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Barletta. Sotto accusa anche il Comune

“Da tempo, le autorità politiche della città stanno cercando di creare un consorzio che dia più visibilità a questa parte dell’industria pugliese che esporta in tutto il mondo e i cui costi sono propabilmente paragonibili a quelli del Far East” (da Il Sole 24 Ore, maggio 1999)*

Sepolte vive per neanche quattro euro all’ora; travolte da quella montagna di cemento mentre lavoravano in uno scantinato, senza contratto, in uno delle migliaia di laboratori tessili ricavato in quel palazzo di via Roma venuto giù in nel centro storico di Barletta. Così sono morte quattro operaie del maglificio, tirate fuori dalle macerie quando ormai non c’era più nulla da fare: sono Matilde Doronzo, 32 anni, Giovanna Sardaro, 30 anni, Antonella Zaza, 36 anni, Tina Ceci, 37 anni; insieme a loro ha perso la vita Maria Cinqueplami, 14 anni, figlia dei titolari dell’azienda che invece al momento del crollo erano usciti e si sono salvati. Altre sei persone sono rimaste ferite.  La procura di Trani ha aperto un’inchiesta per disastro colposo e omicidio colposo plurimo.

“Sono degli assassini. Sì, degli assassini. Lo scriva che al Comune sono degli assassini”. Le dure parole di Tobia Antonucci, che nel crollo ha una sorella ferita, vengono riferite così dal corrispondente della Gazzetta del Mezzogiorno. Non è stata una fatalità a far sbriciolare la palazzina di via Roma. “Nei giorni scorsi – dice ancora Tobia Antonucci – noi che abitavamo qui abbiamo fatto di tutto per indurre i tecnici del Comune ad intervenire. Venerdì ci avevano assicurato che sabato sarebbe stata emanata un’ordinanza di evacuazione”. Un racconto, quello di Tobia Antonucci, che chiama direttamente in causa il Comune, soprattutto i funzionari dell’ufficio tecnico. Il capo dell’Ufficio tecnico comunale, Francesco Gianferrini si è limitato a dire che venerdì della scorsa settimana gli abitanti della palazzina crollata si erano rivolti ai vigili urbani per sollecitare un sopralluogo, il sindaco Maffei, in serata ha assicurato che il Comune farà sino in fondo la sua parte, contribuendo a «far piena luce sull’accaduto». Maffei, in particolare, ha riferito che da venerdì della scorsa settimana (sino a ieri mattina) erano stati avviati in via Roma dei lavori proprio al fine di verificare se vi fosse un pericolo concreto di crolli, esattamente come più volte denunciato dai residenti. Lavori che – è forse ancora presto certificarlo – sono stati avviati quando ormai era troppo tardi o, comunque, in circostanze tutte ancora da chiarire. Già da venerdì infatti i condomini del palazzo crollato avevano cominciato a vedere «crepe sui muri allargarsi a dismisura», racconta Ruggero Vitrani, salvo con la famiglia per miracolo. Chiamati «i vigili urbani, l’Ufficio tecnico comunale, i carabinieri, l’impresa, la risposta è stata sempre la stessa: non c’è pericolo, state tranquilli, entro sabato vi faremo sapere», racconta ancora Vitrani. Tranquilli fino a quando, poche ore prima della tragedia, il palazzo comincia a vibrare. Tutti scappano, ma in casa, in uno dei quattro appartamenti nei quali abitavano dodici persone, rimane Emanuela Antonucci, la sorella di Tobia, incinta di 5 mesi.

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Sulla strage delle operaie riportiamo due comunicati sindacali.

Il comunicato dell’Unione Sindacale di Base


Il crollo della palazzina di Barletta: è questo il loro modello di crescita e di competitività

Le macerie che hanno mortalmente coperto i corpi delle quattro operaie nel
maglificio di Barletta hanno disvelato un modello di feroce competitività
che nega diritti, salute e la stessa vita.

Operaie, donne che lavoravano in nero senza diritti, per 3.95 euro l’ora, su
turni massacranti di 14 ore al giorno, in locali fatiscenti e pericolanti:
un segreto pubblico quello del nuovo schiavismo del XXI secolo, che si nutre
di sudore ma anche di sangue.

Il settore del tessile, come in altri settori, il lavoro grigio, irregolare,
illegale non è più l’eccezione che conferma la regola, ma è la regola che
sta alla base della capacità di competere con gli altri paesi produttori,
sono i 275 miliardi di euro l’anno legati al lavoro nero, secondo stime
prudenziali, sono i più di 2 milioni di lavoratori e lavoratrici in nero.

Una regola che si afferma, quella della radicale precarietà e della
negazione dei minimi diritti: come potrebbe essere altrimenti con il ricatto
della disoccupazione crescente, con il crescendo di nuove leggi e norme che
tolgono certezza nei diritti, se si legalizzano e si sanano abusi e
sfruttamento.

Una regola che si afferma, se si tolgono risorse e strumenti a chi dovrebbe
controllare e sanzionare padroni e caporali, se la distinzione tra lavoro
nero e in regola si accorcia sempre di più in termini di dignità, di
salario, di tutele.

E’ questa la società che ci vogliono imporre, ed ecco come si traducono
nella realtà frasi come “sostenere la competitività delle imprese e
l’efficienza del mercato del lavoro” e “ritagliare i salari e le condizioni
di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende” contenute nella lettera
segreta della BCE di Draghi e Trichet, condivisa nei contenuti da
maggioranza e opposizione.

Si, è proprio questa la società e la vita che ci vogliono imporre: basti
pensare come il “miracolo economico” nel Distretto tessile di Barletta sia
stato osannato, come esempio di competizione internazionale, sia dal
giornale della Confindustria, sia da politici e amministratori; gli stessi
che ora, commossi, chiedono di non criminalizzare. Ma il crimine c’è.

A Matilde Doronzo, 32 anni, Giovanna Sardaro, 30 anni, Antonella Zaza, 36
anni, Tina Ceci, 37 anni alle loro famiglie e amici, alle tante lavoratrici
e lavoratori che stanno anche oggi vivendo questi crimini, a loro
dedicheremo la nostra partecipazione alla manifestazione nazionale del 15
ottobre.

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Il comunicato di Giorgio Cremaschi a nome della Rete 28 aprile della Cgil

A Barletta una strage sul lavoro come alla ThyssenKrupp di Torino.

5 donne, 5 operaie, sono state assassinate mentre lavoravano per 3,95 euro all’ora, con orari fino a 14 ore al giorno. Questa è la tragedia del supersfruttamento del lavoro che sta dilagando in tutto il paese e, come sempre, colpisce prima di tutto i più deboli. Le donne, il Mezzogiorno, i migranti.

Ora ci sono le solite frasi di circostanza, i soliti scandali e le solite indignazioni a comando. Ma noi tutti sappiamo che questa non è un’escrescenza del sistema, ma il sistema che stanno imponendo al mondo del lavoro. Questa è la globalizzazione che ci stiamo portando in casa, questa la globalizzazione che dobbiamo cacciare dal nostro paese assieme a tutti coloro che la servono e la realizzano.

Sì, chiediamo piena luce, chiediamo che qualcuno vada in galera, chiediamo che si accertino tutte le responsabilità. Chiediamo che taccia quel ridicolo sindaco di Barletta che minimizza la faccenda. Ma tutto questo non basta. Senza un radicale cambiamento sociale che sconfigga la brutalità della globalizzazione finanziaria e dei suoi sfruttatori, senza dire no a Marchionne, Draghi e Trichet, la gente, le donne, continueranno a morire di lavoro.

Trasformiamo il nostro dolore in rabbia.


* Da “L’Italia del Sudest. Un modello fondato sul dumping sociale”, Proteo nr. 1 del 1999

     

 

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