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Fincantieri, la nave della protesta va

Adriana Pollice CASTELLAMMARE DI STABIA
 
«Siamo tutti operai»
Castellammare «non può vivere» senza un piano di rilancio. Ma il sindaco, Luigi Bobbio, invoca l’esercito «contro la sovversione»

 

CASTELLAMMARE DI STABIA
Le serrande dei negozi abbassate o ferme a metà ieri a viale Europa sono il primo segnale che a Castellammare non c’è ritorno alla normalità senza un nuovo piano per il cantiere stabiese. Gli operai si dividono tra il presidio che tiene sotto pressione il Municipio, il blocco stradale lungo l’arteria principale, su cui insistono ospedale e tribunale, fino all’occupazione dei binari della Circumvesuviana, la metropolitana regionale che collega Napoli a Sorrento. La strada ferrata, all’altezza della fermata di via Nocera, scorre sul piano del calpestio di pedoni e auto senza soluzione di continuità, tra case e negozi. Lì il gruppo più numeroso di operai forma un grumo umano. Col megafono arringano la folla di passanti del mattino, ma è quasi superfluo, tanto a Castellammare tutti sanno quello che sta succedendo. Chiudere il cantiere significa azzerare la loro identità, interrompere la catena di orgoglio e conoscenza che si passano da una generazione a un’altra. «Siamo stati tutti operai – racconta una signora che passa con le buste della spesa – quando c’è il varo la vita si ferma, io mi affaccio dalla finestra, solo quando la nave è in mare dico assa fa’, è andato tutto bene e torno a fare quello che devo fare. Protestate, protestate!». Il sindaco Luigi Bobbio, passati i cinque minuti di solidarietà avuti martedì, ieri invocava l’esercito per schiacciare la sovversione, «recuperare il controllo della piazza e a ripristinare la legalità». Una legalità senza lavoro, l’ordine la sua sola ossessione.
Tra gli argomenti del giorno, i commenti all’incontro della sera prima con il presidente della regione, Stefano Caldoro. «La politica industriale non la faccio io, quattro ore per tirargli fuori l’impegno scritto a finanziare la ristrutturazione del bacino, soldi già stanziati e bloccati perché poi dipende da un diverso piano industriale di Fincantieri… siamo arrivati a questo sfascio anche perché nei palazzi che contano non ci difende nessuno», racconta Francesco D’Auria, operaio Fiom, mentre organizza nuove iniziative. «Siamo a un bivio, l’equilibrio sociale che si basava sul lavoro è appeso a un filo – riprende Rolando, elettricista per una ditta dell’indotto – a Castellammare negli ultimi due anni la disoccupazione è cresciuta del 37%, il piano per il Sud del ministro Tremonti è un piatto vuoto». Cantiere e stabilimenti termali, la storia della città tutta giocata sulle sue acque: il primo virtualmente chiuso, le seconde non pagano lo stipendio ai dipendenti da cinque mesi, dietro la porta la svendita ai privati. Così in città, come già accaduto a Pomigliano d’Arco con la crisi Fiat, stanno aumentando le famiglie vittime d’usura.
Da anni attendono interventi per lo sviluppo. Per il comprensorio d’area torrese-stabiese furono stanziati 180 miliardi di vecchie lire, risultato: un porto turistico a Marina di Stabia e un hotel, il Crowne Plaza, 180 miliardi per creare appena 120 posti di lavoro, stagionali e sottoposti all’andamento di un turismo che da queste parti proprio non si vede visto che, poco più in là, c’è la costiera sorrentina. La paga media per un operaio dei cantieri è di 15 mila euro all’anno se non si resta a casa senza consegne, al nord il reddito medio è almeno il doppio: «Ma se mi devo prendere una vacanza – ragiona Giovanni – porto la famiglia a Sorrento a mangiare, panino e bibita 4 euro e non di più che, altrimenti, non ci possiamo permetterci la benzina per tornare. Ma chi ci va a ‘sto Crowne Plaza».
Massimo ha 36 anni e tre figli, lavora anche lui nell’indotto. È in cassa integrazione, circa 900 euro al mese, 400 se ne vanno solo per l’affitto. Fa il carpentiere, si occupa delle strutture in legno su cui scorre la nave durante il varo. Il varo è la cerimonia fondante dell’identità di Castellammare, come il miracolo di San Gennaro per Napoli. L’evento eccezionale che ti dice chi sei e cosa rappresenti. Sul telefonino ha il video dell’ultima volta, novembre 2009: «Ci vedi tutti in fila con il casco, lavoriamo per ditte diverse ma siamo come un unico corpo. La nave scivola in acqua quando si recita la formula Madrina, in nome di dio, taglia». Noi gettiamo i guanti sulla fiancata come per accompagnarla, tutto intorno suonano le sirene, i fuochi dal ponte, si dice che la figlia piglia il mare, va dalla mamma. Arrivata in acqua, le cime la tengono e io grido fermati picceré». Massimo racconta e tutti intorno hanno letteralmente la pelle d’oca. Sono figli e nipoti d’arte: «Io e mia sorella – riprende – aspettavamo mio padre di ritorno dal lavoro perché il pomeriggio ci dovevamo fare pane e salame con il cestino del cantiere».
Sono i più giovani d’Italia, sopravvissuti all’ultima ristrutturazione del ’94. Si sono ritrovati senza colleghi anziani a costruire navi, una sfida che hanno vinto, del resto sono passati indenni da una prova a un’altra. «Il bacino di costruzione non l’abbiamo mai potuto avere. Prima ci dicevano che c’era già a Napoli, poi lo hanno venduto ai privati ma, intanto, avevano investito ad Ancona, per noi non è mai arrivato il tempo, avremmo tolto lavoro al nord». I più giovani e i più bravi, in grado di conquistarsi i premi produzione. Fino al 2007 ognuno degli otto cantieri aveva una nave da costruire, nel 2008 le commesse sono scese a cinque, nel 2010 a tre. La crisi e la struttura obsoleta sono diventate armi di ricatto per spremere i lavoratori stabiesi: «Abbiamo costruito navi prototipo per Tirrenia e Grimaldi. Due per un committente finlandese, nello stesso tempo ad Ancona ne hanno consegnata solo una, pur avendo infrastrutture migliori». Tutte realizzate su scalo e poi il varo: il mare sale e invade il bacino, è come una tempesta forza sette. «Lì si vede che siamo bravi – spiegano – se si spezza il lavoro non è stato fatto a mestiere, altrimenti resisterà a qualsiasi burrasca. Da noi mai nessuna rottura». Nel 2009 l’ad Fincantieri, Giuseppe Bono, ha preteso la costruzione di un troncone per la Grimaldi in appena quattro mesi: «C’è la crisi, non possiamo acquistare i materiali, dovete adattare quello che avete già, ci ha detto. Allora abbiamo lavorato con quello che c’era senza far spendere un soldo per un progetto che prevedeva uno scafo particolare e pure fuori scala rispetto alla nostra struttura. Il troncone era talmente grande che, al momento del varo, la poppa era già in mare e il bulbo di prua sulla tribuna degli ospiti. Neanche questo ci ha fermato e adesso ci vengono a dire che dobbiamo chiudere». Sono giovani e sono bravi, sono pronti a qualsiasi riconversione per realizzare le navi del futuro, nessuna sfida li spaventa: «Bono è un incompetente – urlano – si levasse da mezzo lui che noi sappiamo stare nel mercato».
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VESCOVI IN TUTA BLU: «RABBIA COMPRENSIBILE»

 

«Siamo molto preoccupati, la decisione dell’azienda è una cosa terribile; servono subito «soluzioni concrete, l’azienda non può lasciare gli operai a casa perchè le cose in Borsa vanno male: le fabbriche sono anche di una città, del sindacato, degli operai, di un intero popolo». Parole di monsignore Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, che aggiunge: «le violenze non sono mai giustificate. Però queste sono comprensibili: il dolore e la disperazione di questi operai è tanto grande che si arriva a queste forme di protesta che noi non condividiamo ma comprendiamo». E infine: «Se verrà toccato anche lo stabilimento di Ancona con che spirito potremmo svolgere il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale che si svolge proprio in quella città? Come faremo a celebrare l’Eucaristia in quello specchio di mare con i cantieri navali chiusi? Sarebbe come chiedere il Pane e negarlo allo stesso tempo».
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Sergio Sinigaglia ANCONA
Ancona/ OPERAI IN CORTEO ALLA REGIONE MARCHE
I giorni della collera. Ancora proteste contro i tagli di Bono

 

ANCONA
Ad Ancona vanno in scena i «giorni della collera». Se dopo lo sciopero generale del 6 maggio gli operai dei Cantieri navali, dove da venti giorni la produzione è stata completamente sospesa, avevano annunciato che ogni martedì avrebbero intrapreso iniziative di lotta ogni secondo giorno della settimana, la mobilitazione sembra andare oltre l’appuntamento prefissato. Martedì 24, per la seconda volta in sette giorni, centinaia di lavoratori hanno invaso le vie del centro contro il piano Bono, l’ad di Fincantieri che ha annunciato tagli da macelleria sociale. Ma anche ieri un corteo è arrivato in Regione per incontrare il presidente Gianmario Spacca.
«Con la Regione è da tempo aperto un confronto e oggi (ieri per chi legge ndr) abbiamo ottenuto l’impegno su tre punti: la convocazione di un consiglio regionale straordinario alla presenza dei lavoratori, delle istituzioni locali, dei parlamentari marchigiani, subito dopo l’incontro al ministero che si terrà il 3 giugno. E Spacca ha garantito che il 6 ci sarà questa assise. Il secondo punto riguarda l’impegno che in consiglio (ma anche attraverso la conferenza Stato e Regioni) si concordi ciò che avevamo già definito: la vertenza nazionale della Fincantieri non può essere risolta da provvedimenti lacrime e sangue». Per Ciarrocchi, segretario della Fiom, solo ottenendo dal governo un piano industriale incentrato su innovazione, diversificazione, puntando su progetti di riconversione (i «siti verdi», cioè stabilimenti per la demolizione e il riciclo delle vecchie navi) è possibile dare una prospettiva a migliaia di lavoratori. Il terzo punto riguarda l’impegno preso da Bono di affidare al Cantiere di Ancona la prima commessa disponibile, fermo restando la piattaforma nazionale che mette al primo posto il no ai licenziamenti e politiche alla Marchionne. La mobilitazione continuerà, dice Ciarrocchi, «abbiamo iniziato un anno fa, con iniziative che hanno coinvolto la comunità locale. Dalle assemblee aperte con studenti e ricercatori, al blocco dell’A14, dall’occupazione della stazione ferroviaria, fino alla «notte rossa» il giorno prima dello sciopero generale e alla manifestazione del 6 maggio, senza dimenticare la presenza al passaggio del Giro d’Italia. È fondamentale, al di là della giusta rabbia, sensibilizzare il territorio e le istituzioni su una sacrosanta battaglia.
Ad Ancona la mobilitazione continua e i prossimi martedì a essere «presi in esame» dagli operai del Cantiere potrebbero essere gli istituti di credito. «Le banche locali devono assumersi le loro responsabilità – dice Ciarrocchi – di fronte a una emergenza sociale di questo livello». E le banche?
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Alessandra Fava GENOVA
Genova/ SERRANDE ABBASSATE PER SOLIDARIETÀ
Il barista e il presidente stanno con i lavoratori. Nasce una lobby

 

GENOVA
Quando si dice indotto, bisogna pensare anche al barista di via Soliman, davanti al cantiere di Sestri ponente, che ieri al presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ha detto chiaro e tondo che senza il cantiere lui può anche chiudere. La devono pensare in tanti nel ponente genovese visto che domani i negozianti sestresi hanno organizzato una grande serrata. E venerdì in mattinata nella via pedonale di Sestri ci saranno anche gli operai del cantiere a rischio chiusura in sciopero per due ore. Insomma, la solidarietà al cantiere è sempre più contagiosa e per dire no al piano dell’azienda si è formata una coalizione. ‘«Dobbiamo fare lobby, diciamolo chiaro’», ha esclamato il presidente della provincia Sandro Repetto in un incontro organizzato dal presidente della Regione Burlando con moltissimi lavoratori, sindacalisti e giornalisti. «Metteremo in campo tutte le nostre forze – dice Burlando – Una questione così non può essere gestita solo con un rapporto azienda-sindacato. Per ora non siamo stati invitati, ma penso che gli enti locali debbano essere presenti il 3 di giugno a Roma, visto che si parla di 7-8 mila posti di lavoro. Questo è un piano rassegnato di un paese rassegnato, ma noi, voi, non siamo rassegnati, lo si è visto ieri davanti alla Prefettura – ha aggiunto – Va ripensata la politica industriale italiana e perché, invece di missioni all’estero, non finanziare navi? Son convinto che ci sia un mercato per le navi da carico di alta qualità».
Tutti hanno capito che se si accetta il piano e si comincia a spostare i lavoratori di Riva Trigoso a Spezia o quelli genovesi a Trieste, si rischia che poco alla volta siano dismessi anche loro. E mentre i sindacalisti parlano di rischio desertificazione industriale e qualcuno ricorda che in Liguria l’industria manifatturiera conta solo l’11% contro la media del 20% nazionale, tutti ribadiscono che il piano che vuole la chiusura di Castellamare, Sestri e il ridimensionamento di Riva Trigoso, va messo da parte. Questa è la conditio sine qua non per sedersi a un tavolo il 3. Tra l’altro per Sestri ponente c’è anche la questione della scadenza delle concessioni demaniali tra il 2011 e 2012: «non le rinnoverremo come chiede Fincantieri finchè non sarà chiaro che cosa vuol fare delle aree», dice il presidente dell’Autorità portuale genovese Luigi Merlo.
Mentre ieri al cantiere spezzino di Muggiano hanno incrociato le braccia per due ore, ci sono trattative sotterranee per dimostrare che il business c’è ancora. Il presidente della Liguria ha detto ieri di «aver sentito alcuni imprenditori dei settori cargo e crociere. Tra loro c’è Aponte dell’Msc. Tutti pensano che Fincantieri faccia buone navi. Cert Aponte in Francia parla con Sarkozy. Qui non mi pare succeda lo stesso con Berlusconi».
da “il manifesto” del 26 maggio 2011
Ascolta l’intervista realizzata da radio Città Aperta a Bruno Manganaro (Fiom, Genova)

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