Menu

La calda estate di lotta dei braccianti

Dal Piemonte alla Puglia, i braccianti si ribellano per affermare il loro diritto alla dignità e a salari decenti. Le “braccia” fornite dagli immigrati stanno diventando qualcosa di più importante di mera forza lavoro nelle campagne. A Saluzzo gli attivisti della Brigata di Solidarietà Attiva denunciano come al Foro Boario, ormai una favelas a cielo aperto con 600 abitanti, il problema immediato, su cui si basa la sopravvivenza delle persone, è l’acqua. Dopo un assemblea al campo coi migranti si era deciso di procedere ad un allaccio abusivo, di fronte al continuo rifiutarsi del sindaco di trovare una soluzione (immaginatevi, considerando quanto sia importante l’acqua in condizioni normali, quanto sia fondamentale col caldo). La polizia municipale e i  carabinieri hanno staccato l’allaccio provocando l’immediata reazione.
Momenti di forte tensione, alcune barricate. Il comune si è quindi affrettato a ripristinare l’allaccio a 300 metri dal campo, ma ai migranti il contentino non è andato giù: già vivono in condizioni di miseria totale, almeno l’acqua deve essere disponibile. Quindi hanno deciso di procedere ad un blocco stradale. Il sindaco quindi ora, finalmente, dopo aver rispedito al mittente ogni proposta dell’associazionismo e dei militanti antirazzisti per trovare una soluzione più degna di una favelas senz’acqua, si è trovato costretto a incontrare i ragazzi. Negli ultimi due giorni la Puglia dei braccianti stranieri sfruttati occupa le cronaca nera. Gianluca Nirgo, attivista della R@P ricostruisce gli sviluppi della situazione. Ieri un ragazzo caduto e morto in un vascone ad Ortanova, oggi l’arresto di tre caporali rumeni che schiavizzavano loro connazionali . La situazione in Puglia, che ha appena frmato un protocollo istituzionale di lotta al lavoro nero, sembra aver superato la soglia di sostenibilità. La Puglia è disseminata di distretti dello sfruttamento che sembrano attraversare placidamente le coscienze dei soggetti preposti a dare risposte. Sfruttamento grave e gravissimo sembra interessare a pochi. Urgono risposte concrete, che consentano di evitare la repressione dei soggetti deboli e la incolumità ai chi davvero ha interesse che lo sfruttamento si riproduca, il mondo delle aziende. E’ necessario invertire la rotta.
Nove romeni erano stati assunti da tre connazionali per la raccolta dei pomodori. Dopo essersi ribellati alle pessime condizioni in cui vivevano, sono stati chiusi in un casolare di Apricena e minacciati. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: sono le accuse rivolte dai carabinieri a tre presunti caporali romeni, tutti incensurati, arrestati ieri dopo la denuncia presentata da nove connazionali che ai militari hanno raccontato di esser riusciti a scappare sfondando una piccola porta secondaria di un casolare di campagna in agro di Apricena dove erano stati costretti a soggiornare per tre giorni, scrive il giornale Foggia Today. Secondo quanto ricostruito i nove lavoratori erano stati contattati in Romania da Tarnauceanu Ionel, (il reclutatore del gruppo) che li aveva invitati a seguirlo in Italia per la raccolta stagionale dei pomodori alle seguenti condizioni: ogni lavoratore doveva pagare in anticipo la somma di 125 euro quale corrispettivo del viaggio di andata e ritorno, avrebbe ricevuto la somma di 3 euro a cassetta (che una volta riempita di pomodori sarebbe pesata circa 50 Kg), avrebbe usufruito di un alloggio con letti e docce e di una somma extra di 10 euro ogni tre giorni per far fronte alle spese di sostentamento. Il lavoro sarebbe stato così articolato: un primo turno dalle 5 alle 11 seguito da una pausa dalle 11 alle 16, per poi riprendere fino a quando il buio rendeva impossibile proseguire nella la raccolta. Accettata la proposta le vittime erano salite su un autobus e dopo circa 20 ore di viaggio erano giunte a San Severo dove ad attenderle vi erano Balaceanu Daniel e Macovei Ionut, i quali, a bordo di un’autovettura avevano fatto strada al bus facendolo girare per molto tempo a vuoto, in modo da disorientare i passeggeri ed evitare che questi potessero memorizzare il percorso. Viste le condizioni del casolare, i lavoratori avevano espresso il loro diniego a vivere in quel posto squallido e abbandonato senza però potersi allontanare poiché l’autista rifiutava categoricamente di riportarli indietro dicendo loro che il viaggio doveva essere pagato con i proventi della raccolta non ancora effettuata. Sono così iniziate le prevaricazioni e le prepotenze nei confronti dei lavoratori: i due caporali si sono subito impossessati dei loro documenti, minacciandoli che qualora si fossero allontanati sarebbero stati fermati dalle forze dell’ordine o sarebbero stati raggiunti da colpi d’arma da fuoco. Al termine delle giornate lavorative inoltre venivano rinchiusi nella masseria e, fino a tarda notte, venivano svolti dai due veri e propri servizi di guardiania per evitare che le vittime potessero fuggire. La porta del casolare veniva chiusa con un lucchetto dall’esterno mentre le grate poste alle finestre impedivano qualunque tentativo di fuga. Dopo un solo giorno di lavoro, quello successivo all’arrivo, e quasi tre di stenti, privati del cibo e dell’acqua, i denuncianti sono riusciti a fuggire in piena notte sfondando la porta secondaria del casolare. Una volta all’esterno hanno vagato nel buio per le campagne circostanti, seguendo le luci in lontananza del paese fino a quando hanno raggiunto la caserma dei carabinieri.

 

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa
Argomenti:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *