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Terni. Ast ha spento i forni e le speranze

Stanotte l’Ast di Terni ha spento ambedue gli altiforni dell’acciaieria di viale Brin. Si verifica così quanto era chiaro fin dall’arrivo del nuovo amministratore delegato, che ha spinto fin dall’inizio per un ridimensionamento dell’impianto e il livenziamento di alcune centinaia di lavoratori (550 nel primo piano industriale, 250 nel secondo, ma con i “contratti di solidarietà” – ovvero riduzione di stipendio e intervento suppletivo della cig). Piano che prevedeva, sul piano strutturale, la chiusura di uno dei due altiforni.

Si tratta di un vero e proprio ricatto, “prendere o lasciare”, inviato ai dipendenti e ai sindacati confederali, che – pur non intenendendo minimamente contratare l’azione dell’azienda, sono comunque stati “costretti” ad indire alcune mobilitazioni e a non firmare per ora alcun accordo su quella base.

L’operazione di spegnimento dei forni si verifica da alcuni tempi a ogni fine mese, vista la riduzione degli ordinativi lamentata dall’azienda. La quale, però, nei periodi di produzione faceva un ricorso spropositato agli straordinari obbligatori; un modo per saturare in meno giorni la produzione programmata e sfruttare così gli ammortizzatori sociali per il periodo restante (va sempre ricordato che la richiesta della cig viene fatta dalle imprese, non dai dipendenti).

Stavolta, però, l’Ast ha fatto spegnere i forni in seguito al blocco delle trattative verficatosi in tarda serata al tavolo aperto presso il ministero dello sviluppo (Mise).

Da ieri, inoltre, la direazione ha ridotto il lavoro anche degli addetti alla vigilanza (da 4 a 2 turni, di 12 ore ciascuno). Siprepara, insomma, ad affrontare l’inevitabile sciopero generale. Una “blindatura” fisica della fabbrica, com’è stato evidenziato dal montaggio – realizzato in fretta e furia – di un cancello supplementare all’ingresso Pix.

Del resto in questi giorni anche il segretario della Fiom, Maurizio Landini, era arrivato a minacciare mobilitazioni di un tipo che il sindacato concertativo ha dimenticato da tempo: «Il governo deve sapere che noi siamo pronti ad occupare le fabbriche se dovesse passare la linea della riduzione dell’occupazione, dei diritti e del salario dei lavoratori. Una linea che potrebbe trovare una prima applicazione alla Thyssen di Terni. Per noi sarebbe inaccettabile».

La parola è ora eoricamente ai lavoratori di Terni, fin qui fin troppo fiduciosi nelle capacità – o nella volontà – di azienda, governo e sindacati “standard”.

La trattativa straordinaria, convocata di nuovo al Mise, doveva partire alle ore 12, ma non è ancora iniziata al momento dei pubblicare questo articolo.

 

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