposto aprendo il fuoco e ingaggiando un violento scontro a distanza ravvicinata.
È la prima volta, da anni, che la popolazione del sud della Siria riesce a respingere direttamente un’incursione israeliana, infliggendo perdite significative. Mentre l’esercito israeliano parlava inizialmente di sei feriti, media e fonti interne hanno poi alzato la cifra a 13 soldati colpiti, molti dei quali ufficiali.
La risposta israeliana è stata brutale: bombardamenti, artiglieria e raid aerei che hanno ucciso almeno 20 siriani, tra cui donne e bambini, e ferito venticinque persone. Un’intera comunità è stata costretta a fuggire.
All’interno di Israele, la narrazione è rapidamente cambiata: prima l’accusa a gruppi islamisti; poi la versione secondo cui tra gli assalitori ci sarebbero stati membri dell’intelligence siriana; infine, ritrattazioni e nuove ricostruzioni contraddittorie. Una confusione che tradisce la paura di Tel Aviv: la possibilità che la Siria, nonostante anni di caos, stia recuperando capacità locali in grado di colpire l’occupante.
Damasco ha ufficialmente condannato il raid parlando di “aggressione criminale”, lodando i residenti per aver fatto arretrare i soldati israeliani. Ma la comunicazione del governo è apparsa incoerente: un articolo di Al-Thawra che definiva uno dei caduti “membro delle forze di sicurezza interne” è stato rapidamente cancellato.
Secondo analisti citati da The Cradle, l’imboscata di Beit Jinn ha scosso la sicurezza israeliana: Tel Aviv valuta ora di ridurre le operazioni via terra e puntare su assassinii mirati con droni e raid aerei per evitare nuovi disastri.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti – tradizionale supervisore del dossier siriano – risultano assenti: il loro inviato Tom Barrack non appare più in pubblico da settimane, dopo lo scandalo legato ai suoi rapporti con Jeffrey Epstein.
Beit Jinn segna un punto di rottura. È un segnale che la resistenza locale nel sud della Siria esiste ancora, che può infliggere perdite reali, e che le ambizioni israeliane di controllo totale del confine nord sono tutt’altro che garantite.
* da The Cradle – https://thecradle.co/…/beit-jinn-the-ambush-that…
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