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Jobs Act. Il discount del lavoro è servito

Millantando come una grande conquista la stabilizzazione a 24 mesi della Nuova Assicurazione Sociale per la perdita dell’Impiego (NASpI) in cambio del dimezzamento della possibilità di usufruire della Cassa Integrazione (da 48 a 24 mesi nei cinque anni), il commensale degli attori di “mafia capitale”, il ministro Poletti, ha dato notizia della costituzione dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro e del riordino di queste politiche.

Premesso che due anni di conservazione del posto di lavoro e con un sussidio costante sono ben altra cosa rispetto all’aggiunta di sei mesi di un assegno (quello della NASpI) che, decurtandosi del 3% al mese a partire dal quarto mese di disoccupazione, si riduce in briciole, andando a “vedere” il testo del decreto licenziato dal consiglio dei ministri e trasmesso – per il più inutile degli esami – alle commissioni parlamentari, non si può non riconoscere al governo la ferrea coerenza con cui, dopo aver fatto strame del diritto del lavoro, dà alla merce lavoro ed al lavoro in quanto tale la più consona allocazione commerciale: il discount.

Dell’Agenzia, a parte la pretesa del governo attraverso un ministero, quello del lavoro, trasformato in una testa senza un corpo, e lo smembramento dell’Isfol, la cui autonomia di ricerca sarebbe d’ingombro, a parte la pretesa, dicevamo, di porre sotto il ferreo controllo dell’esecutivo incentivi e politiche attive per il lavoro, dell’Agenzia non si può sapere granché, visto che tutto è rimandato a decreti attuativi successivi, con tutte le più che giustificate preoccupazioni dei lavoratori coinvolti, e certamente alla versione finale del titolo quinto della Costituzione con il riordino delle competenze tra Stato e regioni.

Ma cosa intendano per politiche attive e cosa intendendo per mercato del lavoro Renzi e i suoi sodali è chiaro ed indiscutibile.

Solo qualche esempio.

Chi ha la colpa di dover fare ricorso ad un sostegno al reddito perché è stato licenziato sarà soggetto ad un regime inflessibile che gli imporrà qualunque genere di disponibilità pena incorrere nei rigori di un sistema sanzionatorio – si, proprio questo è stato introdotto – che lo porterà, se non alla seconda infrazione, sicuramente alla terza, alla perdita del sussidio.

Cosa particolarmente odiosa è che le somme “risparmiate” in questo modo, per il 50% saranno rigirate al centro per l’impiego, pubblico o privato, che lo ha segnalato ed a favore dei suoi operatori.

Il decreto introduce una nuova figura, il “disoccupato parziale”.

In questa nuova categoria rientra chi percepisce un reddito annuo inferiore ai limiti della tassabilità e chi ha un contratto part-time inferiore al 70% dell’orario intero.

Ma in questa nuova categoria rientra anche il lavoratore occupato che usufruisce della cassa integrazione.

Con questo decreto il cassintegrato viene sottoposto al medesimo regime del disoccupato ed allo stesso sistema sanzionatorio. Ovvero per per poter percepire la cassa dovrà sottostare alle pretese del suo tutor, comprese le eventuali offerte di lavoro “congrue”.

E sulla congruità di un’offerta di lavoro pesa tra le altre cose il fatto che sarà considerata “congrua” un’offerta superiore del 20% all’ultima mensilità del sussidio percepita.

Ora, se consideriamo un lavoratore con la retribuzione di 1.195 euro (quella a base nel 2015 per la NASpI), per effetto della decurtazione progressiva del sussidio al 24° mese quello che è divenuto un disoccupato avrà un sussidio di 487 euro, sarà quindi per lui “congrua” un’offerta di lavoro, magari a 50 Km da casa, per una retribuzione lorda di 585 euro.

Ancora, il decreto generalizza il sistema, sperimentato per gli esuberi Alitalia ed introdotto a marzo per i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo nel 2015, del cartellino che fissa il prezzo del lavoratore.

Il disoccupato dovrà farsi “profilare”, cioè valutare in base alla difficoltà di trovare un lavoro.

Sulla base di questa valutazione sarà “dotato” di un “assegno di ricollocazione” che sarà libero di consegnare ad una qualunque agenzia perché provi a collocarlo.

La norma dice che “tendenzialmente” (solo tendenzialmente) l’agenzia potrà riscuotere l’assegno a servizio fornito, ovvero a lavoro “congruo” assegnato.

Se in questo quadro il diritto costituzionale al reddito in caso di perdita involontaria del lavoro è derubricata in colpa da espiare per ingrassare corsifici, agenzie di lavoro interinale e quant’altro, il decreto contiene un’ulteriore perla che chiarisce la nozione stessa di lavoro di Renzi e dei suoi accoliti.

Lo stesso governo che con lo “sbloccaitalia” ha massacrato la Pubblica Amministrazione, con il nuovo codice degli appalti, il Civic Act, cancella i diritti sociali e di cittadinanza smantellando i servizi pubblici che li garantiscono, e riducendoli a bisogni che lavoratori, disoccupati, pensionati e le loro famiglie devono soddisfare acquistandoli sul mercato per il profitto del privato; lo stesso governo che trasforma in profit il no-profit, svaluta i servizi utili e necessari alle persone ma che non producono entrate – cioè possibili utili per un eventuale gestore privato, negando la stessa dignità di lavoro alla fornitura di questi servizi.

Il decreto prevede infatti una nuova sorta di lavori di pubblica utilità, eventualmente obbligatori per i lavoratori in cassa integrazione e per gli ultrasessantenni senza reddito e senza pensione che potranno così accedere al sussidio di povertà.

Questo è il quadro che si para dinanzi a chi lavora e a chi non lavora.

Un quadro che richiede una risposta forte e determinata che coinvolga tutti, occupati o disoccupati, per un futuro che riconosca diritti e dignità a ciascuno.

Ora, adesso, ribellarsi non è solo giusto, è necessario.

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