Il consiglio comunale ha approvato ieri sera la delibera che stabilisce la vendita di larga parte del patrimonio immobiliare e di aree del Comune di Roma. Dunque maggioranza e opposizione hanno trovato un accordo per avviare la dismissione di edifici e suolo pubblici per poter disporre dei milioni necessari alle casse comunali esaurite da una gestione decisamente poco seria. Invece che pensare alla città, Alemanno ha garantito gli interessi di famiglia e di partito e ora si consegnano beni comuni alla speculazione e alla rendita. La mobilitazione dei movimenti per il diritto all’abitare ha fatto si che qualche briciola cadesse dalla tavola imbandita per la vendita e ora nel bilancio ci sarà un fondo per l’edilizia residenziale pubblica finanziato con la vendita delle case popolari e con il 15% della dismissione del patrimonio residenziale e non, inserito nella proposta di delibera n. 84. Gli emendamenti dell’opposizione hanno mirato alla riduzione del danno invece che ad impedire la vendita e questo ancora una volta la dice lunga sul perché la città viene disegnata dai “signori del mattone” invece che da chi la abita o da chi dovrebbe nell’aula Giulio Cesare garantire gli interessi di tutti.
Questo fatto interroga Roma e le realtà che si battono per il diritto all’abitare, per la difesa dei beni comuni, contro la precarietà e la devastazione ambientale. Consentire che questo processo urbanistico, caratterizzato anche dalla vendita speculativa di alloggi popolari a prezzi di mercato come è accaduto a Spinaceto, Borghesiana, Pisana e da affitti pari al doppio degli standard previsti, vada avanti significa accettare l’azzeramento della qualità della vita e la precarizzazione definitiva per ceti i sociali deboli, destinati a soccombere nella difesa del diritto alla casa e al reddito.
Per questo pensiamo che l’approvazione della delibera sia un passo indietro in termini sociali e culturali.
Il partito delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni è trasversale e riteniamo che solo la capacità dei movimenti di rimanere indipendenti possa produrre una mobilitazione con rivendicazioni chiare sul bilancio che l’8 ottobre arriverà in aula, senza pensare che far cadere Alemanno significhi liberare questa città dalla rendita e dalla precarietà. Abbiamo vissuto l’era Veltroni e la delibera di ieri ci ha riportato a quegli anni.
Il terreno del conflitto non può che passare dentro processi di riappropriazione e per impedire la vendita dei beni comuni non ci resta altro da fare che ripubblicizzarli, dal basso.
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