Scontro frontale, senza più mediazioni. Ci siamo presi un giorno prima di scrivere del Direttivo Nazionale della Cgil, in modo da far sbollire le incazzature e i toni accesi e verificare meglio le cose. Ma non sono cambiate, nel frattempo.
E quindi. La Cgil terrà una – finta – consultazione degli iscritti sull’accordo sulla rappresentanza siglato il 10 gennaio insieme a Cisl, Uil e Confindustria. Il tutto dovrebbe avvenire entro il mese di marzo; è la stessa tempistica a suggerire che si tratterà di un “pro forma”, utile soltanto alla Camusso per “certificare” che la sua scelta è stata approvata e che questo è avvenuto con “procedure democratiche”. Chiunque abbia messo il naso in un’assemblea congressuale della Cgil, di questi tempi, sa benissimo che non è esattamente così. Tanto meno per quanto riguarda le procedure di voto, ridicolizzate dalla prassi dell’”urna itinerante” con un solo funzionario che va in giro a raccogliere “i voti”… e poi se li conta da solo (a meno che non ci sia anche un combattivo esponente del documento alternativo).
Il documento che fissa le modalità della consultazione non lascia spazio a interpretazioni dissonanti. “Una campagna di assemblee informative già definite tra Cgil, Cisl e Uil da tenersi nel mese di marzo”, al cui termine ci sarà il voto dei soli lavoratori iscritti alla Cgil” (in Cisl e Uil, ormai, non si fa più nemmeno finta di chiedere il parere degli iscritti). Ma nemmeno la votazione sarà così semplice; i seggi saranno infatti due. Da un lato “coloro che sono ricompresi nelle intese già raggiunte (Confindustria e Confservizi)”, dall’altro “coloro a cui estendere gli accordi”.
Da presa in giro definitiva anche il testo stampato sulla scheda: i lavoratori non saranno chiamati a votare sul merito dell’accordo sulla rappresentanza, ma un “sì” o un “no” al parere espresso dal segretario generale. Insomma: un referendum sulla fiducia al “segretario”, prendere o lasciare, “che mette l’accordo al riparo dalla consultazione. La Cgil non dice a Cisl, Uil e Confindustria che il testo è congelato fino al risultato del voto: l’accordo è già operativo. Si tratta di una doppia finta”. Parole di Landini, non nostre…
Non ci sarà spazio per presentare alcuna posizione alternativa, alcuna “lettura” che possa rivelare gli elementi assolutamente incostituzionali presenti del “testo unico sulla rappresentanza”.
La Fiom aveva chiesto procedure del tutto differenti, a cominciare dalla platea degli iscritti da ammettere al voto. Sostanzialmente proponeva di limitarla alle categoria industriali del settore privato (l’accordo in effetti vincola soltanto le imprese aderenti a Confindustria, oltre che i tre sindacati firmatari), in pratica soltanto un milione di iscritti sui 5,7 “ufficiali” dichiarati dalla Cgil; escludendo di fatto il pubblico impiego (che ha già da anni una regolamentazione della rappresentanza) e i pensionati (ormai fuori dalla contrattazione). I pensionati non voteranno, per decisione della segretaria, Carla Cantone, che si è così guadagnata a sua volta l’ostitlità perenne della Camusso; ma potranno farlo ben 2,7 milioni di “attivi”, anche se di fatto disinteressati alle norme previste in quell’accordo.
L’area che fa capo a Giorgio Cremaschi, rappresentata nel documento congressuale alternativo “Il sindacato è un’altra cosa”, non ha neppure partecipato al voto in sede di Direttivo, ritenendolo “illegittimo” ai sensi dello Statuto Cgil e della Costituzione italiana. L’altro ieri, del resto, avevamo pubblicato il suo intervento in quella sede, in cui accusava l’intero vertice della Cgil di falsificare i voti del congresso, “come fa Putin in Russia”, fino a chiedere le dimissioni della Camusso.
Anche Landini, Rinaldini e gli altri membri del Direttivo sulla stessa linea, sono usciti dalla sala al momento del voto, per non “legittimare” una decisione abnorme che rovescia il ruolo del sindacato nell’Italia del dopoguerra, riportandolo all’irrilevanza del “sindacato di regime” sancito dal “patto di Palazzo Vidoni”, del 1925.
Maurizio Landini e le tute blu diserteranno anche “la consultazione”, a questo punto. Ma soprattutto prepareranno iniziative potenzialmente dirompenti. Si parla di una grande manifestazione nazionale indetta dalla Fiom negli stessi giorni della consultazione. Una contrapposizione “fisica” di detonante significato politico. Di fatto, la “presentazione” pubblica sdi un altro sindacato, anche se (solo) formalmente ancora interno alla Cgil.
Non esistono dubbi sul fatto che il “treno blindato” in cui si è rinchiusa la segreteria confederale andrà avanti costi quel che costi. Probabile dunque che lo stesso Landini venga deferito ai probiviri (o come si chiama adesso la Commissione che deve decidere le punizioni per i “ribelli” alla linea del segretario), aprendo così le porte al “commissariamento” della stessa Fiom.
Ma anche a prescindere dalle vicende interne alla Cgil, l’accordo del 10 gennaio prevede la perdita dei diritti sindacali per chi non lo sottoscrive. Peccato che ci sia fresca fresca una sentenza della Corte Costituzionale – quella relativa proprio al contenzioso tra la Fiat e la Fiom sul “modello Pomigliano” – che vieta l’esclusione di qualsiasi sindacato che si sia rifiutato di sottoscrivere un accordo. Un bel guazzabuglio legale, oltre che politico-sindacale, che potrebbe aprire scenari di conflitto su tutti i piani anche all’interno del maggiore sindacato italiano.
“Faranno la fine dei Cobas”, mormorano i burocrati di Corso Italia quando parlano di Landini e della tute blu. Ed è probabile che, a conclusione del Congresso di Rimini, in maggio, o anche prima – se il “commissariamento” della Fiom avvenisse nelle prossime settimane – diventi un fiume quello che è ancora un torrente: delegati, iscritti e persino qualche dirigente Cgil che confluiscono nell’Usb (sull’esempio di Maurizio Scarpa, fino a un mese fa vice-presidente proprio del Direttivo Nazionale, e Franca Peroni).
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