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Jobs Act. I sindacati complici alzano bandiera bianca

Nemmeno il tempo di essere ricevuti nella Sala Verde di Palazzo Chigi e subito si sono arresi. Del resto la prima ragione della loro lamentazione pubblica era proprio il fatto di non esser stati ascoltati prima, quando il governo – o chi per lui – stava mettendo a punto gli assi portanti della famosa “riforma del mercato del lavoro” chiamata Jobs Act (anche se con l’inglese Renzi ci fa a cazzotti).

L’incontro si è aperto con un’introduzione del premier per ‘perimetrare’ i tre punti di confronto con i sindacati, oltre ad art.18 e tfr: salario minimo, rappresentanza sindacale e contrattazione decentrata.  Ovvero, come era stato detto nei giorni scorsi, abolizione dei contratti nazionali di lavoro, da sempre concepiti come “arma di difesa” dei lavoratori delle piccole aziende (da uno a quindici dipendenti), che non hanno possibilità di contrattazione. Al loro posto, nello schema del governo, il “salario minimo”, fissato dal governo stesso in base a parametri che al momento non sono stati resi noti.

Sulla rappresentanza sindacale, la vox populi parla di una legge apposita (come chiesto insistentemente dalla Fiom e dai sindacati di base e conflittuali), che però solo utopisticamente potrebbe venire incontro alle esigenze di eleggere una “rappresentanza reale” dei lavoratori e dei loro interessi. E’ importante segnalare che proprio la promessa di una legge su questo punto aveva fatto da “terreno di confronto” nel sorprendente incontro tra lo stesso Renzi e Maurizio Landini. Ci sarà da ridere – e da mobilirasi – quando vedremo il testo che dovrebbe render concreta quella “promessa”.

L’intervento di Renzi è stata una slide: appena otto minuti. Poi hanno preso la parola i sindacati (nell’ordine: il segretario della Uil Luigi Angeletti, poi Annamaria Furlan, segretario generale aggiunto della Cisl, a conferma della definitiva defestrazione di Raffaele Bonanni in seguito allo scandalo interno su pensione d’oro e dintorni).

Renzi ha presentato numeri e promesse: nella legge di stabilità dovrebbe essere prevista – come già analizzato nei giorni scorsi – una quota aggiuntiva di 1,5 miliardi per estendere gli ammortizzatori sociali, due miliardi per la riduzione delle tasse sul lavoro e un miliardo per la scuola.

Promesse anche per i tre stabilimenti da “salvare urgentemente”, cioè Termini Imerese, l’Ilva di Taranto e l’Ast di Terni. Idem per gli 80 euro di riduzione Irpef, che dovrebbero per l’ennesima volta diventare “strutturali” a partire dal 2015 (si stanno ancora studiando le modalità tecniche per un’operazione che era stata data per “fatta” al momento stesso della presentazione al pubblico).

Infine, come detto, i contratti nazionali di lavoro; ogni eventuale contratto di lavoro sarà discusso solo in ambito aziendale, con ovvia e clamorosa diminuzione del potere contrattuale dei dipendenti (una cosa è discutere di salario e condizioni di lavoro sul piano nazionale, tra centinaia di migliaia o milioni di lavoratori dipendenti e alcune miglia di aziende, tutta un’altra è “contrattare” in poche decine con un padrone nel frattempo reso libero di licenziarti a sua discrezione).

“In compenso” (e vedremo presto di quale nuova fregatura si tratterà) il governo sta valutando un emendamento sul Jobs act con norme sulla rappresentanza sindacale.

Inevitabile che si discutesse – o venisse almeno nominato – l’art. 18. A quanto pare non è stata sollevata nessuna obiezione alla linea del governo: abolirlo e mantenere il reintegro soltanto per i casi di palese discriminazione (una condizione non sempre facile da dimostrare) e anche per i disciplinari, “previa specifica delle fattispecie”. Appunto: quali “fattispecie”? Lo deciderà il governo, da solo o in sintonia con Confindustria; i sindacati complici hanno già accettato, a scatola chiusa.

La sola Cgil, pur apprezzando la “novità” (sono ripresi gli incontri tra governo e sindacati, che sembravano aboliti), ha dovuto confermare la manifestazione del 25 ottobre, senza Cisl e Uil, perché stavolta proprio non poteva dire che “qualcosa” era stato strappato. Persino sull’unica cosetta che sembrava acquisita – per convincere la minoranza Pd a votare la fiducia – il governo ha già fatto marcia indietro: “l’art. 18 rimarrà solo per alcuni casi di licenziamento per motivi disciplinari”. Poi ci faranno sapere se e quali…

Comunque, ci sono ”sorprendenti punti di intesa”, ha chiosato Matteo Renzi ai sindacati concludendo l’incontro. Il che significa notizie tragiche, prossimamente, per tutti noi che viviamo di lavoro dipendente. Il 24 ottobre si sciopera contro tutto questo, tanto per cominciare.

 

 

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