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Salari. Europa disuguale, Eurozona ancora di più

Come noto i salari dei lavoratori privati italiani sono sotto la media Ue per il totale in busta paga, superano però la media per i costi fiscali e contributivi che però non finiscono in busta paga. 

I dati sono stati resi noti dall’ Eurostat, il quale certifica che tra il 2008 ed il 2013 il costo del lavoro nei 28 Paesi Ue è aumentato del 10,2% (10,4% nei paesi aderenti all’Eurozona). In Italia l’aumento del costo del lavoro  (ma non dei salari) è stato superiore alla media (11,4%). Indicativi della “convergenza” tra abbassamento e innalzamento dei salari tra i paesi centrali, semicentrali e periferici è che gli aumenti maggiori si sono registrati in Bulgaria (44,1%), dove però rimangono ai livelli minimi in Ue (3,6 euro l’ora) e in Svezia dove l’aumento è stato del 26,9%, in Norvegia il costo orartio è di 48,6 euro l’ora.  Negli stessi anni si è invece registrato un crollo dei salari in Grecia (-18,6%) e riduzioni significative in Croazia, Portogallo e Ungheria. In Italia nel 2013 il costo del lavoro si è attestato a 28,1 euro l’ora poco sotto la media dell’Eurozona (28,4 euro), molto al di sotto di Francia (34,3) e Germania (31,3). Tra i paesi aderenti all’Eurozona quello con il costo del lavoro più alto risulta essere il Belgio con 39 euro l’ora,  quello con il costo del lavoro più basso è la Slovacchia. I dati Eurostat evidenziano il grande divario esistente tra i paesi aderenti all’Unione Europea: nell’Unione il costo medio orario è stato nel 2013 di 23,7 euro, passando appunto dai 3,6 euro all’ora della Bulgaria ai 48,5 della Norvegia. Ma significative appaiono le divaricazioni salariali nei paesi della Ue aderenti all’Eurozona, dove le economie e i parametri sono più simili e convergenti che con gli altri paesi aderenti solo all’Unione. In particolare tra i paesi “centrali” (Germania, Francia, Benelux e scandinavi) e i paesi Pigs.
Nel 2013 i costi non salariali che  hanno inciso sul costo del lavoro sono in media per il 23,7%, percentuale che sale al 25,9 nei i paesi dell’Eurozona. L’Italia con una percentuale del 28,1% si colloca al quarto posto dopo Svezia (33,3%), Francia (32,4%) e Lituania (28,5%). I dati prendono in considerazione tutte le attività economiche con più di 10 dipendenti, ma esclude l’agricoltura e soprattutto la pubblica amministrazione, dove le divaricazioni con gli altri paesi europei negli ultimi cinque anni si sono fatte ancora più profonde a causa del blocco dei salari e dei contratti dovuti alle misure imposte dalla Troika.

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