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Verso la manifestazione del 28 giugno. Intervista a Sergio Bellavita

Verso la manifestazione del 28 giugno. Sergio Bellavita, per anni nella segreteria della Fiom e adesso animatore della minoranza Cgil “Il sindacato è un’altra cosa” spiega le motivazioni con cui questa esperienza ha deciso di essere tra i promotori del Controsemestre e della manifestazione di sabato prossimo a Roma.

Il 28 giugno a Roma si terrà la manifestazione nazionale di apertura del controsemestre popolare che movimenti sociali, sindacali e politici intendono opporre al semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, per il lavoro, il reddito, il welfare e contro la guerra alle porte dell’Europa. Con quale spirito e con quali obiettivi avete aderito a questa mobilitazione?

Il baricentro della nostra iniziativa, più che nella battaglia interna alla Cgil e’ posizionato sul terreno sociale. Siamo parte di quello schieramento che vuole ricostruire il conflitto nel nostro paese. In particolare vogliamo che emerga una mobilitazione dai luoghi di lavoro sui temi dell’austerità.   C’è un gap enorme tra la passività italiana e i fermenti, non eclatanti ma significativi, che si registrano in altri paesi rispetto al contrasto alle politiche imposte dall’unione europea. Il controsemestre può essere una delle occasioni per tentare di colmare questo ritardo. 

Quella del 28 giugno sarà una manifestazione che, nonostante le differenze su alcune questioni tra le varie forze che la promuovono, denuncia esplicitamente le politiche imposte al nostro paese dalle istituzioni europee attraverso una struttura antidemocratica e trattati calati dall’alto. Che bilancio fate rispetto alla relazione tra Italia e Unione Europea?

Innanzitutto bisogna che si distingua nettamente Unione Europea e Europa. Una e’ il governo che presiede alle feroci politiche d’ austerita’ , l’altra è un’aspirazione, un riferimento, per il momento, poco più che geografico.

Questa e’ la differenza che tutti i popoli europei colgono subito. Grazie alle politiche della Unione Europea, l’Europa e’ divenuta sinonimo di peggioramento della propria condizione. Il “c’è lo chiede l’Europa” sull’altare della quale tutto va sacrificato e’ senso comune dalla Grecia all’Olanda, passando anche per la Germania. C’è un’Europa reale con cui devi fare i conti tutti i giorni per difendere il salario, il posto di lavoro, l’ospedale e c’è un’altra Europa che parla di diritti, di cancellazione delle frontiere ( ma solo per i nativi! Sigh) che è solo uno spot elettorale, un inno musicale. Si sta costruendo così un odio profondo per l’Europa unita, e le elezioni del 25 maggio sono ben più di un avvisaglia, un odio che rischia di travolgere tutto senza distinzione alcuna tra il bene e il male. Dobbiamo continuare a rivendicare la totale comunanza di interessi tra operai e sfruttati dei diversi paesi Europei, dobbiamo riprendere la strada interrotta delle mobilitazioni europee contro le politiche della UE, ma senza la ricostruzione di rapporti di forza nuovi e più favorevoli a km 0, in ogni paese, non potremo dare gambe a questa rivendicazione.

La questione di fondo e’ che l’Unione Europea si è incaricata di far pagare i costi della lunga e profonda crisi del capitale ai lavoratori ed alle lavoratrici, alle classi popolari .  Siamo di fronte ad un processo di restaurazione capitalistica ,che sta liquidando il modello sociale europeo. Il nostro piccolo paese paga un prezzo altissimo in questo quadro. Tutti sanno che il default italiano farebbe crollare  l ‘impalcatura dell’intera Europa ma tutti sanno che mai usciremo dalla voragine del debito pubblico e degli interessi annui relativi! Questa surreale finzione collettiva genera il perenne aggiustamento di bilancio, cioè la cancellazione progressiva dello stato sociale. Ci stanno torchiando ogni giorno di più ma finché non si sentiranno le proteste il torchio proseguirà!

In Italia sono da tempo presenti decine di lotte e conflitti di vario tipo e natura, che però rimangono spesso sul terreno della singola vertenza e faticano ad individuare un terreno di scontro contro i vincoli che la dimensione sovranazionale – l’Unione Europea – pone al pieno esercizio dei diritti democratici e sociali in questo paese. Che ne pensate? Insomma, si può continuare a denunciare gli effetti dell’austerità senza indicare il meccanismo che genera e impone tali politiche?

Non c’è dubbio. Anche la singola vertenza di fabbrica si misura consapevolmente o meno con i limiti e le compatibilità date a livello sovranazionale. Nel passato si svalutava la lira e si rilanciavano così le esportazioni oggi per lo stesso risultato devi ridurre le retribuzioni. Non è una questione  da poco per chi si pone il problema di uno sbocco reale alle lotte. La difficoltà a generalizzarle e a connetterle e’ tutta qui! Se lotti per aumentare i salari del pubblico impiego non ti scontri solo con Renzi ma devi rompere con la Ue, i suoi trattati. E’ nella dimensione totalizzante dello scontro che si può trovare una delle chiavi di lettura della crisi dei movimenti e della rappresentanza sociale del lavoro

L’Unione Europea si è dimostrata un nemico non solo per i lavoratori, i giovani e i cittadini europei – in particolare per quelli dei paesi che subiscono le imposizioni della troika – ma anche per i popoli di aree geografiche più o meno lontane che sono state prese di mira dai meccanismi egemonici di Bruxelles, basti vedere ciò che sta accadendo in Ucraina. Che ne pensate?

Che l’Unione Europea abbia una classica politica imperialista non è una novità recente. Nel 1999 alimentò e sostenne la guerra nella e contro la Iugoslavia per il suo smembramento. Gli interessi geopolitici dell’area dell’Ucraina sono molto corposi e parlano di risorse energetiche. Inevitabile che questi  entrino in collisione con quelli della Russia! Ci sono almeno tre imperialismi che si confrontano in quello scenario: quello della UE, quello USA e quello della grande Russia. Noi stiamo con il popolo ucraino, per il suo diritto all’autodeterminazion

Le recenti elezioni europee ed amministrative sembrano avere due scenari: vittoria di un Pd spostato su posizioni ancora più moderate e aumento netto dell’astensionismo. In questo quadro secondo voi quali spazi esistono per accumulare forze a livello sociale e politico contro il governo, le sue politiche e i diktat provenienti dall’Unione Europea e dai suoi apparati coercitivi?

Il voto e’ un termometro sociale importante. Da questo punto di vista il 25 maggio italiano ha fotografato in tutta la sua drammaticità la pesante passività sociale di questa fase. Vi sono diverse, tante lotte ma nessuna battaglia generale nel paese. Stampa televisione e partiti hanno semplicemente rimosso la questione sociale che attraversa il paese. Nella rappresentazione mainstream dello scontro politico e sociale noi non esistiamo più.  Ciò è frutto certo del regime che si sta costruendo ma le macerie su cui lo stesso poggia sono tutte nostre. La crisi di rappresentanza e’ tutta nostra. Non basta più evocare la lotta, l’opposizione, il necessario dissenso. Se non si ricostruisce senso ed efficacia delle lotte, se non si ricostruisce coscienza, appartenenza e nuova rappresentanza di classe non si va da nessuna parte. Questa è la vera discussione che dovremmo fare, come si ricostruisce il blocco sociale antagonista. Non sottovalutiamo quanto sta accadendo in mezza Europa con il voto all’estrema destra di ampie fasce di classi popolari, di sottoproletariato urbano. C’è una domanda di rappresentanza che non trova più risposta a sinistra. Un elemento su cui dobbiamo interrogarci. C’è bisogno di una nuova radicalità e di pratiche conseguenti. Un tema tutto aperto.

In che modo state preparando la vostra partecipazione alla manifestazione nazionale del 28 giugno a Roma anche tenendo conto del prevedibile clima di censura da parte dei mezzi di informazione?

Nella nostra assemblea nazionale abbiamo lanciato a tutte le forze del cartello nazionale la proposta di costituire comitati locali a sostegno della manifestazione e di tutte le iniziative che dovremmo sostenere nel contro semestre popolare. Stiamo diffondendo tra i nostri militanti e nei luoghi di lavoro dove siamo presenti i materiali della manifestazione, le nostre ragioni contro l’austerità.

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