Qualcuno aveva sperato che in sede di congresso Fiom – dopo una lunga e numericamente non vincente battaglia congressuale, cui aveva partecipato proponendo soltanto “emendamenti” e non un testo alternativo – Maurizio Landini avrebbe un po’ attenuato i toni polemici nei confronti di Susanna Camusso.
Non è andata così. Fin dagli inviti agli altri sindacati, che hanno coinvolto per la prima volta anche i “dannati” dell’Usb, la confederazione “di base” contro cui ogni categoria di Cgil-Cisl-Uil è tenuta ad adottare misure di isolamento totale. E che invece è stata accolta in modo amichevole e niente affatto “concorrenziale”.
Soprattutto i temi toccati nelle due ore e quaranta minuti di relazione introduttiva sono stati uno choc per i “camussiani” interni – il “segretario generale” della confederazione, come ama essere chiamata, arriverà soltanto domani, giornata conclusiva – senza una sola concessione alle posizioni della maggioranza.
Uno schifo mostruoso è stato giudicato il “testo unico” sulla rappresentanza, quello siglato il 10 gennaio – senza alcun mandato, neppure da parte del Direttivo Nazionale – insieme a Cisl, Uil e Confindustria. Le critiche stavolta hanno coperto l’intera struttura del testo, che andrebbe secondo Landini sostituito invece da una vera e propria legge, naturalmente su basi ben diverse. Non sono più, dunque, “inaccettabili” soltanto le sanzioni per chi sciopera o contesta gli accordi sottoscritti da altri, non più solo la “commissione arbitrale” (composta quasi soltanto da “nemici” dei lavoratori), ma la stessa concezione della “rappresentanza sindacale”.
Tutto sbagliato anche nel documento congressuale, che pure Landini e la maggioranza della Fiom avevano obtorto collo sottoscritto, accompagnandolo appunto con diversi emendamenti. Tutto sbagliato nelle scelte della segreteria all’epoca della concertazione: “In questi anni, a cosa è servita la concertazione? L’età pensionabile si è alzata, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori se ne è andato, mentre ci siamo tenuti l’art. 8, quello sulla derogabilità dei contratti. E allora il problema non è chi sta o non sta con Renzi, ma cosa fa la Cgil”. La risposta la sanno tutti, è implicita: la Cgil non ha fatto e non fa nulla per ostacolare questo andazzo. E non possono essere considerate certo una “risposta” all’altezza dei problemi quelle famose tre ore di sciopero – a fine turno, per di più – di oltre un anno fa.
Quanto alle modalità di gestione della stessa Cgil, da parte della Camusso, tutto si può riassumere in una sola domanda, accolta peraltro da un autentico boato di approvazione da parte della platea dei delegati di fabbrica: “A che cosa serve, a questo punto, una confederazione?”.
C’è dentro tutto. L’incazzatura per le modifiche statutarie – riversate persino nel “testo unico” di gennaio – sulla cancellazione dell’autonomia contrattuale delle categorie. La rabbia per una “gestione truffaldina” – definizione letterale – del congresso e delle votazioni, così palesemente manipolate e falsate da rendere ridicola ogni pretesa di “democrazia interna”.
I dirigenti dell’Usb presenti, alla fine, si son detti quasi scherzando che “al 90% poteva esser letta anche al nostro congresso”. Ma è stato chiaro a tutti – basta vedere le reazioni stizzite di alcuni camussiani di provata fede, negli articoli online ma non solo – che per la Fiom si tratta di una svolta politica ragionata e niente affatto improvvisata. Una svolta inevitabile per reagire alle minacce esplicite della segreteria confederale (il quesito posso alla Commissione di garanzia già in gennaio, ovvero se Landini fosse sanzionabile per critiche pubbliche espresse contro il “testo unico”). Minacce che peraltro preannunciano quasi scopertamente un possibile “commissariamento” dei metalmeccanici e un confinamento dello stesso Landini in qualche “cimitero degli elefanti” controllato da Corso Italia.
Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi: “ma così facendo Landini stesso si mette fuori dalla maggioranza e quindi si espone a sanzioni più dure”. Gli inviti “a sorpresa”, in parte, rispondono perciò allo scopo di far vedere che “c’è vita anche fuori dalla Cgil”; e che le minacce di espulsione da Corso Italia non equivalgono affatto alla morte politico-sindacale. Non tanto e non solo per la figura individuale di Landini, quanto per le centinaia di migliaia di iscritti e militanti della Fiom.
Il problema politico da tener presente, dunque, non è “cosa farà poi Landini”, ma cosa faranno i metalmeccanici che ancora stanno nel cono d’ombra della Cgil.
Una chiave possibile – senza illusioni di rovesciamenti immediati, sia chiaro – sta nella risposta polemica che molti, in Fiom, danno a chi chiede loro se hanno paura di essere buttati fuori da Corso Italia: “la Fiom è stata fondata nel 1901, la Cgil nel 1906; e l’abbiamo fondata noi”.
C’è vita nel conflitto e nel radicamento sociale, insomma, non in un palazzo ormai sordo alle ragioni di chi pretende di “rappresentare”. E ogni nuova vita comincia con la rottura dei vecchi equilibri.
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