I dati sulla crescita delle disuguaglianze sociali in Italia, erano già emersi mesi fa da una ricerca condotta dall’Istat e dal Cnel sulle condizioni di vita delle famiglie italiane, dove invece del classico Pil era stato adottato infatti un nuovo indicatore, detto di Benessere equo e solidale.
Quel dato viene adesso confermato da una ricerca internazionale commissionata dall’Unione Europea ad una serie di università. La ricerca porta la denominazione di “Gini Growing Inequality Impact” e i suoi risultati definitivi verranno resi pubblici con due “tomi” a dicembre, ma dalle anticipazioni già emerge non solo la crescita delle disuguaglianze sociali nei paesi capitalisti, non solo che il trend è in crescita anche in paesi inimmaginabili fino a poco tempo fa come la Svezia (dove è andato al governo il centro-destra), ma che tra i paesi più “disuguali” in assoluto c’è proprio l’Italia, battuta nell’Unione Europea solo dal tempio del liberismo cioè la Gran Bretagna.
La disparità nella distribuizione dei redditi è stata misurata con l’indice di Gini: si tratta di un indice di concentrazione il cui valore può variare tra zero e uno. Valori bassi indicano una distribuzione abbastanza omogenea, valori alti una distribuzione più disuguale, con il valore 1 che corrisponderebbe alla concentrazione di tutto il reddito del paese su una sola persona. Dallo studio emerge che, alla fine della prima decade degli anni Duemila, l’Italia ha un indice di Gini pari a 0,34: ovvero, due individui presi a caso nella popolazione italiana hanno mediamente, tra di loro, una distanza di reddito disponibile pari al 34% del reddito medio nazionale.
La fotografia che usciva dalla ricerca del Cnel e dell’Istat di mesi fa sull’Italia era già impietosa e, tra i numeri più sconvolgenti, ci sono quelli che descrivono una realtà con circa l’11% degli italiani in grave difficoltà. Si tratta di circa 7 milioni di individui, 2,5 milioni in più di quelli registrati solo un anno fa.L’economista Antonella Stirati sottolinea giustamente
“lo sappiamo tutti che il reddito di un lavoratore dipendente del pubblico o del privato, varia mediamente dagli 800 ai 1.200 euro al mese. Pensare che in queste condizioni, soprattutto quando siamo in presenza di una famiglia con figli, ci possano essere serie difficoltà ad arrivare a fine mese non sorprende assolutamente”. E proprio il tema dei redditi è uno degli elementi più significativi che emerge dalla ricerca, perché viene messo in luce un fenomeno di dilagante diseguaglianza che preoccupa non poco tutti gli osservatori.
Il divario tra il 20% di popolazione più ricca e il 20% di quella più povera è aumentata infatti nel 2011, ultimo dato disponibile, del 5,6% e c’è da immaginare che nell’ultimo anno la situazione sia ancora peggiorata. “L’Italia negli Anni Settanta, dopo l’uscita dalla fase post-bellica – sottolinea ancora la Stirati – era un Paese con un basso livello di diseguaglianza. Nel corso di questi ultimi decenni la situazione però è degenerata e oggi, non dico che assomigliamo a società di tipo sudamericano, ma di certo la nostra struttura sociale si è avvicinata enormemente a quella di Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna, che rappresentano le economie a più alta diseguaglianza tra quelle occidentali, piuttosto che a campioni (ma qui sarebbe meglio aggiornare con ex campioni, NdR) dell’uguaglianza sociale come la Svezia”.
Il Sole 24 Ore di oggi, commentando il rapporto commissionato dall’Unione Europea, è stato costretto ad ammettere che “L’Italia fa parte del gruppo dei paesi mediterranei, nei quali si evidenziano livelli di disuguaglianza abbastanza alti. La situazione italiana era molto meno disuguale negli anni Sessanta e, da metà anni Settanta, finché c’è stata la scala mobile (nel 1992 l’indice di Gini era di circa 0,27). Poi l’indice di disuguaglianza è schizzato verso l’alto, rimanendo in seguito abbastanza piatto”. E ancora parlano male degli anni Settanta e delle conquiste sociali che hanno portato?
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