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Da Panama a Caracas: l’aggressione al Venezuela alla luce di 36 anni di interventi Usa

L’escalation contro il Venezuela non è un fatto isolato né un’improvvisa deriva della politica estera statunitense. È l’ultimo capitolo di una lunga sequenza di interventi, aggressioni e strategie di destabilizzazione che attraversano la storia recente dell’America Latina.

Per comprenderne la portata, occorre guardare indietro: a Cuba, sottoposta da oltre sessant’anni al Bloqueo economico, ma anche a Panama, invasa militarmente dagli Stati Uniti nel dicembre del 1989, esattamente trentasei anni fa.

Secondo Luciano Vasapollo, storico decano di economia alla Sapienza di Roma e consulente dei governi di L’ Avana e Caracas, «Panama rappresenta uno spartiacque fondamentale. L’operazione “Just Cause” non fu solo un’invasione militare, ma un laboratorio di legittimazione dell’intervento armato unilaterale nel continente, giustificato con la retorica della lotta al narcotraffico e alla “difesa della democrazia”. Uno schema che ritroviamo oggi, con linguaggi diversi, contro il Venezuela».

L’invasione di Panama causò oltre 200 vittime civili, la distruzione di interi quartieri popolari e l’imposizione di un nuovo assetto politico sotto tutela statunitense. «Fu un messaggio chiarissimo a tutta Nuestra América», sottolinea Vasapollo, «chi non si allinea può essere colpito militarmente, senza mandato internazionale e senza conseguenze per l’aggressore».

Oggi, contro il Venezuela, la guerra assume forme differenti ma non meno violente. Sequestri di petroliere, blocchi navali di fatto, sanzioni finanziarie, campagne mediatiche di criminalizzazione e, infine, la designazione statunitense di Caracas come “organizzazione terroristica straniera”. Un atto che Cuba ha denunciato come arbitrario, fraudolento e politicamente motivato, avvertendo del grave pericolo che rappresenta per la pace regionale.

«La definizione di uno Stato sovrano come “terrorista” – osserva Vasapollo – non è un atto giuridico ma una costruzione politica funzionale all’aggressione. È lo stesso meccanismo usato contro Panama nel 1989, contro Cuba per decenni e oggi contro il Venezuela: si crea il nemico, lo si isola, lo si strangola economicamente e poi si prepara l’opinione pubblica all’uso della forza».

Il parallelo con Cuba è inevitabile. Da più di sessant’anni l’isola resiste al Bloqueo, una guerra economica che ha provocato danni enormi alla popolazione civile ma non è riuscita a piegare la sovranità del paese. «Cuba ha dimostrato», afferma Vasapollo, «che la resistenza è possibile. Non è solo resistenza materiale, ma politica, culturale e morale. È la prova che l’imperialismo può essere contrastato se esiste un progetto collettivo e una solidarietà internazionale reale».

La solidarietà tra Cuba e Venezuela si inserisce in questa storia comune. L’Avana ha condannato con fermezza le nuove misure statunitensi contro Caracas, ricordando che colpire il Venezuela significa colpire l’intero equilibrio dell’America Latina e dei Caraibi. «Gli Stati Uniti sanno bene», continua Vasapollo, «che il Venezuela rappresenta un nodo strategico, energetico e politico. Come Panama nel 1989, come Cuba dal 1962, oggi Caracas è un bersaglio perché difende la propria autonomia».

Dall’attacco a Panama alla guerra economica contro Cuba, fino all’assedio multilivello al Venezuela, emerge una continuità storica che non può essere ignorata. «Cambiano i presidenti, cambiano i pretesti», conclude Vasapollo, «ma la logica resta la stessa: mantenere l’America Latina in una condizione di subordinazione. Per questo la difesa del Venezuela oggi non è solo una questione nazionale, ma una battaglia per la sovranità di tutti i popoli della regione».

A trentasei anni dall’invasione di Panama, la lezione resta drammaticamente attuale. Di fronte alla nuova offensiva contro Caracas, la memoria storica diventa uno strumento di resistenza. Come dimostra Cuba, resistere è possibile. E come insegna Panama, dimenticare il passato significa prepararsi a riviverlo.

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