Menu

Cosa significa “sciopero metropolitano”

Lunedi 30 maggio nella capitale è stato convocato uno sciopero di tutte le lavoratrici e lavoratori dei servizi comunali e delle aziende ex municipalizzate. Ma la risposta ai tagli e alle misure antisociali della Giunta Alemanno coinvolge un fronte sociale assai più ampio: da chi lotta per la casa all’universo dei precari dei servizi esternalizzati e della cooperazione sociale. Per questo motivo la rete “Roma Bene Comune” che unisce sindacati di base, movimenti sociali, reti di precari, attivisti e ambientalisti ha inteso e definito quello di lunedi 30 maggio come “sciopero metropolitano”. Nel pomeriggio di lunedi è previsto un corteo che partirà alle 15.00 da Colosseo per arrivare in Campidoglio dove è prevista la seduta del consiglio comunale.

Contropiano ha rivolto su questo alcune domande a Paolo Di Vetta dei Blocchi Precari Metropolitani.

Il 30 maggio avete convocato uno sciopero a Roma che avete definito “metropolitano”. Perchè? In quale modo è diventato qualcosa di più di uno sciopero cittadino?

La convocazione della giornata del 30 nasce da un percorso che ha accumulato forza e che ha prodotto uno spazio di condivisione tra diverse realtà sociali, sindacali e politiche. Proprio le differenti modalità di fare vertenza, conflitto e di aprire trattative con l’amministrazione, alla fine, si è rivelata la miscela, ancora non sappiamo se esplosiva, preziosa per crescere. L’anno scorso parlammo di irruzione sul bilancio, oggi la forza di uno sciopero metropolitano nato dai/nei territori, sui posti di lavoro, dentro la precarietà di vita quotidiana di migliaia di giovani, ci sembra l’unica maniera per cambiare la rotta di una manovra finanziaria basata sui tagli al welfare e sulle privatizzazioni dei beni pubblici, delle municipalizzate, della città.

Lunedi sciopereranno i lavoratori del Comune e quelli delle aziende comunali ma ci saranno anche i settori sociali impegnati sul diritto all’abitare o in vertenze territoriali. Come avete fatto a trovare la sintesi tra obiettivi rivendicativi a volte molto diversi?

I linguaggi che si sono usati nella costruzione di questa giornata non sempre hanno trovato la comprensione e la condivisione. Anche intorno al lancio dello sciopero metropolitano il dibattito è stato fatto a lungo. La voglia di creare un immaginario forte che fosse attrattivo dentro la città e che non si fermasse ai luoghi di lavoro, piuttosto che nelle occupazioni di case o di spazi sociali, ci ha spinto dentro ragionamenti che spaziano tuttora dall’evocazione dello  “sciopero precario” all’idea della città che si blocca nei suoi flussi di traffico e di merci, dallo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici contro licenziamenti e precarizzazione selvaggia alla battaglia per il reddito garantito come liberazione dal ricatto del lavoro nero, intermittente, a progetto, con partita iva. Non ultima la condivisione del fatto che per uscire dalla crisi non possono essere i territori ad essere devastati, dentro un’idea che il mattone, le infrastrutture, le grandi opere, eventi e piani, siano la panacea per dare nuove gambe al mondo del lavoro e al comparto dell’edilizia. Roma come Bene Comune sta tutta dentro questa scommessa. Il modello di sviluppo che ci ha proposto Veltroni e che oggi riconferma anche peggio Alemanno non ci appartiene. Non viene accettato nei quartieri, nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università. La città/vetrina non ci vedrà lavavetri compiacenti e gratificati dalle briciole che cadranno dai tavoli concertativi dove si siedono sindacati complici e forze politiche inadeguate. Non sappiamo se abbiamo trovato la sintesi, ma forse l’innesco si e intendiamo preservarlo e allargarlo, difendendone indipendenza e autorganizzazione, due veri tesori dentro la crisi della rappresentanza.

Il bilancio del Comune di Roma, cioè di una grande area metropolitana, in qualche modo riflette i parametri delle misure finanziarie antisociali a livello centrale. Su quali criteri si fonda il bilancio che presenterà la giunta Alemanno?

Forse chiamarli criteri è una parola forte. Le necessità che prevalgono sono tutte legate alla necessità spasmodica di fare cassa e di conservare rendite di posizione sia politiche che sociali. Il disegno della manovra è chiaro: trasformare la città in un soggetto finanziario dal quale estrarre profitti, il termine più in voga è “valorizzazione”, termine che nasconde stupendamente la cessione generalizzata di aree e patrimonio pubblico ai privati. Per non parlare poi dei processi di privatizzazione delle aziende municipalizzate, degli asili nido, dei servizi alla persona, della manutenzione urbana, ambientale e culturale. La Roma presentata da Alemanno agli “Stati generali della città” che noi abbiamo contestato durante il loro svolgimento, si muove su coordinate distanti dalle vere priorità oggi esistenti e il bilancio che si sta presentando, con tutte le manovre ad esso collegate, approfondisce ancora di più il fossato tra il palazzo senatorio e gli abitanti della nostra metropoli. È abissale la distanza dagli inquilini che stanno perdendo l’alloggio a causa delle dismissioni e degli sfratti, dai precari e dalle precarie che lavorano nei centri commerciali che hanno invaso la città,  dai cittadini che hanno bisogno di asili nido, di buona sanità, di servizi sociali, di spazi culturali, di tutela dei diritti di cittadinanza.

Le aree metropolitane sono diventate il punto in cui quantità e qualità delle contraddizioni sociali vengono a sintesi al loro livello più alto? Secondo te “la metropoli” agevola o rende ancora più difficile la ricomposizione di un fronte sociale antagonista che veda riunificarsi le figure che la destrutturazione e la crisi hanno fortemente disgregato?

L’egoismo sociale e la disgregazione esistente viene curato con particolare attenzione da chi governa le città. In particolare in una metropoli come Roma si prova a spostare, dentro la crisi, il disagio crescente di larghe fasce di popolazione contro i migranti, contro i rom con la speranza che il conflitto si determini verso il basso e non verso l’amministrazione capitolina. Si prova a cavalcare sentimenti di rabbia derivanti da una diffusa esclusione sociale per non esserne travolti.

La complessità della condizione metropolitana sta andando livellandosi, però verso l’alto. Non stiamo parlando più degli ultimi e nemmeno dei penultimi. C’è un mondo potenzialmente insorgente che non ce la fa più, che non arriva a fine mese e che sta decidendo di cambiare il proprio presente in diversi modi, anche singolari e individuali, ma tutti orientati verso il fatto che la crisi non può essere sopportata da chi non l’ha creata. Il diritto al debito incontra quello al reddito e confligge oggettivamente con chi attraverso processi finanziari proprio dalle insolvenze e dalla precarietà ricava i maggiori profitti. Io la crisi non la pago è diventato un fatto concreto attraverso le morosità, le carte di credito non coperte, gli aumenti non pagati, le case occupate, i mutui insoluti, le multe aggirate. Queste forme rudimentali di resistenza stanno incontrando l’autorganizzazione e i movimenti indipendenti, i sindacati conflittuali. I percorsi assumono aspetti collettivi e le vertenze diventano metropolitane come quella che s’intende aprire con il sindaco di questa città, o come intendiamo fare con Equitalia che da struttura che doveva operare contro l’evasione fiscale si è trasformata nello sceriffo di Nottingham.

Il magma in movimento che è formato dalle complesse condizioni sociali metropolitane non è facilmente rappresentabile ma potenzialmente incendiario. L’idea della ricomposizione ora è difficile individuarla ma dal basso sale qualcosa di potente e noi ci stiamo dentro.

 

Ascolta l’intervista a Massimo, realizzata da Radio Città Aperta

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *